Lo sfruttamento minorile

 

di Margherita Merone

 

coltan Congo

 

Il lavoro minorile è un fenomeno serio a cui bisogna far fronte. Attualmente pare che siano più di 80 milioni i minori, in un’età compresa tra i 5 e i 17 anni, a svolgere lavori che provocano effetti negativi a livello fisico e psichico. Si tratta di lavori svolti dai minori in diversi settori, da quello nei campi, allo sfruttamento sessuale; alcuni vengono lasciati per strada a chiedere l’elemosina, in alcuni paesi vengono arruolati nell’esercito e molti finiscono nelle miniere. Questo problema non riguarda solo i paesi poveri, ma anche quelli ricchi.

In Congo lo sfruttamento minorile è in aumento, altro dato allarmante che non si può ignorare. Nel suolo è presente oltre l’80% della riserva mondiale di coltan, una sabbia nera molto preziosa per le aziende che producono tecnologie. È un minerale raro che si trova nel Congo e in poche altre zone del mondo. Sempre in Congo sono presenti riserve di cobalto che viene utilizzato per i dispositivi elettronici portatili, motivo per il quale è molto ambito. L’attività estrattiva è in espansione in relazione alla grande richiesta. Recentemente, a causa di un problema che si è creato nella società statale congolese, la maggior parte delle miniere è stata rilevata da operatori del settore che hanno avviato un processo di sfruttamento che in poco tempo si è allargato oltre misura.

Esiste un codice minerario, che tuttavia non viene seguito. Va invece avanti un conflitto che sta generando conseguenze drammatiche, non solo per la popolazione adulta, quanto soprattutto per i minori. Corruzione, violenza, bambini abbandonati a se stessi, senza più un’educazione, spesso senza casa, costretti a vivere in strada. La popolazione è costretta a migrare, lasciando dietro di sé casa, famiglia, affetti. Tutto.

In questo scenario in cui la società si perde e mancano le risorse economiche per poter far fronte alle necessità della vita, l’unica via d’uscita per tanti giovani, l’ultimo spiraglio per sopravvivere, è lavorare in miniera. Un lavoratore congolese guadagna all’incirca 100 dollari mensili e chi lavora in miniera prende tra i 10 e i 50 dollari a settimana. La cosa triste è che per questo tipo di lavoro vengono utilizzati soprattutto i bambini perché per loro è più facile, data la costituzione, entrare nei punti più angusti della miniera, tunnel strettissimi e insalubri.

Ancora più straziante è sapere che non solo sono trattati come schiavi, ma che non vengono fornite neanche le più elementari attrezzature per lamani salvaguardia del corpo, delle mani, delle vie respiratorie. Per estrarre una minima parte di coltan muoiono tanti bambini. Non sono rari i casi di morte in seguito a frane. E non sono le sole conseguenze: epidemie, carenze alimentari che provocano malnutrizione interessano grandi e piccoli; per non parlare dei problemi psicologici e dei vari traumi soprattutto nei minori.

I bambini sono certamente quelli che soffrono di più: è difficile spiegare loro il perché di questo stato di cose. Chi va di persona a rendersi conto rimane senza parole di fronte allo stato di degrado e abbandono in cui versano creature che si fanno capire senza parlare. Una vita, la loro, di solo sfruttamento e abuso.

In alcune zone del Congo qualcosa sta cambiando, ma non dipende dallo Stato, né dagli abitanti del posto, ormai senza forze né risorse. Dipende da chi ha compreso che ciò che accade è assurdo e disumano. Parlo di alcuni missionari salesiani che si stanno adoperando per salvare tante piccole creature indifese. Lottano per portare via dalla strada e dalla miniera tanti bambini sfruttati fino al midollo. Sanno perfettamente che si stanno violando i Diritti fondamentali dell’infanzia e dell’adolescenza sanciti dalla Convenzione ONU, composta da 54 articoli, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989.

L’articolo 32 stabilisce che: «Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento economico e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale».

Si legge nell’articolo 39: «Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento per agevolare il recupero fisico e psicologico e il reinserimento sociale di ogni fanciullo vittima di ogni forma di negligenza, di sfruttamenti, o di maltrattamenti, di torture o di ogni altra forma di pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, o di un conflitto armato. Tale recupero e reinserimento devono svolgersi in condizioni tali da favorire la salute, il rispetto della propria persona e la dignità del fanciullo».

I missionari salesiani stanno facendo un grande lavoro, soprattutto nel dare sostegno psicologico ai minori durante il percorso di riabilitazione dai vari maltrattamenti subiti. Hanno in atto un progetto che impedisca qualsiasi forma di sfruttamento dei bambini che lavorano nelle miniere, offrendo loro una casa e una base economica per il futuro. Il progetto riguarda bambini e adolescenti che vengono seguiti, istruiti e completamente riabilitati per essere in grado, in poco tempo, di provvedere a se stessi.

Il progetto ha come base un maggiore potenziamento degli edifici scolastici nei villaggi o nei centri di accoglienza gestiti dai salesiani per fare in modo che i bambini e i ragazzi lascino per sempre il lavoro nelle miniere e possano essere formati professionalmente per lavorare dignitosamente.

Tutto ciò serve come testimonianza per i vari villaggi, per le zone che vivono la piaga dello sfruttamento minorile, perché sappiano che esiste una possibilità concreta di salvezza.

I salesiani vivono degli insegnamenti di don Bosco che nutriva un amore particolare per i ragazzi – voleva che fossero seguiti, amati, istruiti, che venisse loro insegnato l’amore e l’aiuto reciproco. Il suo progetto si basava sull’educazione integrale dei giovani, sulla tutela dei bambini, sul coinvolgimento in attività ludiche, sportive, di aggregazione, animate da spirito fraterno. In questo modo da grandi sarebbero stati forti e capaci di intervenire in situazioni come quelle che si verificano in Congo, nei villaggi a ridosso delle miniere, dove regna la violazione di qualsiasi diritto dell’infanzia.

A volte mi chiedo: con che coraggio in questi casi si guarda un bambino negli occhi? Non si tratta di avere il cuore di pietra, si tratta di non averlo affatto. Penso allora alle parole di Gesù e mi commuovo: «Ogni volta che l’avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me» (Mt 25,40).

 

bambini congolesi

 

 

 

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