Terzo anno del diario di bordo dell’estate in Calabria.
Quest’anno per ragioni troppo lunghe a spiegarsi ho portato con me tre gatti: Gattone e i due bambini, Anando e Pisellino. Pisellino ha poi cambiato dopo qualche giorno nome ed è diventato Lince. Poi, da oggi, si è trasferito da una mia amica e resterà qua vivendo insieme ad altri quattro gatti, due cani neri e qualche gallina che lui ha guardato perplesso e sospettoso e cinque oche che passano a volte sul prato spettegolando.
Gli hanno di nuovo cambiato nome, adesso si chiama Giovanni. Gli altri torneranno con me, così i miei gatti sono ritornati ad essere 15 e non 15 più Pisellino, che mi hanno portato piccolo piccolo (come è ancora adesso) il 10 agosto.
Poco fa, parlando con Gattone, pensavo a quanto il mio amore per gli animali abbia migliorato la qualità della mia vita.
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All’inizio di questa mia vacanza mi sono accorto che stavo leggendo o rileggendo tre libri in contemporanea. La sera per addormentarmi un giallo di Ed McBain, pseudonimo di Evan Hunter, a sua volta pseudonimo, come non tutti sanno, di Salvatore Albert Lombino (questi discendenti da italiani sono ovunque). Durante il giorno rileggevo L’amore ai tempi del colera di Gabriel García Márquez e al mare rileggevo La tamburina di Le Carré.
L’amore ai tempi del colera comincia nel segno della morte e finisce nell’ultimo quarto nel segno della vecchiaia, una vecchiaia ottimista quella del mio Gabo. È chiaro che non lo ha scritto da vecchio, se no sarebbe stato meno ottimista.
Secondo me, che la sto vivendo, la vecchiaia è il tempo della paura. Prima tra tutte la paura della morte o per meglio dire, almeno per quanto mi riguarda, il timore di come morire. Paura del dolore, paura per la tua qualità della vita, paura di un decadimento dell’unico organo che mi funziona ancora bene e che magari dalla maturità ha tratto forse qualche vantaggio, il mio cervello.
E per come stanno le cose oggi in Italia, paura di non poter scegliere, di non potere dire io basta quando lo riterrò opportuno. Avessi questo potere non avrei i dubbi di Amleto, ma privilegerei la mia dignità.
Insomma, la vecchiaia che palle! Oggi, come sempre quando fa caldo, ho la mia solita camminata leggera sulle punte e nessuno immagina che ho passato l’inverno guaendo e trascinandomi piano per quel dolore alla schiena. E niente mi fa pensare che il prossimo inverno sarà migliore, anzi la ragione mi fa temere il peggio. Penso che presto dovrò rimettermi i calzini e vi giuro che mettersi e levarsi i calzini è diventato un piccolo dramma.
Datemi un paese sempre caldo, ma portateci anche i miei gatti, mi sentirei un miserabile se li abbandonassi. Quindi, non potendo portare con me 15 gatti, non andrò a vivere in Costarica come vorrei.
E pensando alla morte e al dolore, perché tu ci pensi, ci pensi sempre, specie se sei un fumatore da 50 sigarette al giorno, magari ti imbarchi in una impresa insensata come cercare un significato nell’esistenza e naturalmente non lo trovi perché non c’è o peggio ancora ti viene il sospetto che la vita sia un grosso gatto rosso che ti guarda fisso negli occhi con aria severa, che come idea non sarebbe male se tu fossi fatto, ma tu non sei fatto, sei magari soltanto un po’ più coglione se la pensi così. Certo l’idea che la vita sia un grosso gatto rosso eccetera eccetera è una cavolata, ma non di più di quella che hanno dato della vita i filosofi e i teologi.
Tanti dolori e dolorini ogni volta in un posto diverso e tu sei contento di averli ogni volta in un posto diverso perché sarebbe molto peggio, un cattivo segno, avere un dolore sempre nello stesso posto.
Mi potrebbe consolare il fatto che adesso sono più riflessivo e faccio meno cazzate, ma fare cazzate vuol dire mettersi in gioco, senza quelle cazzate la mia vita sarebbe stata monotona e così non è stato.
Certo, Giovanni, adesso sei saggio, ma poi ti trovi a rimpiangere i tempi in cui il tuo cuore aveva più stanze di una casa di tolleranza e accoglieva tante donne nello stesso tempo.
Ma ora non voglio esagerare con le mie lamentele, essere più saggi è l’unica cosa buona della vecchiaia, c’è un tempo per tutte le cose nella vita ed è giusto che sia così, sarebbe drammatico se io cercassi di vivere come vivevo magari solo 20 anni fa. Così non è un problema grave guardarsi il pisello… dai cretino, non ti nascondere, non fare il timido… e pensare che ti serve soprattutto per pisciare. Escludendo per il momento additivi chimici…
Conservo intatta una delle mie poche virtù, la curiosità, naturalmente non intesa come un interesse esagerato per i fatti degli altri… se volete sapere qualche pettegolezzo avete sbagliato persona… ma la curiosità per le cose meno scontate del mondo e nello stesso tempo rimpiango, riguardo alla conoscenza, non le cose piacevoli che ho fatto e che purtroppo non farò mai più, ma quelle che volevo fare e che ormai per me sono perdute per sempre, perché sono troppo vecchio per farle.
Poi, tra le altre cose, c’è pure il problema della memoria. Tu, Giovanni, vivi in modo esagerato il dramma di non ricordare il nome di un regista, tu che ne ricordi mille (e questa tua enciclopedia personale del cinema morirà con te, insieme alle tante cose che hai imparato e questo è davvero brutto) e ti preoccupi, più a ragione, quando metti le chiavi di casa in cucina e poi le cerchi dove dovrebbero essere. Scordi di fare qualcosa… ma dai me ne sono sempre scordato, sai la novità!… e non ricordi cosa hai fatto il mercoledì prima.
E nello stesso tempo a volte ritorni in un passato di straordinaria chiarezza, ti trovi a rivivere stanze (non intese solo come luogo fisico) di tanti anni fa e con melanconia soffri l’impossibilità di fermarti là per sempre o meglio ancora uscirne solo per esplorare le stanze che allora non hai visitato, cambiando così il tuo viaggio e la tua vita.
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All’inizio dell’estate ho deciso che leggendo in spiaggia (io in spiaggia leggo o faccio i bagni, l’abbronzatura arriva per caso) avrei riletto qualcosa di Le Carré. Ho cominciato con Chiamata per il morto, poi sono passato a La tamburina.
Chiamata per il morto è il primo romanzo di Le Carré. Viene prima di quello che lo rese celebre, La spia che venne dal freddo, e già c’è Smiley come personaggio principale.
Rileggendolo, quello che ti colpisce di più è l’assoluta maturità. Assolutamente non sembra un debutto, ma io credo che i bravi scrittori, gli scrittori veramente bravi lo siano già dall’inizio. I discreti possono anche cominciare in sordina e diventare bravini, ma quelli bravi ti danno i brividi già dal loro primo lavoro.
In Chiamata per il morto ogni parola è quella giusta e non potresti aggiungere o tagliare niente, tutto è essenziale. Naturalmente questa essenzialità non può che estasiarmi anche come scrittore, oltre che come lettore. Io pure già dall’inizio ho sempre pesato ogni singola frase, ogni singola parola, son tornato indietro mille volte magari per cambiare solo un aggettivo. Se non fosse così non si spiegherebbe il grande tempo che mi occorre per scrivere i miei romanzi che sono tutti romanzi abbastanza brevi. E curiosamente mentre pensavo queste cose e leggevo sulla spiaggia, ancora poco affollata per fortuna, ho ricevuto a distanza di pochi giorni due email da due miei lettori che conosco personalmente. Parlavano del mio Senza nome, l’ultimo romanzo pubblicato, il quinto. Le due lettere erano abbastanza simili, con parole differenti mi dicevano che il mio lavoro era compatto ed essenziale (uno diceva perfetto, ma sicuramente esagerava) e che appunto non c’era una parola in più e nessuna parola poteva essere cambiata. Che bello!
Leggendo invece La tamburina, la prima sensazione è che il narratore sia un tipo che parla moltissimo, che racconta pure le minuzie e magari ci torna sopra e le ripete. Ma se poi ti chiedi cosa taglieresti di quel fiume di parole ti accorgi che quel tipo di storia così ambigua e complicata tutte quelle parole le giustifica e non potresti sottrarre niente. La parola ambigua può essere usata anche per Chiamata per il morto e magari per tutti i romanzi di Le Carré, ma mentre qua il plot pur ambiguo è semplice, in La tamburina è molto più tortuoso.
Comunque se tu venissi da Marte, non avessi mai letto Le Carré e ti dessero da leggere questi due romanzi occultando il nome dell’autore, diresti che entrambi i romanzi sono validi, magari anche per gli standard marziani, ma sono di autori diversi.
E tutto ciò che significa? Significa che uno scrittore bravo può variare il suo modo di raccontare per trovare quello più adatto alla storia che vuole narrare, cioè adottare un altro stile come se le due storie fossero raccontate da due narratori differenti. Non parliamo poi delle narrazioni in prima persona, posso dire per esperienza personale, ho adottato questa tecnica nei miei ultimi quattro romanzi, che secondo il protagonista tutto lo stile può cambiare, anzi deve cambiare.
Anzi io a volte scrivendo e vivendo i miei narratori, in prima persona è più difficile tenerti distante, ho cambiato anche piccoli particolari della mia vita a seconda di chi ero nella mia scrittura quotidiana, ho convissuto con il mio personaggio.
Così sono stato dapprima un gatto in La vendetta (inedito*), un killer a pagamento in Senza nome, Odisseo in Il mio nome è Odisseo (inedito) e ora me stesso nel libro che sto scrivendo Da Amleto a Riccardo.
Quindi tirando le somme ho raccontato delle storie prima come le avrebbe narrate un gatto, poi un killer che aveva cominciato a leggere e leggere molto solo negli ultimi anni (e che migliora la sua scrittura man mano che si abitua a scrivere), poi come Odisseo e infine come il Giovanni Merenda degli anni tra il 1974 e il 1977.
Quindi se un giorno saprete che ho avuto disturbi da personalità multipla, ora ne conoscete il motivo.
www.giovannimerenda.it
Si ringrazia per l’editing Benedetta Volonté.
*L’allora inedito romanzo intitolato La vendetta – Una favola nera è stato pubblicato postumo nel 2021 per i tipi di Rossini Editore.
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