di Margherita Merone
Riguardo al concetto di persona la tradizione lascia un patrimonio davvero consistente, ma c’è desiderio di innovazione. Con la modernità c’è un cambiamento totale, una svolta che apre un cammino nuovo, si passa dall’orizzonte teocentrico a quello antropocentrico, tutto è incentrato sul soggetto, si parte dall’uomo. Si parla di “rivoluzione copernicana” per intendere metaforicamente il ribaltamento dei sistemi concettuali accettati fino ad allora (non c’è la terra al centro, sistema geocentrico, come affermava Tolomeo, ma il sole sta al centro e la terra gli gira intorno, sistema eliocentrico, come sosteneva Copernico). Prende il via un soggetto con nuove caratteristiche che nella contemporaneità si affinano ulteriormente.
Nell’età contemporanea è sempre più evidente che l’attenzione è rivolta in modo esclusivo all’uomo, centro di qualsiasi interesse. Tommaso parlava della relazione dell’uomo con Dio, come exitus e reditus, viene da Dio e da Lui ritorna, ma con la rivoluzione copernicana le cose, appunto, cambiano. Caratteristica del soggetto è l’autonomia, la coscienza, l’autocoscienza, la storicità in quanto soggetto storico, situato nella storia, strutturato in maniera storico-mondana, hic et nunc, qui e ora.
La persona non è più un soggetto astratto, un’entità metafisica, ma è inserita, ben impiantata nella storia. La sua collocazione non è più sul piano dell’essere, ma del divenire: il soggetto diviene piuttosto che essere. È centro di autocoscienza che si dà in una dimensione storico-temporale ed è caratterizzato radicalmente dalla libertà, che non è il libero arbitrio, ma va ben oltre: la libertà moderna è radicale, si identifica col soggetto. Dal registro gnoseologico cartesiano (il suo cogito ergo sum) si passa al registro etico-trascendentale kantiano (l’io penso come percezione trascendentale, condizione di possibilità della conoscenza oggettiva, e il livello etico, l’uomo come soggetto morale) e attraverso il pensiero di Hegel (il soggetto diventa soggetto assoluto) si approda al registro psicologico con Freud (la struttura dell’uomo che ha un io, un super-io e un es).
Nell’età contemporanea, l’uomo è libero e cosciente, non vive la relazione e l’intersoggettività, tuttavia, il soggetto necessita dell’alterità e questo desiderio certamente presente nell’uomo, sebbene non manifestato esplicitamente, ha trovato espressione nelle varie forme di personalismo, che hanno evidenziato la centralità della persona come valore assoluto, mettendo in luce l’intersoggettività e la reciprocità. L’essere non è visto come ontologia eleatica, come un essere impersonale, ma personale. I confini dell’essere vanno al di là, trascendono il potere che si manifesta nell’atto cognitivo dell’uomo, perché questo, non può esaurire l’essere.
Siamo agli inizi del ‘900 e se Giovanni Gentile parla di attualismo – specificando l’assolutizzazione del soggetto in atto, l’atto cognitivo come termine ultimo della dialettica – c’è chi pensa che non ci si può fermare a questo, l’essere va recuperato. Contro le aberrazioni del positivismo – che fa coincidere la filosofia con la scienza e attribuisce ad essa un ruolo non solo predominante, ma esclusivo sia per ciò che concerne l’interpretazione del mondo che dell’individuo, della storia, della società, della vita in generale – prende posizione lo spiritualismo, che non pretende di costruire la validità delle proprie tesi a partire da verità incontestabili e non verificabili, ma cerca di ricavare qualcosa, la verità, attraverso l’analisi interiore, con l’introspezione.
Così l’uomo è tale, è persona, non se rimane chiuso in se stesso, ma se si apre all’altro, non più autoreferenziale. Comincia ad acquistare importanza l’intersoggettività. La cosiddetta filosofia del dialogo è chiara, poi, nello stabilire quanto accade tra gli uomini. Un esponente di rilievo, Martin Buber afferma che è guardando all’altra persona come ad un tu che si è un io. Un tu che si pone di fronte all’io in maniera autonoma significa due poli che non si perdono, né si fondono, ma sono uno di fronte all’altro in relazione dialogica. La persona non è un processo dialettico hegeliano, non è costituita a priori rispetto al rapporto col tu e nemmeno il tu diventa un momento transitorio per la costituzione dell’io, superabile dialetticamente. Penso a me stesso nell’essere interpellato, chiamato, invitato al dialogo e riconosciuto dall’altro, nell’accogliere, dunque, l’altro e nel rispondere a questo appello. Se ciò accade si parla, allora, di reciprocità.
Non c’è un io senza un tu o un tu senza un io, ma l’io e il tu si costituiscono reciprocamente nel loro essere persona. Questo io-tu viene, poi, concepito nell’unità interpersonale che è il noi, che non va intesa come la somma di soggetti. Col tempo, si aggiunge un altro elemento. La relazione non coinvolge solo un io e un tu, ma implica un terzo. Non posso essere in relazione con l’altro se non attraverso un terzo elemento (ad esempio, il linguaggio tra due persone).
Relazione, dunque, non più dialogica, ma trialogica, dove il terzo è intrinseco perché ci sia la relazione. Parliamo di persona non come qualcosa di statico, ma in divenire, c’è interazione con l’altro in un noi. Riflessione sul “tra”, che mette in rapporto un io e un tu e li trascende entrambi: è nel “tra” che l’io e il tu si riuniscono in noi. Il terzo può essere qualsiasi cosa – appunto il linguaggio, anche una persona, un ideale comune, l’amore tra marito e moglie – e non è un semplice mezzo, è qualcosa che è determinato da noi, ma ci supera. Utilizzando sempre l’esempio del linguaggio, quando si comincia una conversazione con un’altra persona si parte da un discorso, ma col tempo si modifica, si amplia, si aggiungono differenti punti di vista e al termine del confronto la conversazione è diversa da come è iniziata; il terzo, allora, in questo caso è la forza dirompente che si crea tra l’io e il tu. Questa concezione trialogica si basa sulla reciprocità, io vado verso l’altro che è un tu che mi riconosce, siamo reciprocamente fondativi uno dell’altro, ma la relazione non si dà senza un terzo, un “tra” che media l’io e il tu.
Che succede se si traspone questo a livello trinitario? Nella visione trialogica, il Padre non è comprensibile senza il Figlio e senza il “tra” che è lo Spirito Santo. Al livello intratrinitario lo Spirito Santo è l’amore ipostatico tra il Padre e il Figlio. Il suo amore è un amore di kenosi, amore kenotico che si manifesta mentre si nasconde tra le persone del Padre e del Figlio.
La “persona” acquista reale valore con il cristianesimo, dove è vero che “persona” in Dio non ha lo stesso significato che nell’uomo, ma l’uomo in quanto creato a sua immagine e somiglianza è chiamato a realizzare questo riflesso divino, proprio e anche lui come persona. Si potrebbe continuare a parlare della “persona” sottolineandone le varie sfaccettature, ma per concludere voglio evidenziare ciò che ritengo importante, che l’essere persona non può essere scisso dalla sua dignità. Se uno vuole il rispetto per se stesso deve rispettare gli altri. Gesù ha detto: «Tutto ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt 7,12), un principio base che vale in tutto il mondo.
In copertina: Bruno Paoli, Persona
a destra, Michel Pochet, Cristo
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