di Margherita Merone
Parlando con la professoressa Flavia Silli, docente di filosofia alla Pontificia Università Lateranense, degli aspetti che caratterizzano nella contemporaneità la persona umana sono venuti fuori interessanti spunti di riflessione. Le domande sono tante, ma ad alcune è difficile dare la risposta. La questione dibattuta riguarda il significato e il valore reale che si dà alla persona definita umana. La persona, attualmente, non viene più considerata nella sua interezza, né sembra se ne parli come di un’unità di corpo, psiche, anima e spirito.
Le ho chiesto, perché oggi è così urgente una riflessione integrale sulla persona umana? Sottolineare integrale non è banale, serve a specificare che si sta parlando del soggetto umano nella sua interezza, che non manca di qualcosa, ma è completo. E ancora, quali sono le sfide attuali?
Il mondo occidentale, culla del diritto fondato sulla persona, è attraversato da un’eterogenea e multiforme tendenza a sminuire il valore unico e irriducibile della persona e a proporlo, in una versione integrale e argomentata, a culture identitarie sul piano religioso, ad esempio l’Islam, dove non esiste un concetto di natura umana autonomo e “sciolto” dalla legge e dalla volontà di Dio. Cercando di spiegare in modo sintetico, ma chiaro e dettagliato, quali sono gli impedimenti ad una comprensione complessiva dell’umano, faccio riferimento a tre forme di riduttivismo antropologico particolarmente significative che ci riguardano da vicino.
La prima, definita come estetizzazione della cultura, si esprime nel sistema mediatico e impedisce, soprattutto ai più giovani, di assumere uno sguardo profondo nelle relazioni interpersonali ridotte spesso a immagini virtuali. Questo predominio dell’apparire sull’essere esteriorizza la persona. Ciò ostacola l’impegno, la responsabilità di quanto viene vissuto in una relazione, ridotta, il più delle volte, a incontri che corrono via internet, all’invio di email che fanno risparmiare tempo, ma eliminano il calore di un incontro che, invece, permette al tu che si ha di fronte di parlare di sé. Vanno di moda i followers, quelli che non possono fare a meno di seguire i social network, che prescindono dalla centralità di valore espressivo e comunicativo determinato dal contatto con la corporeità dell’interlocutore.
Il secondo fenomeno culturale è il rapporto, spesso sbilanciato tra l’essere umano e la tecnologia che determina un effetto narcotico della consapevolezza della ineliminabile superiorità e trascendenza legata al valore ontologico dell’uomo, al suo essere che si identifica con il suo essere persona, rispetto all’operatività efficiente che è propria delle macchine. In questa varietà non indifferente di posizioni definite genericamente come trans-umanesimo o post-umanesimo – che sostiene l’utilizzo delle varie scoperte in campo scientifico e tecnologico, per aumentare sia la capacità fisica che cognitiva dell’uomo al fine di migliorarne alcuni aspetti ritenuti indesiderabili, ad esempio le malattie, in vista di una eventuale e possibile trasformazione post umana – rientra l’ideologia trans-specista che afferma l’equiparazione delle specie viventi in un indifferenziato livello di valore. In questo modo, qualificare oggi la persona con l’aggettivo “umana”, nel suo significato di valore assoluto, al di sopra di tutte le creature, non è scontato, dato che ormai si estende l’appartenenza e il titolo di essere “soggetto di diritto” anche a specie non umane.
Il terzo aspetto da mettere in luce è l’egemonia della nozione di cultura, oltre a quella complessa di natura, per la comprensione dell’essere umano declinato al maschile, quindi uomo, e al femminile, dunque donna. In questa prospettiva, diremmo storicista, certamente non metafisica, la sessualità assume un valore puramente descrittivo o funzionale, fenomeno che abbiamo di fronte, fatto esteriore, opzionale e non fondazionale, quale espressione dell’identità della persona.
Quali elementi accomunano queste sfide odierne e cosa si può proporre per affrontarle efficacemente?
Queste sono le principali sfide contemporanee che, ad un’attenta osservazione presentano un denominatore comune che possiamo chiamare riduttivismo antropologico. Si tende, cioè, a ridurre la totalità della persona ad una o più funzioni variabili, soggette alla temporalità e al cambiamento. Per questo motivo, oggi più che mai, occorre riproporre un’indagine olistica, intera, integrale della persona, coniugando la duplice istanza descrittiva e interdisciplinare propria della biologia, delle scienze umane empiriche, come la sociologia, l’antropologia culturale, la psicologia e le ultime scoperte in campo neuroscientifico con l’istanza fondazionale che interroga propriamente l’antropologia filosofica. Una riflessione sull’uomo colta nella sua integralità consente di risalire dal fenomeno al fondamento dell’humanum, dalla molteplicità delle sue qualità che ne specificano l’immagine, all’unità del suo essere che ne universalizza il valore. Questa riflessione integrale consente anche di ancorare il divenire della persona, legato alla sua storicità e cultura di appartenenza, alla sua essenza sovrastorica, che ne dirige gli atti volgendoli ad un fine che li trascende.
Secondo lei, esiste una grammatica universale per comprendere l’essere umano?
Riflettere sull’uomo, oggi, consente anche di decifrare e distinguere la “sintassi universale” dell’umano maschile e femminile, che possiamo chiamare natura, dalle molteplici e derivate articolazioni linguistiche, che chiamiamo cultura. Quando si parla della persona umana va combattuto il riduzionismo e riaffermata la sua integralità. La capacità umana non può essere identificata con la capacità operativa di una macchina, così, si espone l’uomo ad un confronto demoralizzante, denigrante e il più delle volte perdente, con l’intelligenza artificiale. Si assolutizza un tipo di immagine a scapito della realtà concreta e tangibile della persona. Si soppianta, così, l’essere con l’apparire, la relazione empatica che ci permette di sentire dentro di noi ciò che vive l’altro e di condividerlo, con la comunicazione virtuale, che rimane pura indifferenza.
In conclusione, passando dalla prospettiva filosofica della docente intervistata a quella teologica, penso che bastino poche parole, quelle che ha scritto san Giovanni Paolo II nell’enciclica Centesimus Annus, “l’essere umano è la sola creatura che è voluta da Dio per se stessa” (n.10) e l’ha posta al di sopra di tutte le creature, dando ad ognuna, nella sua integralità, proprio in quanto realtà concreta, una dignità e un valore unico, inviolabile, assoluto. Solamente tornando ad una visione olistica della persona possiamo realmente parlare di diritti e valori universali, perché l’essere persona è una delle più grandi meraviglie della creazione di Dio.
(al centro) Eva Pianfetti, Essere e apparire, acrilico, 50×20 cm
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