di Endriu
L’indiretta responsabile – anzi, diciamocelo, la colpevole – del mio avventurarmi in Italia per perseguire l’ennesima laurea, abbonandomi a una vita di precarietà nell’accademia, è Marica, la mia relatrice di tesi di laurea triennale in Olanda, prima della fuga verso sud. Credo sia stata lei a far innescare la fiamma della sapienza in me, quella curiosità di studiare il mondo, di sapere, di continuare ad andare senza mai guardarsi indietro, fino a crepare. Forse è stata anche lei a incoraggiarmi a fare l’Erasmus a Bologna, come aveva fatto pure lei, anni or sono. Mi ricordo ancora i suoi racconti pazzoidi di quei tempi, le avventure che potevano capitare soltanto a Marica, tipo la notte che i suoi coinquilini bolognesi parcheggiarono un amico ubriaco nel suo letto, con lei già dentro che dormiva, per svegliarsi alla mattina con questo qua – magari sbavante e russante – al suo fianco… oppure di quando andava a lezione di clarinetto a Castelmaggiore, in bicicletta, da brava olandese. Purtroppo bucò la ruota e dovette continuare a piedi, fino a quando non si fermò un trattore carico di granoturco tagliato, e lei si fece un giretto schiacciata nel sedile del trattore, fianco contro fianco col contadino che puzzava di sudore e parlava in stretto dialetto bolognese!
E così ho seguito i suoi passi, non proprio sopra il trattore ma in campagna sì. All’università feci anch’io il il viaggio nell’inferno dantesco del Professor Pasquino, lessi le poesie di Zanzotto con la Lorenzini, conobbi Tondelli nelle lezioni di Bertoni. Da Tondelli sono arrivata al Settantasette e alla morte di Francesco Lorusso, sulla quale feci la tesi di dottorato; dall’ufficio Carriera dell’Università in via Zamboni (Diario di un’olandese volante n. 40) sono arrivata nel rifugio meraviglioso, su nell’Appennino tosco-emiliano (Diario di un’olandese volante n. 14), che mi portò giù nella bassa, in piena campagna, alla Casa del popolo da dove siamo poi stati espulsi, come sapete oramai. A volte la vita ti fa dei veri e propri scherzetti…
Dopo i miei primi tre anni a Bologna è stata di nuovo Marica a mettermi un’altra volta in fuga, rimandandomi su al nord, in Inghilterra. Stancata della continua e vana ricerca di lavoro che mi aveva portato nel mercato storico di Bologna, la Montagnola (non per fare compere low-cost ma a lavorare, per intenderci), decisi di tentare un dottorato. Marica mi propose come relatore un professore che aveva passato un paio di anni nella Bologna dei primi anni Ottanta (mi viene da pensare che ci deve essere qualcosa nell’aria di quella città, qualcosa di speciale, una droga d’ispirazione). Fu proprio a Bologna che lo incontrai per la prima volta, a un convegno organizzato da un gruppo di ricerca dell’Università. Non ci sarei andata se non fosse per qualcuno che faceva parte di questo gruppo di ricerca e che mi aveva chiesto di venire. Non ci crederete mai ma è stata Enza, la mia personal punkabbestia, quella che ha frequentato un unico corso nei due anni che sono stata nell’appartamento di Via Irnerio, senza mai fare l’esame! Enza. Madonna. Faceva parte di un gruppo di ricerca e aveva pure scritto un capitolo nel libro che stavano presentando durante il convegno. Enza aveva dunque pubblicato prima di me?! Pensa te. E ora dovevo venire con lei – eravamo ancora nella fase in cui si approfittava della mia solitudine e faceva la simpatica per incorporarmi nel suo cerchio di sudditi punkabbestiani e non – alla presentazione. Ma mica per un mio arricchimento intellettuale! O suo. All’epoca ero appassionata di fotografia, e l’egocentrica voleva che le facessi delle foto durante la presentazione del libro… purtroppo per lei non era una star accademica e sul palco non c’è manco salita! C’erano invece prof e ricercatori vari, per lo più maschi, tra cui il prof inglese e un suo collega che anni dopo sarebbe diventato il relatore esterno della mia tesi di dottorato su Lorusso.
Un complimento le devo pur fare, però, a Enza: il fatto che si buttava nelle cose e sulle persone, senza paura. Voglio dire, in certi momenti aveva una specie di coraggio, un menefreghismo che bisogna ammirare, e in quell’occasione è stato fondamentale. Anzi, forse le cose sarebbero andate diversamente se…? Hmmm, non esageriamo. In ogni caso, mi ha fatto un grande favore spingendomi ad andare a parlare col prof. Ci eravamo sentiti solo tramite email, per un dottorato che avrei voluto fare con lui a Londra, ma bisognava parlargli di persona se volevo che le cose si muovessero un po’. È che durante la noiosissima presentazione mi aveva colpito la sua somiglianza con Christopher Walken, l’attore che interpreta il Cavaliere senza Testa in Sleepy Hollow, il thriller con Johnny Depp. Avete presente quando recupera la sua testa? Ehh, non è un bel vedere. E quindi me l’immaginavo cattivo e acido, ed essendo perlopiù timida non mi andava più di approcciarlo se non fosse stato per Enza che mi spinse, letteralmente, verso di lui. Non era per nulla acido, anzi. Il suo collega, invece, corrispondeva molto di più all’immagine che mi ero fatta del prof, e non è molto migliorato nel corso degli anni a venire, almeno dal punto di vista dei rapporti interpersonali. Ma questi sono sempre un po’ faticosi per gli inglesi.
Da lì è dunque partita l’avventura nuova, quella britannica, dove avrei incrociato Marica in vari convegni internazionali. Dovete sapere che Marica è malata di convegni. È continuamente in partenza, Olanda-Italia-America, va dove la porta il cervello. Ma non è mica una calamita puramente intellettuale, eh. Chiacchiera, ride, mangia come un maiale, anzi, spesso mi viene da pensare che scelga i convegni in base alle tradizioni culinarie locali. Va in giro per i locali, gelato qui, aperitivo là, ehi ma facciamo un girettino sul lago? Eh, se la spassa. Giustamente. Se no s’impazzisce.
Di recente l’ho rivista a un grosso convegno in Svizzera, continuamente circondata da vecchi e nuovi amici, colleghi e studenti. Parla parla, non rifiuta mai di dare la mano a uno, chiedere notizie a un altro, anche se mi ha a malapena salutata, il primo giorno. Diciamo che è un po’ distratta, a volte… ma anche strega. Non solo mi ha incantata a fare la ricercatrice: quando ci vediamo ai convegni mi fa fare cose che non avevo programmato. Mi distrae. Così quando la vedo a questo convegno in realtà voglio solo salutarla. Non ho intenzione di andare alla sua sessione, che sta per iniziare, ma alla fine lei mi trascina dietro e mi perdo un’altra sessione più importante per il mio attuale progetto di ricerca, sulla memoria collettiva del femminismo in Italia. Ecco, vedete la stregoneria? Per indurmi a venire su con lei mi ha negato il saluto, sapendo di innescare in me un meccanismo psicologico di incertezza, rancore e confusione tale da farmi venire dietro a lei per poi chiudermi nella saletta che era talmente piccola che la porta presto si bloccò, e non potevo scappare!
Perdo un’altra sessione, allo stesso modo, ma almeno questa volta ci troviamo in una terrazza, fuori all’ombra, a mangiare un gelato. Oltre a Marica c’è una sua collega-amica che la prende in giro. È il bello di Marica: non si incazza mai. Ride e basta. Si presta anche bene a prendere le colpe, di qualsiasi cosa. In effetti ho iniziato la puntata proprio così, no? Tanto non gliene frega nulla. Ride! E quindi la collega, che dormiva nello stesso hotel, si lamentava appunto di questo. “Perché?” le chiedo divertita. “Perché questa ci ha praticamente portato nella red light distrikt di Zurigo! Sotto la nostra finestra è un continuo traffico di prostitute”. Effettivamente quella parte del centro storico era ben caratterizzata: io stavo vicino a loro e di fronte alla porta di entrata del mio albergo c’era un sexy shop con nightclub adiacente.
Marica prende anche la colpa di un’altra sessione dove devono parlare lei e la collega, programmata alle otto del mattino; del fatto di non trovare un ristorante, una sera che siamo una decina di persone, e invece ci porta in un mercatino medievale a mangiare salsicce in piedi; del ritardo di un’ora con cui usciamo dall’università dopo la sessione prima di pranzo, l’ultimo giorno. Doveva salutare la gente, ma ne conosce troppa e si perde, si perde sempre… Prima di salutare lei e gli altri Amici di Marica, sotto un simpatico sole svizzero, la battezzo capro espiatorio. Mentre mi allontano sento la sua amica belga rivolgersi agli altri: “Una domanda linguistica. Marica è caprO o caprA?” Ma non fa niente. Siamo fieri sudditi nel Clan di Marica (battezzato MariClan), e Marica la nostra Padrina (pronunciate la erre con accento siciliano), quella che conosce tutti, che sa tutto di tutti, che vede e sente tutto…
Passo nel mio albergo a prendere la valigia che avevo lasciato dietro al banco, dalla receptionist acida (come poi gran parte degli svizzeri mi sa – hanno tutti il referendum nazionalista scritto in faccia!). Mentre sistemo dentro il cappotto, che mi è venuto caldo, vedo una coppia seduta su una poltrona nell’hotel, in attesa di qualcosa. Sono inglesi, pensionati e un po’ sovrappeso. Tacciono ma ad un certo momento lui fa, secco, con quel tono satirico tipicamente britannico: “Ma guarda, un sexy shop di fronte all’albergo”. La moglie lo guarda con odio indifferente. “Hai scelto proprio un bel posto, sai”. Ma nooo, mi viene da dirgli, non c’entra sua moglie. È tutta colpa di Marica!
Vi continuo a rammentare che ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale. Mi raccomando.
editing by Beatrice Nefertiti
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