Dal diario di un’olandese volante (n. 14 – Il rifugio #1)

di Endriu

lupoÈ ora che vi racconti finalmente la storia del rifugio. Ci sto girando intorno da troppo tempo. È che è stata un’esperienza insieme bella e dolorosa, e ancora non l’ho superata. Forse anche un trauma, uno doppio però: quello di aver perso un uomo, ma soprattutto un luogo. Un luogo stupendo: il rifugio era proprio al confine tra l’Emilia Romagna e la Toscana, a 1200 metri di altezza – abbastanza lontani dal mondo per sentirsi soli, ma senza esserlo. Eravamo circondati da un pantheon di animali: cinghiali, lupi, uccelli vari e altri roditori che di notte vagavano intorno al vecchio rifugio dei partigiani di montagna. Poi c’erano i cani di Pippo e Antò, i due gestori, gli gnomi dei libri strani che Antò aveva portato su, e gli animali immaginari che si delineavano nelle sagome delle montagne, al crepuscolo. 

Le stelle brillano come brilla Pistoia

oltre le montagne, la montagna

che sembra un cane a cuccia

un cane verdone, quel grosso barbone

che bada all’universo

sotto le stelle

e nell’alone, della luna

del regno mio

 

luna titubante

mi guida verso le croci

le tre croci bianche

e poco distante

la città brillante

i grilli sono gli unici compagni, ormai

semmai il nulla

sotto i piedi il dirupo,

e il lupo

che ulula.

funghiEsseri umani se ne vedevano raramente, lassù: c’era Chiodo, l’ex-falegname che veniva a passare il tempo con noi, ogni tanto, e con una boccia di grappa, chiaramente. Pare che sia scomparso per un periodo lungo, quando è morta sua moglie. Avrebbe vissuto mesi e mesi nel bosco, da eremita. Avrebbe avuto delle visioni, ma per me è stata la grappa, o qualche fungo strano. A volte dormiva in una piccola struttura accanto al rifugio, quello vero, tipo una stalla, messa a disposizione dal Comune. Poi c’erano gli amici anarchici di Antò, un toscano molto dolce anche se pazzo, che faceva una ribollita da paura. A pensarci poi, qualsiasi cosa preparasse era la fine del mondo. 

Pippo, invece, era milanese, e più giovane. I capelli ce li aveva neri carbone, come il pelo del suo cane, e le labbra un po’ particolari. Tipo quelle di Jeff Buckley, il mitico cantante affogato nel Mississippi nel ’97, quando iniziai l’università e mi mancavano tanto la sua voce e i suoi testi paranoici. Mi manca tuttora. Anche gli occhi di Pippo avevano una bella forma. Io negli uomini guardo sempre gli occhi, la forma voglio dire, non tanto il colore. E i suoi avevano proprio una bella forma. Non mi innamorai subito, però. Intanto mi erano venute un po’ di paranoie, dopo che mi ero offerta per il lavoro estivo, nell’agenzia di collocamento dove ci siamo incontrati (Dal diario di un’olandese volante n. 13). In fondo non sapevo nulla di lui, né del rifugio. Magari non esisteva nemmeno! Dopo le esperienze con il ciccione siciliano del nightclub e lo stalker che mi aveva afferrata nei Giardini Margherita (Dal diario di un’olandese volante n. 12), mi ero fatta un po’ meno tonta. 

Jeff BuckleyEppure presi il treno per Porretta Terme, un venerdì pomeriggio, dove mi sarebbe venuto a prendere Pippo. Quando salii sulla sua station wagon un naso nero spuntò da dietro e mi guardò incuriosito. ‘Lo sai che hai un cane qua dietro?’ – ‘Ah sì, scusa, non ti ho chiesto se eri allergica…Ti presento Madley’. Cioè Muttley, il cane di un cartone animato americano che non ho mai visto. Salendo per le stradelle della montagna parlavamo di Bologna, del Dams dove Pippo aveva studiato, dei suoi viaggi sperimentali ad Amsterdam, tipo Tondelli che parte per il Brennero al venerdì sera, etc etc. Era pazzo e quindi mi piacque. 

Arrivati su, non c’era nessuno. Antò non era ancora arrivato. Io poi feci una scoperta sconcertante: quella di dover passare l’intero weekend con loro. Non avevo capito: pensavo di andare a fare una specie di colloquio informale, per poi tornare subito a Bologna. Non avevo portato nemmeno il cambio! Per fortuna che sono anarchica di natura, e mi sono adattata abbastanza bene. I denti li ho lavati con un dito, e per due notti ho dormito vestita: le stanze non erano riscaldate, e il bagno ancora di meno. Era tutto un po’ rudimentale. Ma mi piacque la grossa candela rosa che Pippo mise nella ‘mia’ stanza, quella prima notte. Un timido benvenuto in un mondo tutto nuovo.

 (editing by Beatrice Nefertiti)

 

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