di Endriu
Passato il 25 aprile, passato il primo maggio, ora ci si avvia verso la prossima festa, il due giugno, che purtroppo cade di domenica. Ops, spero che la Merkel non mi senta… Però è vero che qui in Italia si fa presto a trovare un motivo per stare a casa o fare il ponte. Ma non voglio ricadere nello stereotipo secondo il quale i popoli mediterranei fanno sempre di tutto per non lavorare. Pure in Olanda ci sappiamo fare, anche se siamo meno condizionati dalla Chiesa: niente primo novembre, niente otto dicembre, niente Befana. In compenso celebriamo la festa di San Nicola, con il tradizionale rientro – dalla Spagna, anche se storicamente era turco, a quanto pare – del Santo dalla barba lunga e col cavallo bianco, il 5 dicembre. Ormai è una festa tutta commerciale, al pari di Natale, con i classici biscotti allo zenzero – memoria del passato colonialista degli olandesi volanti che preferiamo non ricordare – che già a fine ottobre appaiono nelle vetrine dei negozi. Ogni anno ‘Sinterklaas’ arriva, con la sua nave, in una cittadina prescelta, con i suoi aiutanti neri che, nell’era del multiculturalismo, hanno perso quell’alone di simpatici protagonisti di tenere canzoncine per bambini, per vedersi contestati dalle comunità di immigrati di origine mediorientale. Non piaceva il fatto che gli aiutanti del Santo fossero neri, tipo schiavi. Per me hanno preso un po’ troppo sul serio la cosa, ma poi lo sapete che sono una politicamente scorretta!
Comunque, non è un giorno festivo. Si lavora, poi la sera ci si scambiano i regali che devono essere imballati in modo creativo, tipo in una scatola che rappresenti qualcosa legato alla vita di chi lo riceve. I più piccini, quelli che credono ancora a Sinterklaas, mettono davanti al camino una scarpa con dentro una carota, così di notte gli aiutanti scendono giù dal camino – ecco il motivo per cui ho sempre pensato che erano neri… per via del camino! – per portare la carota al cavallo del Santo che è rimasto sui tetti. In cambio lasciano un regalino. Ma solo a quelli buoni, eh. I cattivi prendono le sculacciate.
Il nostro 25 aprile, invece, è il cinque maggio. La sera del quattro c’è una cerimonia nella Piazza del Dam ad Amsterdam, con la famiglia reale che depone un paio di corone di fiori sul monumento ai caduti, seguito da un minuto di silenzio. Mi commuove sempre. Il cinque, invece, è proprio festa, con festival di musica in tutto il paese, un po’ come il primo maggio in Italia. È qui che mi salta all’occhio la grande differenza tra l’Italia e l’Olanda, per quanto riguarda la memoria della Seconda Guerra Mondiale: niente polemiche, niente “olandesi brava gente”, nessuno a rimuginare su chi aveva ragione, chi aveva torto, chi aveva ragione ma non doveva uccidere, chi aveva torto ma non poteva fare altro che uccidere… Una corona di fiori, un minuto di silenzio, e musica. Non per dire che quel passato viene ‘nascosto’ dietro alla cerimonia, come spesso accade. Semplicemente, non mettiamo in dubbio il male profondo rappresentato dal nazismo e dal fascismo. Certo che abbiamo i naziskin, o i negazionisti dell’Olocausto. Anche i populisti anti-immigrazione non si sono mai risparmiati. Ma non abbiamo avuto Mussolini, né la Repubblica di Salò, e questo cambia la mentalità. La Resistenza sì, e anche i traditori, come la tragica storia di Anne Frank ci insegna. Ma almeno l’abbiamo imparata, quella lezione. Più o meno.
La festa della donna, infine, non esiste proprio. Certo che anche in Italia non è proprio festa, però le mimose gratis la Coop te le offre. Se consumi, ovviamente, da brava donna di casa. E se cade di domenica Rufiazio regala una mimosa alla Littizzetto, la sua piccola Lucianina, prima di lanciarle la solita battutina dispregiativa. Poi il giorno dopo si torna a picchiare, a toccare, a screditare. Forse non si festeggia in Olanda proprio per questo, perché non serve un giorno per dire alle donne “ti voglio bene”. Ora mi salterà addosso mezza Italia, ma scusate, siamo proprio indietro qua, e non parlo solo del femminicidio.
Una festa tutta nostra, però, ce l’abbiamo. E’ quella della Regina. Forse siamo gli unici a festeggiare il suo compleanno, e in effetti non c’è proprio da giustificarla. Diciamo che è il nostro sfogo, la nostra notte da leoni, l’unico giorno in cui possiamo legalmente andare giù di testa. E vendere qualsiasi cosa in piazza o in strada, tipo mercatino, senza pagare tasse. Quindi tutti si mettono fuori con le cose vecchie che non usano più e le vendono ai vicini di casa, per dire. Mi direte: Wow, che festa!… Ma non si fa senza bere. Poi si balla, ci si dipinge di arancione o con i colori della bandiera olandese, si indossano stupidi cappellini suonando trombe da stadio. Un bel casino. Amsterdam è invasa, assolutamente da evitare. Ve lo dico io che ho fatto l’errore di andarci, l’unica volta in vita mia che sono andata a festeggiare. Sono rimasta semi-schiacciata dalla folla, in pieno centro, con qualche sporcaccione che cercava di toccare il culo alle femmine. Quindi se andate in Olanda, il 30 aprile, trovatevi una bella cittadina di provincia, o anche un paesino, e non fatevi impressionare dagli olandesi pazzi e ubriachi duri.
Il 30 aprile, poi, non è nemmeno il vero compleanno della Regina Beatrix, sostituita – il mese scorso – dal figlio, Willem Alexander. Storicamente era il compleanno della madre di Beatrix, Juliana. Pensa te, è dal 1949 che lo festeggiamo! Quando Beatrix divenne regina, decise di tenere la data del 30 aprile – furba, mica voleva andare in giro a salutare degli ubriaconi nel giorno del suo compleanno! Originariamente però non era la festa di un compleanno reale: si festeggiava la fine dell’occupazione francese con la sconfitta di Napoleone a Waterloo, che nell’Ottocento faceva ancora parte del Regno Unito dei Paesi Bassi. Questa ricorrenza divenne una festa nazionale che si celebrava a giugno, fino al 1885, quando venne trasformata in festa di compleanno della Principessa Wilhelmina, la nonna di Beatrix, e si spostò al 31 agosto. Prima si chiamò festa – appunto – della Principessa, poi della Regina, ovvero ‘Konninginnedag’ – una parola che da bimbi ho tanto odiato, quando ci facevano fare i compiti di grammatica a scuola, non ricordandomi mai se tra Regina (‘Koninginne’) e giorno (‘dag’) ci andava una ‘n’ o meno (ma questo è un dilemma storico che solo gli olandesi capiranno). Studiando Wikipedia per fornirvi tutti questi dati, leggo con sorpresa che abbiamo comunque festeggiato il primo maggio e che – fino alla Seconda Guerra Mondiale – faceva concorrenza con la festa della Regina. Pare che ci fosse chi festeggiava il primo maggio e non Koninginnedag, e chi invece festeggiava quest’ultimo e non il primo maggio. Dopo la Guerra Koninginnedag vinse la battaglia.
Con l’entrata in scena della figlia di Wilhelmina, cioè Juliana, la data si spostò dunque al 30 aprile. E Beatrix la mantenne fino a quest’anno. Dopo tre generazioni di monarchi donne, Beatrix è riuscita a sfornare solo maschi – ben tre! Dall’anno prossimo, dunque, si festeggia ‘Konginsdag’, il Giorno del Re. Oppure ‘Koningdag’… Poveri bimbi olandesi, c’è il nuovo dilemma: con o senza la ‘s’?! Sarà il 27 maggio, il compleanno del figlio maggiore. Per fortuna, Willem-Alexander con la moglie argentina Maxima – esatto, proprio quelli delle facce sulle porte dei bagni del ristorante a Delft, dove sono stata lo scorso inverno con Junior (Dal diario di un’olandese volante n. 19) – è riuscito a rimettere tutto a posto: sono già a quota tre femmine.
Un giorno, dunque, Koninginnedag tornerà. E prima magari il Giorno delle Principesse. Ah, un’ultima cosa non vi ho spiegato: perché l’arancione. Non è perché ci piacciono le arance, o chissà cosa. Semplicemente il padre fondante della casa reale, Willem van Oranje, si chiamava così. Guglielmo D’Orange. D’Arancia. Che nome ridicolo!
editing by Beatrice Nefertiti
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