di Endriu
Si avvicina la fine dell’estate, e per alcuni la nostalgia del sole, del mare. Non per tutti, perché le vacanze sono ormai riservate a pochi, tra cui la ministra Fornero. Ma giustamente, perché non vorremmo che la professoressa si esaurisse – di cazzate ne ha già fatte e dette fin troppe, facciamole riposare un po’ la mente! Dall’altro lato è pur vero che il colpo di sole preso sullo yacht a Porto Cervo, il mese scorso, non le ha fatto troppo bene: l’ha portata a dire che bisognerebbe abbassare lo stipendio agli ultra-cinquantenni, visto che sono meno produttivi dei trentenni… Ma se i trentenni fanno lavori che durano dai tre ai sei mesi, oppure non lavorano proprio, grazie a voi e ai vostri predecessori, come fanno ad essere più produttivi dei cinquantenni?! Poi se togli i soldi a questi ultimi, come faranno a mantenere i figli trentenni che non riescono a lavorare? Ormai lo stato sociale in Italia è basato sul sacrificio (e sul suicidio) dei genitori e dei nonni.
Eh già, la nostra è una situazione triste. Ma il problema non è solo la Fornero, come non è solo colpa di Berlusconi se le donne in Italia vengono trattate come dei pezzi di carne. Il problema sono gli italiani che credono alle bugie, che non capiscono (o si rassegnano) quando vengono presi per il culo, e che accettano di essere umiliati e usati. Al massimo si lamentano, sperando che nel frattempo Striscia la Notizia dedichi una puntata alla fregatura in questione, così loro si sfogano.
Credo che il cambiamento debba venire dal basso. Credo che sia necessario cambiare la mentalità delle persone, non il culo che occupa una poltrona parlamentare. Per questo faccio parte di un’associazione che ha determinato il mio percorso di vita da quando – più o meno – sono arrivata a Bologna per studiare. L’associazione è composta da persone di età diverse, che rappresentano le varie gradazioni della sinistra italiana, anche se c’è chi non si sente nemmeno schierato politicamente. Cercano di creare uno spazio – autonomo e alternativo – di socialità, portando avanti l’eredità della vecchia Casa del Popolo del mio paese, dove adesso c’è un ristorante da quaranta euro a testa per una cena. Ho conosciuto l’associazione nell’estate del 2005, quando ho concluso il mio primo anno di studio a Bologna con un’esperienza lavorativa che mi ha cambiato la vita, ma davvero. Ho fatto la cameriera/aiuto cuoca in un rifugio di montagna, sull’Appennino tosco-emiliano, un luogo magico di cui vi racconterò. Uno dei gestori era un anarchico, che aveva dei legami con una famiglia che veniva dai dintorni di Ferrara. Un week end mi hanno portato giù da loro, a questa specie di Festa dell’Unità, anche se io – all’epoca – non sapevo manco che l’Italia avesse avuto un Partito Comunista. L’Olanda può solo ‘vantarsi’ dei provos, con le loro biciclette bianche, figurarsi i comunisti… L’odio che i miei hanno poi sempre rivolto al comunismo, reo di averli scacciati dal loro paese nel ’69 (Dal diario di un’olandese volante n. 6 e n. 7) non mi aveva sicuramente ben disposto nei loro confronti, ma piano piano mi sono innamorata di quel posto.
Intanto perché la sede dell’associazione era un vecchio essiccatoio di riso dell’Ottocento, un vero spettacolo per chi viene dal paese dei condomini nuovi, dei prati verdissimi tagliati alla perfezione, delle strade asfaltate e illuminate. Non per svalutare l’Olanda, ma il vecchio, quello bello e nostalgico, ha sempre un certo fascino. La casa, color rosso bolognese, è enorme: tre piani, pieni di vecchi attrezzi da contadino che ti portano indietro di cent’anni. Fu acquistata negli anni Novanta, quando Rifondazione Comunista svendette le sue Case del Popolo, incluso quella vecchia nel mio paese, dove il gruppo aveva ripreso a fare le Feste dell’Unità. I soci fecero un grosso mutuo, che ancora stiamo pagando, e si trasferirono nell’ex-essiccatoio che si trovava dall’altro lato della strada. Il prato intorno permette di fare delle feste per centinaia di persone, proprio come le vecchie Feste dell’Unità, ma qui dentro i partiti non entreranno mai. O almeno, non entravano. Con il terremoto la casa ha rischiato di crollare, ci hanno dichiarato inagibili, e ora bisogna decidere sul futuro di questo luogo fantastico. Accettare l’aiuto del Comune, dei partiti, della UE, oppure andare avanti per questa strada, facendo un altro mutuo, pagato con altre feste mangerecce?
È la nostra domanda del secolo. Intanto mi viene un po’ da ridere quando penso ad alcune realtà di sinistra che stanno scoprendo la nostra piccola associazione, dopo il terremoto. A luglio, per dire, sono venuti alcuni ragazzi di un giornale militante locale per fare interviste e scattare fotografie. Volevano raccontare la storia della nuova Casa del Popolo, per uno speciale sul sisma. Noi tutti contenti, ovviamente, ma siamo qui da tanti anni! In agosto invece è venuto un fotografo da Bologna, per fare una foto-storia. Contenti, certo, ma c’è tanta storia in quella casa che è ancora tutta da raccontare. Spero che non si fermino lì, spero che non diventiamo già storia: abbiamo fin troppo bisogno di un movimento che parta dal basso, dalla base, dalle persone.
(editing by Beatrice Nefertiti)
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Autosegnalo un errore piccolo ma grave: non fu Rifondazione Comunista a svendere le case del popolo ma il PDS.
Ecco i link per i racconti Dal diario di un’olandese volante n. 6 e n. 7:
http://185.148.116.211/~lettermaga/2012/riflessioni/dal-diario-di-unolandese-volante-n-6-alla-ricerca-dei-tatranky/
http://185.148.116.211/~lettermaga/2012/riflessioni/du-cote-de-chez-swine/