di Margherita Merone
Tra i vari titoli riconosciuti a Gesù, Profeta, Cristo, Figlio di Dio, quello di Figlio dell’Uomo va considerato come quello più vicino alla sua vicenda umana, questo perché l’espressione “Figlio dell’Uomo” è presente sempre sulla bocca di Gesù, anche se non direttamente, ma in terza persona. Questo titolo compare nei vangeli in ben 83 luoghi, mentre al di fuori è presente una volta nel libro degli Atti degli Apostoli, poi nella lettera agli Ebrei, e due volte nell’Apocalisse. Dopo Pasqua il titolo non viene più utilizzato dalla comunità cristiana primitiva.
Alcuni esegeti considerano l’espressione Figlio dell’Uomo un indizio certo a favore del suo uso nel contesto pre-pasquale, nella fase gesuana, che si riferisce al Gesù storico. Si ritiene, infatti, improbabile che gli evangelisti abbiano attribuito il suddetto titolo a Gesù senza che egli effettivamente l’avesse utilizzato, piuttosto è largamente accettata l’idea che esso è presente fin dall’inizio e dunque nessuno avrebbe mai potuto eliminarlo. Cerchiamo di approfondire il carattere gesuano di tale titolo che è strettamente legato all’autocoscienza di Gesù.
Il significato semantico di “Figlio dell’Uomo” rimanda a un contesto senza dubbio semitico. Tra le diverse soluzioni proposte dagli studiosi del Nuovo Testamento sono due, in particolare, i riferimenti più importanti e sono relativi all’Antico Testamento. Il primo è legato al libro di Ezechiele dove il profeta per 95 volte è chiamato “figlio dell’uomo” con il significato di chi è solidale con gli uomini, dunque, di uomo. Il secondo riferimento trova un aggancio con il linguaggio apocalittico del libro del profeta Daniele, precisamente in Dn 7,13-14, dove la figura del Figlio dell’Uomo è quella di un personaggio trascendente che discende dall’alto, che appare dalle nubi del cielo e al quale viene data la prerogativa del regno, della potenza e della gloria: «Ecco venire sulle nubi del cielo un simile a un figlio dell’uomo; gli furono dati dominio, gloria e regno perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà mai distrutto».
Un gruppo di passi del vangelo fa risaltare la figura del Figlio dell’Uomo nella sua condizione terrestre, umile, non troppo in vista, fragile, ma al contempo determinante per quanto concerne la sua personalità, alquanto misteriosa. In questi testi, infatti, troviamo momenti in cui Gesù attua la sua straordinaria autorità, ad esempio nel rimettere sulla terra i peccati o nel superamento dell’osservanza della legge del sabato: «Il Figlio dell’Uomo è signore anche del sabato» (Mc 2,28), che comunque è vissuta nella semplicità più totale.
In altri passi del vangelo l’attenzione viene posta sulla missione del Figlio dell’Uomo, missione di grande sofferenza e passione che arriverà fino alla morte e risurrezione. Questa missione speciale è correlata con quella del Servo di YHWH che troviamo nel libro del profeta Isaia: «Ecco, il mio servo prospererà e sarà innalzato, elevato e grandemente esaltato» (52,13); «Gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori» (53,12). È proprio la figura del servo sofferente che, nella persona di Gesù, si fonde con quella del Figlio dell’Uomo.
Troviamo, poi, un terzo gruppo di testi evangelici in cui il Figlio dell’Uomo viene presentato seguendo la linea apocalittica di Daniele; leggiamo, ad esempio, in Mc 13,26: «vedranno il Figlio dell’Uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria», dunque, Gesù si manifesterà nello splendore della sua gloria divina. Ecco pertanto meglio delineato il tutto: Egli ha potenza e gloria e tutti i popoli e nazioni gli saranno assoggettati, ma con questo non viene sminuita la sua esistenza terrena nella quale c’è stata una reale sofferenza e la morte in croce. Il suo regno è eterno, indistruttibile, ma tale condizione escatologica e gloriosa è integrata con aspetti particolari che fanno riferimento alla sua umiltà, al dolore provato, alla passione che è stata reale e vissuta nella storia.
Gesù vive una relazione profonda ed esclusiva con il Padre ed è questa a dare al titolo Figlio dell’Uomo una dimensione speciale di trascendenza: ciò appare chiaro nella redazione sinottica nel momento in cui Gesù risponde al Sommo Sacerdote Caifa che gli chiede se è lui il Cristo, il Figlio di Dio: «Tu l’hai detto, anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’Uomo seduto alla destra di Dio e venire sulle nubi del cielo» (Mt 26, 63-64). L’interrogatorio di Caifa e l’immediata risposta di Gesù non fanno altro che riassumere il senso della predicazione e di una auto interpretazione che fa della sua messianicità. Gesù risponde con una forza e fermezza da lasciare senza parole; la sua risposta proviene dalla fusione di due testi, il Salmo 110,1 e Dn 7,13-14. Leggendoli con attenzione possiamo comprendere la portata trascendente; nella risposta di Gesù la figura del Figlio dell’Uomo non è più misteriosa ed evanescente, ma si tratta del discendente di Davide nel quale si realizzano tutte le profezie messianiche: «Siedi alla mia destra affinché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi», come si legge nel salmo. Il Figlio dell’Uomo è seduto alla destra di Dio, dunque si parla della dignità regale, non solo come immagine terrestre, ma esercitata anche sul piano celeste, come si legge in Daniele. Si parla di un messianismo che non ha eguali, che supera qualsiasi concezione presente a quel tempo; salta, pertanto, qualsiasi schema messianico perché ad esso appartiene un carattere di assoluta novità. L’affermazione blasfema durante il processo non è il sedersi alla destra di Dio in quanto tale espressione era usata tranquillamente – il figlio davidico era colui che sedeva alla destra di Dio – semmai di venire sulle nubi del cielo, alludendo alla condivisione della stessa gloria di Dio, il che viene considerato bestemmia. L’immagine delle nubi descrive la venuta finale di Cristo, la sua intronizzazione come messia glorioso, ed è l’annuncio che Gesù ha fatto prima della sua passione.
È nella Pasqua che comprendiamo chi era Gesù, che percorriamo nella mente la sua esistenza terrena e riviviamo nel cuore il suo insegnamento; ed è a Lui che rendiamo onore e gloria perché «nessuno è salito al cielo se non Colui che è disceso dal cielo» (Gv 3,13).
- Il bancario - 8 Luglio 2024
- La “cura” di Teo - 24 Giugno 2024
- Noemi - 17 Giugno 2024