di Endriu
Prima di ripartire per le Highlands, all’inizio dell’anno nuovo, mi capita un incontro particolare. È una giornata indefinibile, nebbiosa ma non del tutto, con il sole che sbircia da dietro i pioppi alti che accompagnano il Navile, il canale che lega la nostra pianura con Bologna. Sto portando fuori il Piccolino, l’ultimo dei tre gattacci ad arrivare nella nostra casa. Sì, gatto, non cane. Perché il Piccolino – ormai non più tanto piccolo, ma il nome gli è rimasto – non è un gatto. Non è neanche gattesco. È pluri-animalesco. Cambia ogni stagione, come il pelo. In effetti lui il pelo non lo cambia: cambia identità. E poi chi l’ha detto che gli animali non possono avere delle crisi mistiche? Forse non è neanche reale. Arrivò poco dopo che uno dei gatti randagi del mio cerchio gattaro, il Gatto Leone (perché di una pelliccia dorata proprio come i leoni), si ammalò e scomparve. Morì, poverino. Mi stava simpatico, il Gatto Leone. Aveva la testa grossa attaccata ad un corpo malformato e poco elegante. Ma era buono. Nonostante il suo aspetto da bullo era sentimentale. Si faceva accarezzare e miagolava con voce rauca, da vero duro del quartiere, spezzandoti nel contempo il cuore. E allora lo privilegiavo un po’, dandogli le scatolette davanti a casa mentre dietro il resto della banda aspettava, ignaro, i soliti croccantini.
Poi un giorno si è ammalato. Non sapremo mai di che cosa, ma si vedeva che stava male. Non si lavava più e di conseguenza aveva iniziato a puzzare. Non si spostava più, dormiva giorno e notte nelle scatole della tendopoli che avevo improvvisato dietro casa, alzandosi solo per mangiare le scatolette e le bustine più pregiate. Lo viziavo, nella speranza che tirasse fuori l’ultima delle sue mille vite. Ma non si riprese più. Stava proprio male, si vedeva dalla lingua che teneva fuori, e spesso perdeva l’equilibrio. Un giorno ho visto tracce di sangue dentro il suo cuccio-scatola, e sapevo che mancava poco. Avrei dovuto portarlo dalla veterinaria ma a parte il fatto che non avrei potuto tenerlo in casa per la cura, avendo già altri gatti di cui uno particolarmente geloso, penso che a volte la natura debba fare il suo corso. E così, da un giorno all’altro, scomparve il Gatto Leone. Mi fa male pensarlo moribondo in qualche fossa, o nella casa abbandonata in centro al paese, e mi pento di non averlo portato comunque dalla veterinaria, per farlo almeno morire tranquillo e veloce. Ma è andata così. Il Gatto Leone poi muore dove vuole lui. Quando vuole lui.
Tuttavia non ci ha abbandonato del tutto. Pochi giorni dopo l’ultima sua apparizione è arrivata una new entry. Ancora un gattino, avrà avuto sì e no tre mesi, forse quattro. Aveva la pelle gattopardata, e per un po’ abbiamo pensato che fosse un figlio bastardo del Gattopardo, un altro membro della banda. Solo dopo capimmo che era il Gatto Leone rinato… Lo trovai dietro casa, una sera al ritorno dalla Casa del Popolo, dopo un’assemblea. Stava mangiando i croccantini lasciati per gli altri gatti, e ovviamente mi ha fatto pena vedere questo piccino racimolare le briciole. Tra l’altro era inverno e stava per nevicare. Ora pensate, l’avrà pur preso dentro casa? Eh no, non potevo, per il solito motivo: il Principe. Quando prendemmo in casa Beelzebub, la seconda della nostra famiglia gattara, mamma mia non vi dico le scene che ha fatto il Principe. Ha pure spaccato il suo ciotolino, quando gliel’ho tenuto davanti per farlo mangiare. Che bambino! E quindi ho iniziato a nutrire il Piccolino, fuori. Povero, faceva di tutto per entrare dentro casa: si arrampicava sul vetro della porta, saltava, ballava, qualche volta addirittura s’infilava dentro, nascondendosi sotto il termosifone vicino alla porta, come per dire “QUI voglio stare”. Povero! Aveva pure un raffreddore che attribuimmo al freddo e alla neve, anche perché sfiga voleva che il Piccolino non facesse il pelo invernale.
Allora ci siamo mobilitati e gli abbiamo trovato una famiglia adottiva. Purtroppo non ha funzionato. Il marito era allergico ai gatti ma ci volevano provare lo stesso, solo che hanno beccato il gatto più marcio del mondo! Vedete, il suo raffreddore non era di passaggio: era cronico. Ormai lo chiamiamo l’Untore, o anche Sputnik, per i catarri che sputa in continuazione. Povero, non è colpa sua: dalla veterinaria e si è beccato tutte le medicine e tutti le cure possibili, incluso l’aerosol! Ma non c’era niente da fare, e dopo pochi mesi ce l’hanno riportato. Dietro, però, ci voleva stare ancora meno di prima e alla fine mi sono arresa: l’ho fatto entrare. Sarà stato il giorno più bello della sua vita, quando ha varcato il suolo di quella porta maledetta, quell’odioso ostacolo che l’ha sempre separato dal paradiso. Wooooow, finalmente dentro! Con il Principe abbiamo dovuto fare i conti, e non è stata una passeggiata, ma alla fine ha mollato pure lui. La Beelzebub non l’ha cagato pari.
E così ci siamo arricchiti di un altro gatto. Gatto per dire, perché di normale non c’è nulla in quell’animale. Sarà l’effetto della sua infanzia passata per le strade, a sopravvivere, a tentare di entrare nelle case delle persone? Il trauma, l’abbandono, i trasferimenti, i cambi di famiglia, il freddo, fuori… No, fuori non ci vuole più andare, al punto che la cacca se la tiene pur per non dover uscire. Ormai l’ho capito quando è il momento: si mette sulla sedia in cucina, tutto compatto come chi deve andare in bagno ma non può e si stringe la pancia. Perché la lettiera – essendo i suoi escrementi una vera arma nucleare – l’abbiamo eliminata. E così ho preso l’abitudine di portarlo a spasso per fargli fare i suoi bisogni. Tanto è talmente cane che ti segue dappertutto. Mi resta solo da comprare un guinzaglio e siamo una coppia perfetta di padrona con cane. Travestito da gatto.
Cammino dunque lungo l’argine, sulla strada sterrata che passa dietro alla Casa del Popolo, sempre più abbandonata da quando ci hanno buttato fuori. Il Navile poi prosegue dritto, dove la strada fa una curva verso il nostro paesino, ed è lì che incontro Manlio, un mio vicino di casa. Ormai ha più di settant’anni, ma è ancora in forma. Cominciamo a parlare, della Casa del Popolo, del paese, del canale. “Ma la sai, la storia che c’è dietro a questo canale? Te l’ha raccontato, tuo marito, come ci si campava, una volta? E questi tronchi – indica alcuni cadaveri di pioppi caduti durante un grosso temporale – li avrebbero mica lasciati qua, cinquant’anni fa! Allora sì che c’era la crisi”. E parte la macchina della memoria. Mi racconta di come il canale fu usato, per secoli, dai braccianti che popolavano queste terre. Caricavano i loro prodotti sulle navi, tirate dai cavalli fino a Bologna. Mi racconta di quando lavorava nell’essiccatoio di riso, l’attuale Casa del Popolo, di come facevano scendere i sacchi pieni di chicchi di riso dalle finestre più alte, giù fino all’argine dove venivano caricati sulle navi. Mi racconta anche la storia della vecchia casa del popolo, quella storica, alla quale tutti nel paese contribuirono per poi perderla quando Rifondazione Comunista la svendette, negli anni Novanta. Speriamo che non arrivino a vendere pure quella nuova.
Manlio non si ferma, ha tante cose da raccontarmi ma mi viene freddo alle punte dei piedi, bagnati dall’erba umida. Allora mi invita a casa, dove mi fa vedere libri, foto, poche foto. Erano troppo poveri per avere le macchine fotografiche, ma l’immaginazione di Manlio è talmente viva che non servono: si ricorda tutto come se fosse accaduto l’altro ieri. E così imparo la storia del reggente tedesco, ucciso assieme al suo autista nel centro del paese, e la rappresaglia che portò al cimitero una dozzina di partigiani. Mi parla di quell’altro tedesco che vide morire, ucciso da un aereo britannico, mentre passava con il suo sidecar sulla strada sterrata di fianco al canale. Mi conferma che i tedeschi sono stati anche nell’attuale Casa del Popolo, per un breve periodo di tempo, e la sua testimonianza del loro continuo stato di ebbrezza concorda con una scritta sul muro di una delle cantine: “in vino veritas”. Mi riempio di orgoglio, infine, quando mi svela che nella nostra piccola casa ha vissuto una medaglia d’argento, un giovane partigiano morto nell’Appennino, lottando per il suo paese, con e senza maiuscola. Il mio paese. E mi rendo conto che anch’io devo lottare, per salvare la Casa del Popolo e le idee per cui nacque tanti anni fa. Per salvare la memoria di Manlio.
Sono carica quando rientro a Glasgow, nonostante il viaggio lungo e noioso: ho dovuto fare scalo a Londra e nei non-luoghi il tempo passa sempre troppo lentamente. Ma Manlio mi ha dato forza e volontà di lottare. Di colpi di stato ne abbiamo avuti troppi, ultimamente. E mi serve il suo sostegno perché su in Scozia lo “scandalo” della mia offesa al porridge non è ancora passato. Lo stanno pure utilizzando per convincere la gente a votare “sì” per il referendum sull’indipendenza! Il racconto incriminato, per dire, lo hanno mandato a tutti gli hotel, B&B, agriturismi e mense, per svelare il mostro che ha osato offendere il loro delizioso piatto. Il bello è che questi, in gran parte, non offrono neanche il porridge a colazione e si staranno chiedendo, ma che ca**o vogliono questi? Solo Coffee Cup, la famosa catena inglese di coffee shop, si è schierata: sta facendo pubblicità per un’offerta speciale per colazione, dove ti danno il cappuccino con un piatto di porridge con miele. Porridge con cappuccino?! Ma andiamo…
Personalmente spero che non ottengano l’indipendenza, fosse solo per la notizia agghiacciante giuntami di recente sull’ambizione al trono di Scozia da parte della Duchessa María del Rosario Cayetana Alfonsa Victoria Eugenia Francisca Fitz-James Stuart y de Silva. Sì, si chiama proprio così. È una lontana discendente della famiglia reale degli Stuart che regnò in Scozia tra il ‘400 e il ‘700. Oltre al fatto che i reali, secondo me, si devono trovare un vero lavoro, vorrei proprio evitare di trovarmi la Duchessa sulle prime pagine dei giornali: la chirurgia plastica l’ha trasformata in un personaggio da film splatter! Altro che porridge…
Vi rammento (sììì ancora una volta), che ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale. Mi raccomando.
editing by Beatrice Nefertiti
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