di Margherita Merone
Le prove razionali per dimostrare l’esistenza di Dio furono chiamate “prove ontologiche”. Tale espressione fu introdotta dal filosofo Christian Wolff per indicare un argomento che, per dimostrare che Dio esiste, parte dall’idea che si ha di Dio nella mente umana, in quanto questa idea significa l’essenza divina.
Nell’ambito della storia del pensiero filosofico occidentale le più importanti prove sono state elaborate, con varie formulazioni, da Anselmo, Tommaso, Cartesio, Spinoza, Leibniz, Hegel. Consideriamo quelle che hanno dato il via alle successive, le prove di Anselmo e Tommaso.
Anselmo ha aperto la strada proponendo un argomento che ha formulato con grande intelligenza. Parte dall’idea che il credente ha di Dio, ovvero, crede nell’esistenza di un essere non inferiore, ma di un Essere di cui non si può pensare altro essere superiore a lui. La domanda da porsi allora è la seguente: possiamo veramente pensare all’esistenza di un essere superiore rispetto al quale non si può pensare assolutamente nulla di più grande?
Per Anselmo è importante dare una risposta perché c’è chi nega l’esistenza di Dio. Egli è convinto che chi nega l’esistenza deve però ammettere di comprendere cosa significhi la parola “Dio”, ossia Essere assolutamente perfetto, altrimenti, se non fosse così, non potrebbe negarne l’esistenza. Pertanto, chi la nega deve per farlo averne il concetto. Anselmo a questo punto sostiene che ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore non è possibile che esista solamente nell’intelletto, dunque si può pensarlo esistente anche nella realtà. Così, quello che esiste nella realtà è maggiore di ciò che esiste solo nella mente, oltretutto nella mente rimane come possibilità, non implica un’esistenza reale, mentre se qualcosa esiste nella realtà ha inclusa anche la possibilità reale, quindi è certamente più grande. Ne deriva che se l’Essere perfetto esiste nell’intelletto deve esistere anche nella realtà altrimenti non si può definire perfetto. L’Essere perfettissimo esiste nella realtà e non solo nell’intelletto. Per questo, non si può pensare che Dio non esista, la sua è un’esistenza necessaria. Anselmo afferma che Dio è colui del quale non si può pensare nulla di più grande. Sostiene inoltre che per poter definire Dio, Essere assolutamente perfetto, bisogna pensarlo senza inizio, senza alcuna temporalità perché se avesse un inizio non potremmo pensarlo perfetto, ma dipendente da qualcos’altro. Dal momento che si può pensare l’Essere perfettissimo senza un inizio allora è necessariamente esistente. Non dipendendo da altro per esistere è un Essere necessario e si può pensare la sua esistenza come esistenza reale. Dio è l’Essere supremo in senso assoluto.
Tommaso, guardando le cose con un’altra prospettiva, afferma che Dio è L’Ipsum Esse per sé subsistens, ossia non ha origine se non da se stesso ed è la causa di ogni cosa esistente. Nella Summa Theologiae propone le “Cinque vie” come prove ontologiche e teleologiche, ossia fondate sul principio di una causalità finale. Queste prendendo come base da cui partire il divenire naturale vogliono arrivare ad affermare alla fine l’esistenza di Dio, dal momento che se Dio non esistesse il punto di partenza non sarebbe intellegibile. Le prove di Tommaso fanno appello all’esperienza più che alla logica.
La “prima via” parte dal movimento per arrivare al Motore Immobile. Aristotele parlava dell’esistenza di un Motore Immobile sulla base del fatto che ciò che si muove è mosso da qualcos’altro e che non si può pensare ad una catena continua di movimenti all’infinito, così alla fine del processo si giunge necessariamente all’esistenza di un primo motore che non è mosso da altro, dunque immobile. Tommaso partendo dai punti principali delle prove di Aristotele sostiene che se si considerano le cose come passaggio dalla potenza all’atto, da una condizione potenziale ad una di compimento, ciò che si muove deve essere mosso da qualcos’altro, da un Essere che è assolutamente atto, Atto puro, non soggetto a nessuna forma di divenire. La prima via, dunque, porta all’esistenza di un Primo Motore che è immobile e che è riconosciuto come Dio, principio di ogni ente materiale che esiste nella realtà.
La “seconda via” parte dagli effetti alle cause fino ad arrivare alla Causa prima. Il principio di causalità viene dedotto dalla nozione di ente per partecipazione, cioè di ente composto in quanto ogni ente composto ha una causa. Così se un ente, una cosa è per partecipazione vuol dire che è causata da altro, dunque una cosa non può esistere senza essere causata, infatti, l’ente senza l’essere non è. L’essere finito ha l’essere, ma non è l’essere, l’essere che ha è un essere partecipato, ossia dipende ed ha come causa l’essere al di sopra di tutto, ossia “l’essere per essenza”, una Causa prima. Tutte le cose esistenti che partecipano della Causa Prima possono chiamarsi “effetti”. Questa Causa Prima, chiarisce Tommaso, non è la prima di tutta una serie di cause seconde, ma è la causa ontologicamente trascendente e dunque necessaria. È l’Ipsum Esse subsistens, è l’Essere che sussiste di per se stesso, mentre le creature, cause seconde, partecipano dell’essere di Dio.
La “terza via” inizia dalla realtà contingente fino all’Essere che è necessario in senso assoluto. La definizione di contingenza è molto importante, ciò che è contingente c’è ma potrebbe non esserci, dunque è possibile che ci sia, ma non è necessario. Ciò che invece è necessario non può non esserci. Una necessità assoluta può riguardare soltanto Dio, che è l’Essere in senso assoluto, senza divenire, senza limiti, senza dipendenza da nulla. Se Tommaso guarda agli enti contingenti, alle creature come aventi da altro la loro necessità, Dio è l’ente necessario di per se stesso, è l’Essere per essenza o Essere sussistente.
La “quarta via” parte dai gradi di perfezione per arrivare all’Essere perfettissimo. Partendo dall’idea di Platone che la perfezione di un ente partecipa della perfezione pura che è oltre e sussistente, e successivamente di Aristotele che, pur non accettando completamente questa idea, giunge comunque alla tesi che i vari gradi di perfezione rimandano ad una perfezione superiore, Tommaso afferma che l’Essere perfettissimo è la perfezione stessa, è la perfezione della perfezione, causa che è maggiore dell’effetto e può esistere anche senza l’effetto.
La “quinta via”: dal finalismo al Supremo Ordinatore, che è fine ultimo di tutta la realtà. Cerchiamo di descrivere cos’è il fine. Esso è ciò in vista del quale si compie una determinata azione. Il fine è sempre unito ad una tendenza verso un bene, si dice infatti che “il fine ha ragione di bene”, dunque, ogni fine è per il soggetto un bene da raggiungere e una volta raggiunto può perfezionare il soggetto che viene a possederlo; ovviamente il fine può essere un bene sotto vari aspetti. Poiché il fine e il bene sono uniti, se esiste in natura una finalità ciò comporta l’esistenza di un ordine. Tommaso parte dall’esistenza di un ordine, di un governo della realtà, dove con “governo” intende esprimere l’atto di indirizzare le cose verso un fine da raggiungere che è il bene. C’è, dunque, un Ordinatore Supremo che esiste per se stesso ed è trascendente, assoluto, perfettissimo, sommo bene e fine ultimo della realtà.
Studiare la teologia naturale detta anche filosofica, ovvero affrontare il problema di Dio con la sola ragione, prescindendo dall’autorivelazione di Dio, non è solo interessante, ma a mio giudizio importante perché nelle prove descritte ci sono i presupposti logici per poter accettare, successivamente, la rivelazione soprannaturale. Questa va vissuta nella fede perché la ragione umana limitandosi alle sue possibilità può parlare di Dio attribuendogli tutta una serie di caratteristiche, Motore immobile, Causa prima, Supremo ordinatore, Essere perfetto, ma non può certo pretendere di comprendere l’essenza di Dio, perché l’essenza di Dio è e rimane incomprensibile.
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