Destino epistemico


di Marco Candida

Il monoteismo (e qui intendiamo riferirci alle religioni abramitiche e in particolare di ebraismo e cristianesimo) è un’evoluzione del politeismo. Infatti, mentre il politeismo esclude il monoteismo, il monoteismo include il politeismo. Il politeismo è molteplicità, al massimo con qualche concessione gerarchica – Zeus è il più potente degli Dei, ma non unità originaria. Il monoteismo invece è unità e molteplicità. Vi è infatti il Dio trascendente e vi sono però altre figure semidivine se non divine. Il monoteismo include il politeismo – pensiamo agli angeli o ai santi, ai quali si prega, ci si rivolge così come ci si rivolge al Dio. Eppure, il limite del monoteismo è l’immobilità di unità e molteplicità. L’unità e la molteplicità realizzata nel monoteismo si consustanzia, non è pensabile slegata una dall’altra (gli angeli non potrebbero esserci senza il dio e d’altra parte il divino assoluto ha bisogno di intermediari per rimanere il Totalmente Altro): è inalterabile. Unica variabile è quella umana. L’uomo può spostarsi verso il divino o viceversa muoversi verso gl’inferi – ed è interessante non vi sia traccia di narrazioni di stampo umanistico-rinascimentale sull’uomo che voglia stare uomo: uomo che riesca a realizzarsi nell’immobilità, il che peraltro ha sapore di grande letteratura novecentesca da Musil a Kafka a Joyce, tanto che potremmo dire, vista la questione sotto questa visuale, l’uomo della “Morte di Dio” nicciana è quello che si realizza nell’immobilità, nel suo voler essere uomo senza oltrepassarsi, e a colmare lo iato narrativo umanistico-rinascimentale supplisce la laica e nichilistica letteratura novecentesca. Ma l’ipostatizzazione della dualità unità e molteplicità realizzata nel monoteismo non consente (e lo vediamo da quanto accade anche oggi) il terzo elemento della riconfigurazione degli elementi. In realtà, questa riconfigurazione è continua: ed è possibile la storia della riconfigurazione di unità e molteplicità. Ma tali riconfigurazioni sono eresie: pretese erronee di uscire dalla dommatica – ovvero tentativi, come diceva proprio Rudolph Bultmann, di descrivere il divino. Così, possiamo dire, si può individuare la pretesa originaria di ogni fede che si trasformi in pratica religiosa: quella di impedire la naturale cooperazione insita in ogni uomo di visione unitaria, visione analitica e giudizio sintetico. Nel politeismo è possibile solo una visione analitica, frammentata, insiemistica. Nel monoteismo la visione è unitaria e plurale. Ma noi non funzioniamo così. L’uomo non funziona così. Nell’uomo la visione unitaria e quella analitica sono processi fluidi e continui così come lo sono i giudizi sintetici. Perciò, è religione (rispetto alla fede) quella pratica che voglia ridurre le tre facoltà intellettive fondamentali di ogni uomo: quello di vedere un oggetto e di scomporlo e poi di ricomporlo soggettivamente. Allora, la sfida della fede e della religione (ossia di una fede che riesca a elaborare una religione non castrante e viceversa di una religione che non intrappoli la fede limitandola, tarpandola e castrandola) è quella di riuscire a trovare questo terzo lembo mancante nell’evoluzione monoteistica. Uno sguardo capace di tenere conto all’interno dell’evoluzione monoteistica di elementi di riconfigurabilità efficace.

Questo tentativo è nella pratica, assai insidiosa, della demitizzazione. Che viene da Karl Barth e in particolare da Rudolph Bultmann: ma che ormai pratichiamo, più o come consapevolmente, tutti. Allora, la sfida è: quando la demitizzazione non cade nella pura eresia? È possibile operare demitizzazione senza essere eretici? La pratica della demitizzazione significa liberare il cuore più autentico del messaggio divino dagli strati mitologici. Ma data questa definizione il problema è in quale direzione muoversi. Appurato che Bultmann in fondo si allontana dal credo quia absurdum di Tertulliano abbracciando il credo ut intelligam di Anselmo, anche se poi in realtà, ed ecco la vetta di genialità di questo autore, Bultmann termina affermando la migliore religione quella in grado più delle altre di nascondere il divino più che mostrarlo e dunque realizzando un sensatissimo sposalizio tra il credo quia absurdum e il credo ut intelligam; ciò appurato: in che modo muoversi, quali strati rimuovere dal testo sacro? Domanda la quale oggi ci interpella da vicino. La demitizzazione operata da Bultmann (siamo nella prima meta del ‘900) sembra muoversi sulla rotta di una rinnovata fiducia verso scienza e tecnica. Detto così, dopo la lezione heideggariana, questa sembra oggi l’eresia. Ma all’epoca, prima di comprendere appieno Heidegger, pur già operante, sappiamo quanta fiducia ci fosse nella scienza. E ci si domandava: come si può credere nella creazione biblica dopo le scoperte scientifiche? Ma oggi altre pratiche di aggressione demitizzante si sono aggiunte, assai meno rispettose, selvatiche. Ad esempio l’ufologia. O la scienza dello spirito. Ciò che gli ufologi (o uapologi, perché oggi si usa la sigla Uap e non più Ufo) intendono degli antichi testi come astronavi per gli scienziati dello spirito sono manifestazioni d’interdimensionalità. O, altra forma di demitizzazione, il metodo storicistico applicato al testo sacro. La Bibbia usa l’apocalittica giudaica e la gnosi redentiva; la bibbia è scritta in greco da comunità palestinesi dominate dai romani, e peraltro parla di messaggi che in virtù dell’azione dello Spirito Santo, sono predicati, secondo il mistero pasquale, in tutte le lingue, allora è lì che bisogna scavare, lì bisogna sfrondare, lì bisogna togliere e vedere cosa rimane. E ancora, nel leggere la Bibbia noi scriventi il qui presente testo, ci siamo accorti che la costola di Adamo con cui Eva viene fatta fa pensare alla testa di Zeus da cui esce Minerva, al pene di Urano, alle corde della cetra fatte di budella. Alla coscia di Achille. Esiste un modo di rappresentare greco di dei che nascono da altri dei utilizzando parti del corpo. A cui si aggiunge il controverso paragrafo del Genesi sui Giganti, che sarebbero gli eroi omerici. E poi, come noto, Tubal-Cain che rappresenta l’Efesto greco. Ma se per gli ufologi ciò rappresenta il segno certo che tutte le tradizioni da quella iranica a quella greca parlano sempre della stessa storia, degli stessi dei e semidei ed eroi (Ettore ha una lancia di cinque metri; Ettore come Achille è un gigante non meno di Golia e Polifemo – e Polifemo fa parte di una stirpe di Giganti deformi e forse per questo Gea, pensiamo, tagliò il pene al povero Urano individuando in quello la fonte di quella progenie), non si può negare che queste parti di testo potrebbero essere state aggiunte successivamente, per ragioni puramente “politiche”. Non c’era solo damnatio memoriae a quei tempi, ossia cancel culture, come diciamo oggi, o meglio “attualmente” giacché “oggi” è oggi come oggi concetto di tempo troppo ampio, ma anche adjustment culture. Non propriamente contraffazione, ma apparentamento. E ha effetto, se noi oggi lo consideriamo come segno sicuro di un racconto della stessa storia dalla Bibbia al testo omerico a quello esiodeo a quello caldaico e così via. Più facile pensare agli Ufo piuttosto all’eventualità che con i cammelli ci si potesse incontrare a metà strada e mettersi d’accordo. E non deve meravigliare la parola “politica” in riferimento alla Bibbia. Il Signore degli Eserciti nell’ecclesia ex circumcisione marcia contro le Nazioni – perché cos’è un’idea di nazione se non un enorme, gigantesco, minaccioso e pericoloso idolo?; ma nell’ecclesia ex gentibus, cioè il Vangelo scritto per i poveri e chi al Sabato deve andare a lavorare, Cristo riesce persino a dire “Date a Cesare quel che è di Cesare”: riconoscete la validità dell’ordine politico; proprio lui che verrà condannato ma non giudicato da un tribunale dallo scaricabarili per eccellenza Ponzio Pilato. Ma anche le nostre osservazioni fossero pertinenti, non ci si potrebbe fare molto. Tutte queste sono solo forme di demitizzazione. Tentativi di demitizzazione. Tentativi di togliere tutto quanto non sia sostenibile secondo ragione e di vedere cosa rimane. Si è d’accordo sul fatto che rimanga l’apoftegma ossia l’iscrizione del detto memorabile sul simulacro. Ma quanto al simulacro in sé stesso: ognuno vorrebbe dare un colpo di scalpello a modo suo e in un punto diverso; e il risultato, agendo insieme, è quello spesso di lasciare solo macerie. Ma forse è proprio qui che si attua quella riconfigurabilità efficace che sopra invocavamo. Il testo biblico viene aggredito e demolito, ma i suoi rottami si riunificano tornando sempre come prima – con il Sole che gira intorno alla Terra e con gli angeli e con i miracoli. Cioè, nonostante tutte le aggressioni al testo continuiamo a credere e continuiamo a credere proprio in quel testo. Forse perché l’apoftegma, la coerenza intrinseca, la platonica razionalità del pensiero giudaico-cristiano è ciò che non si può scalfire. C’è un destino epistemico che non è stato aggredito perché non aggredibile e lì giace il divino.

 

(Immagine di copertina derivata dalla rete)

             

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