di Endriu
Mentre l’aereo discende pian piano verso il Marconi, l’Appennino mi saluta con un’inconsueta dolcezza, la delineazione delle montagne leggermente sfocata per il contrasto con un tramonto degno del talento di un Turner. Inconsueta forse per i sei mesi che mi hanno tenuta lontana dall’abbraccio di quelle meravigliose montagne che hanno così inciso sulla mia vita. Tant’è che mi emoziono quando intravedo la sagoma scura del santuario di San Luca, un faro in mezzo alle onde verdi dell’Appennino. Quel “Casa!” sospirato con cui ogni viaggio dovrebbe sempre terminare. Sei mesi sono tanti.
Dopo Zurigo sono tornata in Scozia, ma senza liberarmi del tutto dalle pazzie di Marica perché il mese dopo mi invitò in Olanda, per partecipare ad alcuni incontri all’università, in lingua multipla e sparsi per due città diverse, per due giorni consecutivi (tanto per non farci venire la noia). E così dovetti fare il tragitto Utrecht-Amsterdam, sempre di corsa e in due giorni di seguito, insieme a una seconda vittima non ancora dotata del sistema immunitario che serve per resistere ai ritmi frenetici di Marica. Povera, ha dovuto mollare la sera del primo giorno, fisicamente disfatta dalla traversia che, inutile dirlo, fu tutta colpa di Marica. Io gli anticorpi me li ero fatti a Zurigo.
Quando rientrai in Scozia mi aspettava una traversia di tutt’altra dimensione. Vi ricordate le mie sfortunate uscite sul porridge, tanto offensive da guadagnarmi l’ira della popolazione locale e i rimproveri dell’intera amministrazione della mia università? La vicenda non si era placata, anzi, l’accrescere dello spirito pro-indipendenza imperava soprattutto a Glasgow, città di sinistra e capitale operaia della Scozia, tanto più desiderosa di buttare a mare l’odiata monarchia rispetto alla nobile Edimburgo. Non per caso quest’ultima, secoli fa, tradì il povero William Wallace, consegnando il condottiero nelle mani di Re Eduardo I e così facendo garantendo all’indiscutibile eroe nazionale una morte atroce sotto le mani dei boia britannici (per niente inferiori a coloro che stanno seminando orrore nei tempi correnti), reo di aver ostacolato il grande impero nelle sue avventure pre-colonialiste.
Guai a chi tocca il porridge!
I mesi che precedevano il referendum, il 18 settembre, sono stati un vero e proprio calvario. Varie associazioni hanno pubblicato delle lettere di condanna sui giornali locali o nei blog, quasi buffe con il loro tono pseudo-giuridico e moralista, manco fossero dei preti farisei scatenatesi contro l’indegna eretica dei loro tempi. Qualcuno addirittura pretese che ritirassi i raccontini incriminati o, in alternativa, sostituissi la parola “porridge” con un’altra parola, per non offendere gli scozzesi. Una premonizione di ciò che sarebbe avvenuto in Francia, all’inizio dell’anno nuovo? Beh, grandi organizzazioni terroristiche di matrice pseudo-religiosa o nazionalista non le ha mai prodotte, la Scozia, se escludiamo le tragiche lotte per l’indipendenza del suddetto – ma per niente suddito – Wallace. Tuttavia mi hanno diffidato a scrivere altri racconti fino all’anno nuovo, e per essere sicuri di potermi tenere sotto controllo l’università mi ha negato il permesso di prendere le ferie e di tornare in Italia durante l’estate, obbligandomi a passare tutti quei mesi nelle umide Highlands (sì, anche d’estate, che qua non esiste).
Lì per lì gli scappava pure una denuncia: in una delle mail pubblicate in rete qualcuno scrisse che c’erano i motivi per una querela… Qualche collega mi ha addirittura tolto il saluto. Altri facevano finta di non vedermi, per non dover scegliere se salutarmi o meno, massima espressione dello spirito democristiano che evidentemente è ben radicato anche nella sinistra. Dall’altro lato c’è stato un po’ di resistenza da parte di un piccolo movimento consistente di studenti e docenti che, poco dopo la pubblicazione dei racconti in questione, prese le mie difese e votò Edward Snowden – la famosa ‘talpa’ della CIA che rese pubblici i dettagli di un programma di sorveglianza top secret – il nuovo, Magnifico Rettore dell’università, puramente come presa di posizione per la libertà di espressione e di stampa che sta crollando un po’ dappertutto.
Chiaramente qualche idiota ha dovuto ribattere, dicendo che la mia non era stata libertà di espressione ma di offesa. Oddio, ti ho offeso la mamma? Ora mi picchi?! Eh già, siamo arrivati pure a questo: un giorno durante i miei imposti arresti domiciliari, mentre andavo a passare il tempo all’università (deserta ma perlomeno riscaldata), mi è arrivata addosso una tipa. Aveva sui cinquant’anni, portati male e senza che il trucco e i vestiti giovanili glieli potessero nascondere in qualche modo, anzi. Quando mi ha riconosciuto ha cominciato a urlare con voce rauca e consumata, la naturale conseguenza di troppe serate passate in compagnia di birra e sigarette, per giunta in pieno dialetto Glaswegian. Disse che il porridge non si toccava e come ho osato criticare la loro cultura, brutta troia, i panni sporchi si lavano in famiglia. La interrompo: “Cara signora,” le dico con la massima calma, “chi dice così probabilmente non li lava mai e va in giro con i vestiti talmente puzzolenti che non se ne accorge neanche più.” Sbam! Mi picchia in faccia con la sua borsa di pelle finta, brutta con le borchie di plastica che però mi fa male, cazzo, gli occhiali volano e rimango a terra senza vedere l’acida allontanarsi mugugnando. Un turista stupito e scioccato, ignaro della mia cattiva fama da queste parti, mi aiuta a rimettermi in piedi e mi consiglia di fare denuncia, ma lascio perdere. Tanto non capisce niente, poveretta.
Ora direte, ma non è un po’ troppo? Per il porridge?!
Non l’avete ancora capito allora. Ma se sto facendo satira! Mai nessuno mi ha detto qualcosa per il porridge, che ribadisco, mi fa sempre l’impressione di essere un piatto di vomito scaldato, e non tiro indietro alcuna parola. Ma la Scozia l’adoro (se non prendiamo in considerazione il clima), e a vedere Braveheart ho pianto. Né mi hanno negato il permesso per tornare in Italia, dove ho passato tre mesi e passa a raccogliere interviste per la mia ricerca, conoscendo donne meravigliose che mi hanno ulteriormente convinta a non cedere alla censura, e di non stare mai zitti, mai. Tuttavia ciò che ho raccontato non è tutta finzione, purtroppo. In Francia hanno sparato davvero contro chi esercitava il proprio diritto di libertà, e una rinomata casa editrice britannica ha recentemente incitato i suoi autori a non usare le parole “maiale” e “porco” nei libri, per non offendere lettori di fede ebrea o musulmana. Addio Peppa Pig? Chissà se torniamo ad usare un Index Librorum Prohibitorum, non tanto per i libri ma per le parole che possano offendere. Ma offendere chi? E chi lo decide? Pensate che un copywriter americano è stato licenziato di recente dopo essere stato attaccato per un suo pezzo satirico dove avrebbe offeso, tra l’altro, le persone di colore. O afroamericani… Boh, non so, ditemi voi, cosa posso dire che non sia offensivo? Per la Kyenge va bene “negro,” ma meglio non rischiare. In una trasmissione radiofonica qualcuno lo criticava dicendo che non si toccano i gruppi vittimari, non capendo che definendo le persone nere “vittime” sarebbe già un po’ razzista. Certo che bisogna stabilire dei limiti, specie in questi tempi dove la gente va sul web per sparare cazzate e minacce a gogo, e non lo possiamo certo accettare (tranne in Italia dove tutto apparentemente si può dire in pubblico, basta che sei importante e che dici di essere stato frainteso). Ma bisogna anche usare un po’ la testa quando si decide cosa va e cosa non va.
Ultima notizia: in India un famoso autore si è autodichiarato creativamente morto, dopo aver ricevuto minacce di morte (reali) per un suo romanzo, dove descrive una donna che cerca di rimanere incinta tramite un rito religioso.
Oltre alla libertà di espressione stiamo uccidendo anche l’immaginazione, la fantasia, la creatività.
Parole prese alla lettera, per incapacità di comprendere la satira.
Parole scambiate per altre, per volontà di malinteso.
Parole non lette proprio, per fretta di denunciare chi la pensa diversamente da te.
Ma non mi sono scatenata contro il porridge per niente. Era satira, appunto, una metafora per una libertà infranta davvero e che solo in questo modo posso continuare a denunciare. Ma lascio a voi a capire qual è.
Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale. Mi raccomando.
(editing by Beatrice Nefertiti)
- Le apparizioni di Gesù risorto - 20 Febbraio 2017
- Un vizio capitale: l’invidia - 6 Febbraio 2017
- La melodia dell’amore - 30 Gennaio 2017