di Endriu
La ricerca del lavoro è stata una vera impresa. Nelle agenzie ormai ci andavo senza alcuna speranza, giusto per non dar retta a quelli che ci credono ‘choosy’. In realtà puntavo sulle mie qualità linguistiche, ovvero la traduzione freelance e l’insegnamento, ma trovai solo delle gran fregature, come vi ho raccontato fin dall’inizio di questo mio diario. Debbo precisare, tuttavia, che la prima fregatura è stata opera non di un italiano ma di un nordico, un mio confinante, ma non per quello più affidabile. Anzi, era un truffatore da cinema. Si chiamava Kris Verhelst (vero nome – se lo incontrate denunciatemelo!) ed era belga. Aveva letto un mio annuncio online per lavorare come interprete/hostess e mi ha chiamato, chiedendomi di venire nell’ufficio della sua azienda – una finta scuola di lingue – a Forlì, a parlare di una collaborazione. Fu qui che nacque un mio rapporto molto ambiguo con la città di Forlì.
Avida di prendere il mio primo lavoro di traduzione ci andai, a tempo e spese mie, chiaro. Perché siamo choosy, noi. L’ufficio c’era davvero, compreso segretaria e sala d’attesa con quadri anonimi e pianta finta. Mi diede un malloppo di materiale da tradurre per un sito turistico, ed è stata dura. Non perché fosse difficile tradurre il materiale in sé: le varie ricette per le piadine romagnole, crescentine e tortellini in brodo mi fecero venire l’acquolina in bocca… Povera me, immaginavo già di andarmi a fare una bella cena in trattoria con i soldi guadagnati! Il furbetto mi ha poi fatto tornare a Forlì per portargli la traduzione di persona e non via email, cosa che avrebbe dovuto mettermi in stato di preallarme, ma ero disperata, inesperta e giovane. Una combinazione fatale in questo paese, e Kris se n’è approfittato alla grande. Mi promise un altro lavoro, i soldi me li avrebbe mandati con un bonifico. Quando cominciavano a tardare ho iniziato a rompergli un po’ le scatole, fino a quando non mi diede appuntamento a Bologna, nell’ufficio di un notaio che gli affittava una stanza per i corsi di lingua che organizzava nella città rossa.
Fu lì che iniziai a scoprire la vita reale del nostro Leonardo Di Caprio. Nell’ufficio di Bologna non si è mai presentato, ma incontrai una ragazza italiana che insegnava l’arabo nella sua fantomatica scuola. Iniziammo a chiacchierare e le raccontai del pagamento mancato e dei viaggi a Forlì; lei aveva avuto qualche pagamento ma gliene spettavano altri, che non arrivavano. Una terza ragazza, quella che faceva la segretaria quando sono stata a Forlì, aspettava ancora più soldi. Ci siamo scambiati i contatti, poi quando la risentii dopo qualche settimana, Di Caprio era scomparso. Casa sua era stata abbandonata e non veniva più in ufficio – svanito! Pare che non solo avesse mancato di pagare gli stipendi alla segretaria: lei gli aveva pure prestato dei soldi…
Quando mi hanno contattato aveva già preso in mano tutto un avvocato della CGIL, un ragazzo simpatico, dall’aria rassegnata e per questo ancora più simpatico, perché sapeva sicuramente che non lo avremmo potuto rimborsare. Mi fecero tornare a Forlì (ancora!) per fare la denuncia o non so che cosa, ci capisco poco in queste cose, e poi ero terrorizzata: non avevo mai preso la residenza in Italia, e ogni tanto mi prendevano per extracomunitaria. Chissà se mi avessero fatto delle storie… Non successe nulla di tutto ciò, anzi, la mia sfortunata avventura prese una piega tragicomica: l’impiegata che prese la nostra denuncia era completamente pazza, e se la situazione non fosse stata così triste – dal punto di vista economico – saremmo uscite dall’ufficio ridendo. Cominciamo dal suo aspetto fisico: era uguale identica a Robin Williams in Mrs Doubtfire, con l’unica differenza che i capelli non erano raccolti, ma ricci e sparati all’in su. Con il computer non aveva ancora una grande dimestichezza: per scrivere usava l’indice di una mano sola. O forse non ce l’aveva nemmeno il computer, e ha scritto tutto con la macchina da scrivere…? Non ricordo, era un’esperienza surreale, quella stanzetta piccola e buia, noi tre ansiose davanti alla pazzoide con i suoi capelli elettrici. Sembrava di essere in un giallo: lei, infatti, cercava di ricostruire l’accaduto manco fosse Sherlock Holmes, pensando ad alta voce e ricapitolando dei passaggi interi per poi inchiodarsi su un dettaglio. Quando toccò a me si rifiutò di andare avanti perché non avevo svolto la traduzione in ufficio ma fuori sede, e secondo lei non contava. Abbiamo dovuto mentire per convincerla – l’ex-segretaria ci mise la faccia, testimoniando (a momenti Mrs Doubtfire tirava fuori la Bibbia per farla giurare!) che mi aveva visto lavorare in ufficio. Non era vero, ma non si poteva ragionare con la pazzoide.
Ovviamente non è servito a nulla. Il bastardo non si è mai ripresentato e la nostra denuncia è andata a finire non so dove. Forse le altre ragazze sono riuscite a cavarci fuori qualcosa, ma a me non hanno più detto niente. L’ho cercato su internet, ma mi salta fuori solo un semi-famoso suonatore belga di arpicordo e organo. Pazienza. In fondo ero comunque riuscita a fare pace con Forlì: dopo l’interrogatorio una donna fece l’atto inaspettatamente gentile di offrirmi un passaggio in centro, dove feci un super-affare, al mercatino, comprandomi un paio di bellissimi jeans marron/viola scuro a soli tre euro. E che non mi si dica che sono choosy.
Editing by Beatrice Nefertiti
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la definizione di ‘choosy’ è stata stupidamente coniata da una patetica incapace
Sulla “patetica incapace” sono pienamente d’accordo!