di Margherita Merone
Dal greco “éskatos” (ultimo), come studio delle cose ultime si interroga sul destino ultimo dell’uomo e del mondo, la vita oltre la morte. Fortemente attaccata alle aspettative che l’uomo si pone nei confronti della vita ultraterrena, si lega al senso della speranza.
Nella cultura contemporanea si stanno aprendo le porte di fronte alle istanze sul futuro dell’uomo, soprattutto in seguito allo sviluppo del senso della storicità che suppone la coscienza di un uomo, impegnato nel presente ma proiettato verso il futuro, che esiste, è presenza attiva in una situazione sociale e fisica, attore della storia ed è sempre in relazione al mondo.
Nel periodo moderno questo senso di storicità dell’uomo orientato al futuro è diventato talmente grande da assumere il carattere di una fede come progresso, dando luogo ad una religione della terra, che aveva come caratteristica una grande fiducia nel futuro storico raggiunto solo grazie alle capacità dell’uomo. In questo modo, il progresso continua giungendo alla fine della storia che rimane immanente ad essa, ossia nell’ambito terrestre. In tutti gli uomini l’ansia verso il mondo trova espressione attraverso l’attitudine della speranza. Questa speranza terrena costituisce un’escatologia secolarizzata che si traduce nell’instaurazione del regno dell’uomo, di un uomo che si riconcilia con se stesso e con il mondo, portando però come conseguenza il perdersi di ogni considerazione trascendente: non si parla e non viene considerato il senso dell’avvenire di Dio. Questo non è stato un bene per l’uomo pur nella massima fiducia in se stesso, al contrario è aumentata l’inquietudine di fronte alla fragilità della nostra umanità. Se da una parte è evidente il progresso nel campo sociale, politico, scientifico, medico, dall’altra non si può non ammettere che per quanto ci si possa impegnare al massimo, non cambia la condizione esistenziale, la paura dell’uomo cosciente dei propri limiti.
Oggi si vuole superare la separazione tra la fede e la speranza terrestre. Così la teologia cristiana ha recuperato l’escatologia ponendosi in posizione critica verso una cultura che basandosi solo su ciò che è immanente ha rischiato di annullare la portata della sua speranza più grande. L’escatologia ha assunto una risonanza nuova nell’avvento di Cristo, specialmente nella sua morte. Entrando nel cuore della morte dell’uomo dove la lontananza di Dio è sentita al massimo, ha rovesciato la situazione facendo emergere in essa l’assoluta vicinanza, cosicché la morte non è più un ostacolo da superare ma un passaggio per accedere a quel futuro che non è solamente una realtà che arriva dopo la morte ma nasce proprio dalla morte. È nella morte di Cristo, nella croce, come luogo centrale, che si realizza questa continuità nella discontinuità che è poi il punto centrale in cui si manifesta la specificità dell’escatologia cristiana.
L’evento di Cristo costituisce da una parte la presenza anticipatrice dell’evento finale escatologico e dall’altra mediante l’evento pasquale, diviene il centro del movimento della storia diretta verso un futuro nuovo, verso un compimento che coinvolge tutta l’umanità. Con Cristo il futuro assume un volto personale. Nella morte e risurrezione di Cristo, di colui che è stato primizia di quelli che sono morti, il primo che è risorto, c’è stata l’anticipazione del regno escatologico nel quale i morti saranno risuscitati. Il teologo Moltmann scrive nella sua opera “Il Dio crocifisso”: «Se lo si considerasse solo come persona storica, egli sarebbe da un pezzo dimenticato, poiché il messaggio che annunciò fu già contraddetto dalla morte di croce».
Cristo è l’eschaton personale visto nel suo mistero di morte e di risurrezione.
Nel medioevo il trattato sull’escatologia era denominato “De novissimis” ed era sviluppato come discorso autonomo. Col tempo si è compreso che il discorso escatologico doveva tener conto della cristologia, dell’antropologia, dell’ecclesiologia. Così è stata superata l’impostazione classica che vedeva il singolo separato dalla comunità: in questo modo la speranza escatologica è costituita dalla chiesa. Importante è la novità che l’evento cristologico ha portato nella ripartizione del tempo, rendendolo escatologico, ristrutturando il trattato classico che identificava l’escatologia intermedia – ossia il tempo che va dalla fase presente terrena alla fase ultraterrena fino ad arrivare a quella finale della parusia ossia del ritorno di Cristo alla fine dei tempi per instaurare il Regno di Dio – con la fase individuale della morte. Se ci fosse una realtà futura sradicata dal presente non rimarrebbe solo qualcosa di incomprensibile, estranea a qualsiasi esperienza umana ma si correrebbe il rischio di trasformare i contenuti escatologici in mito. C’è ancora da dire che la speranza cristiana è di ogni uomo, non solo di chi crede, perché Cristo è l’eschaton della storia universale.
Nella teologia contemporanea l’escatologia viene considerata come un rinnovamento della teologia stessa per il fatto che la fede cristiana si basa sull’evento escatologico eminente che è il mistero pasquale, sulla risurrezione di Cristo morto in croce e si protende verso le promesse di Cristo di un futuro universale. La Pasqua è il centro del movimento della storia, anticipa l’evento escatologico finale.
Non è possibile una fede in Gesù morto e risorto, senza speranza. La speranza non è solo una virtù teologale ma ha una sua intrinseca dimensione che la qualifica, infatti la fede cristiana è una fede che spera. La teologia non vede più l’escatologia come qualcosa legata solo “alle cose ultime” ma una componente della stessa, pur mantenendo la sua specificità. Tutti i parametri che contiene sono dentro la professione di fede, il Credo…nella risurrezione dei morti, nella vita eterna, nella parusia del Signore Gesù Cristo.
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