di Margherita Merone
L’eresia, parola che deriva dal latino haeresis, dal greco airesis, a sua volta derivata dal verbo aireo, è quella dottrina che si oppone ad una verità rivelata che, in quanto tale, dichiarata dalla chiesa, è da credersi fermamente. Chi commette eresia è definito eretico e viene scomunicato ipso facto, ossia per il fatto stesso di aver commesso l’azione. Nel Codice di diritto canonico l’eresia è definita “l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica o il dubbio ostinato su di essa” (can.751). La gravità sta nel fatto che gli eretici coscientemente e di proposito vanno contro una verità di fede cattolica persistendo con ostinazione nel proprio modo di pensare, difendendo l’errore come se avessero ragione, combattendo contro la verità conosciuta e non lasciandosi istruire nella verità.
Molte sono state le eresie cristologiche nei primi secoli, una di queste fu definita docetismo, dal greco dokein (sembrare) che consisteva nel credere che Gesù avesse assunto un’umanità solo apparente, negando pertanto che in lui ci fosse una vera natura umana.
Ci fu il fotinianesimo da Fotino, vescovo romano, il quale sosteneva che Gesù era nato da Maria e non lo considerava nulla più di un uomo, adottato da Dio perché in lui si trovavano concentrate qualità eccezionali.
Era il 325 quando il Concilio di Nicea condannò l’arianesimo. L’eresia ariana parte da Ario, presbitero di Alessandria d’Egitto, il quale affermava che solo il Padre era eterno, unico, trascendente, non generato da nessun altro, mentre il Figlio era non generato ma creato, ossia totalmente dalla parte delle creature. Il concilio reagì formulando il Credo nel quale viene dichiarato che il Figlio è generato non creato, consustanziale al Padre, ossia della stessa sostanza. Gesù ci salva perché è Dio come il Padre.
Un’altra eresia nota come apollinarismo fu quella del vescovo Apollinare di Laodicea, il quale sosteneva che il Logos aveva preso il posto dell’anima razionale di Gesù ma così Gesù finiva per essere solo un “uomo celeste”, non pienamente uomo e ciò entrava in contrasto col realismo dell’incarnazione e con l’aspetto soteriologico dell’opera di Cristo, la salvezza dell’uomo, perché secondo l’assioma teologico “non può essere salvato se non ciò che è assunto”.
Il nestorianesimo è frutto del pensiero di Nestorio, patriarca di Costantinopoli, il quale era preoccupato di salvaguardare, contro l’idea degli apollinaristi e degli ariani, l’integrità della natura umana di Cristo, vista come personalità completa. Parlava di due nature distinte, divina e umana ma con due ipostasi, due realtà sussistenti, due persone distinte e parlava di congiunzione per esprimere l’unità di Cristo: in poche parole, non accettava l’umanizzazione di Dio. Si rifiutava di attribuire a Maria il titolo di “Madre di Dio”, preferiva quello di madre dell’uomo Gesù. Intervenne Cirillo, patriarca di Alessandria, che introdusse la formula dell’unione ipostatica, unione secondo l’ipostasi, ossia due nature nell’unico Cristo. Il Verbo ha assunto l’umanità realmente. Il Concilio di Efeso nel 431 condannò Nestorio e affermò chiaramente per Maria il titolo di Madre di Dio.
Il monofisismo (una sola natura) fu un’eresia sostenuta dal vescovo di Costantinopoli Eutiche, il quale non ammetteva che in Cristo vi fossero due nature e affermava che Gesù non poteva essere veramente un uomo perché la natura umana era stata assorbita dalla natura divina “come una goccia d’acqua dal mare”; pertanto ne risultava una sola natura, quella divina. La condanna da parte della chiesa, sia in Oriente che a Roma, fu grande e dovette necessariamente intervenire. Papa Leone I scrisse una lettera a Flaviano, patriarca di Costantinopoli, nel 449, condannando il monofisismo di Eutiche. Fu indetto un Concilio a Calcedonia nel 451 che formulò la definizione dogmatica che Cristo è una persona in due nature, senza confusione né mutamento, senza divisione né separazione, ossia ogni natura fa ciò che le è proprio in comunione con l’altra, nell’unica persona di Cristo. Questa viene definita “communicatio idiomatum”, comunicazione delle proprietà. Coesistendo le proprietà di entrambe le nature, divina e umana, ciò che appartiene al Verbo di Dio si può appropriare all’uomo Gesù e viceversa, tutto ciò che appartiene all’umanità di Gesù è appropriabile al Verbo.
Il cammino che ha portato a proteggere ciò che era creduto nella chiesa fin dall’inizio è stato lungo, pieno di insidie e colpi di scena. Le controversie cristologiche hanno portato i Padri greci a porre in risalto il realismo dell’incarnazione e, per quanto possa sembrare assurdo, come scrive S. Agostino nelle Confessioni “C’è stato bisogno anche delle eresie affinché si vedesse chi era saldo nella fede tra i deboli” (Conf. VII, 19.25).
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