di Margherita Merone
La controversia che era scoppiata in relazione alle 95 tesi di Lutero sulle indulgenze, ormai diffuse e conosciute da tutti, aveva sollevato subito un’importante questione: quali fossero le autorità a cui si doveva fare appello in tempo di conflitto. Intanto, tra le prime risposte alle tesi di Lutero sulle indulgenze, quella più incisiva non ammetteva altre possibilità; chi non si atteneva alla dottrina della chiesa romana e al magistero del papa in quanto infallibile, da cui anche la Scrittura deriva la sua autorità, era da considerarsi eretico. Come dire, in altre parole, che la Scrittura non può essere autentica senza l’autorità della chiesa.
La controversia, che non ebbe breve durata, passò da un conflitto su questioni dottrinali, come appunto le indulgenze, ad una controversia sull’autorità nella chiesa. Qualora ci fosse stato un conflitto tra diverse autorità, per Lutero il solo giudice che poteva dare l’ultima parola, quella definitiva, era la Scrittura. Questo perché era l’unica che aveva dimostrato di essere un’autorità potente, mentre tutte le altre attingevano da essa la loro forza.
Lutero aveva un’idea chiara della Scrittura, la considerava il primum principium, ossia il principio primo, sul quale si fondano tutte le affermazioni teologiche. La sua teologia non era che l’interpretazione della Scrittura. Era convinto che i cristiani dovevano attenersi solamente a quanto essa comunicava e di conseguenza, vivere in essa.
Egli sosteneva che un serio studio della teologia doveva essere affrontato con un metodo preciso, in tre fasi, tutte ugualmente importanti: la preghiera, la meditazione e la prova. La prima cosa da fare, fondamentale, era invocare l’aiuto dello Spirito Santo per essere in grado di capire quanto era scritto nella Scrittura. Questa doveva essere letta dopo aver pregato a lungo, la preghiera non doveva mai mancare, poi c’era il momento della meditazione di quanto si era letto, ogni parola. Il momento della prova arrivava quando si doveva prestare attenzione a quanto quotidianamente poteva accadere, che molte volte sembrava contraddire quanto si leggeva. Attraverso questo processo, alla fine, la Scrittura rivelava, senza dubbio, la sua autorità, vincendo qualsiasi tentazione.
Lutero affermava che la grande forza della Scrittura è quella di non cambiare a seconda di chi la legge, al contrario è essa a trasformare chi la ama. Quando si prega molto e si vive la Scrittura con grande passione, col tempo non solo una persona è in grado di interpretarla, ma essendone trasformata può metterla in pratica, ed è questa un’ulteriore dimostrazione della sua assoluta autorità. Lutero era solito usare l’espressione “sola Scriptura”.
E ancora, seguendo il pensiero di Lutero, la Scrittura è testimonianza della Rivelazione, per cui chi studia teologia deve capire il modo in cui la rivelazione di Dio è espressa nei libri sacri, altrimenti non se ne ha piena considerazione. I vari libri che la compongono sono integrati in un insieme che diventa unità, mediante il riferimento a Cristo. Ciò che Cristo ha insegnato era per Lutero il criterio col quale poter affrontare il problema della canonicità (i testi riconosciuti ispirati e dunque sacri).
Ciò che veramente gli stava a cuore era che non si ritenesse nessun’altra autorità superiore alla Scrittura. Quando questo accadeva, il suo giudizio era impietoso e molto severo: nessuno doveva permettersi di ritenere che ci fosse un’altra autorità al di sopra, neanche alla pari. Pur rimanendo nella sua ferma e decisa convinzione della sola Scriptura, non leggeva la Scrittura da sola, lo faceva in relazione alla professione di fede trinitaria e cristologica della chiesa antica.
Scrisse il Piccolo catechismo, con termini semplici per la gente comune, e il Grande catechismo per i laici colti e i pastori. Considerava i due testi una sintesi della Scrittura; per l’interpretazione faceva riferimento ai Padri della chiesa, in particolare ad Agostino.
Quando Lutero doveva valutare un’altra autorità rispetto alla sola che considerava al di sopra di tutte (la Scrittura), la decisione dipendeva dal giudizio su di essa, se poteva cioè coglierne il messaggio o al contrario non comprenderlo. Sosteneva che era possibile afferrarne il messaggio perché le parole che contiene sono chiare; inoltre, con la luce dello Spirito Santo il cuore dell’uomo non solo può cambiare, ma può arrivare a capire la verità in essa contenuta. Non è necessaria la mediazione della chiesa, non c’è bisogno di nessun interprete.
Non mancavano, al riguardo, le preoccupazioni della chiesa. Fu il Concilio di Trento con l’aiuto dei teologi, a cercare di riordinare le cose per riportare l’equilibrio che si stava perdendo. La parte cattolica sosteneva che la vita della chiesa non si riduceva alla sola Scrittura, ma che sia la Scrittura che le Tradizioni apostoliche non scritte sono due mezzi per trasmettere il vangelo. Era però importante avere chiara la distinzione tra le tradizioni apostoliche e le tradizioni della chiesa, che sono valide, ma secondarie. Sempre la linea cattolica era preoccupata delle interpretazioni personali della Scrittura, così il concilio affermò costantemente che l’interpretazione della Scrittura doveva essere condotta dal magistero della chiesa.
Il ruolo importante della Scrittura venne, in seguito, affermato nel Concilio Vaticano II, che dichiara nella Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei verbum che: «Nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della chiesa, e per i figli della chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell’anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale» (n.21).
Nel dialogo cattolico-luterano, i cattolici mettono in evidenza ciò che è in comune con la Riforma, l’efficacia dei testi della Scrittura ispirati dallo Spirito Santo, che trasmettono le verità rivelate. Il Concilio Vaticano II non ha detto che la Tradizione offre nuove verità oltre quelle della Scrittura, ma solo che esprime la certezza riguardo la rivelazione attestata dalla Scrittura.
Entrambi, cattolici e luterani, possono congiuntamente dire riguardo alla Scrittura e alla Tradizione di essere ad un livello di accordo tale che, pur esistendo differenti accentuazioni, non possono essere motivo di separazione delle chiese; in questo contesto, c’è unità nella diversità.
La cosa importante quando ci sono dei contrasti è guardare oltre, andare avanti. Il dialogo tra i cattolici e i luterani, che si propone di essere serio, non solo offre ai cattolici la possibilità di approfondire la teologia di Lutero e di comprenderla appieno, ma permette ad entrambi di comprendere meglio le rispettive dottrine.
È solo così, con umiltà, attraverso il dialogo, infatti, che si possono vedere i punti in comune, le parti in cui non ci si trova d’accordo, e le varie questioni che necessitano di ulteriore studio, riflessione, e di un maggiore confronto.
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