di Margherita Merone
Nato intorno agli anni 70 del I secolo da genitori cristiani, pare – da quanto ci dice il suo discepolo, Ireneo di Lione – che abbia conosciuto durante la giovinezza, trascorsa in Asia Minore, gli Apostoli che avevano conosciuto Gesù, in particolare l’Apostolo Giovanni. È ritenuto certo che sia stato da lui convertito, poi scelto e nominato vescovo di Smirne, verso l’anno 100.
Policarpo esercitò il suo ministero con totale dedizione, immenso amore per Cristo e per il prossimo. Istruì molti discepoli, fra i quali noto è Sant’Ireneo. Mise in pratica tutti gli insegnamenti dell’Apostolo Giovanni, definito il “discepolo amato”. Fu grande testimone della predicazione della Parola e della realizzazione della sequela di Cristo. La sua influenza sul mondo cristiano oltrepassò i confini del suo territorio e l’esercizio della sua funzione episcopale si estese in pochissimo tempo. Quando Sant’Ignazio d’Antiochia passò presso Smirne, diretto al suo martirio, Policarpo baciò le catene che lo tenevano prigioniero e ricevette da lui l’incarico di provvedere alla chiesa di Antiochia e di scrivere alle chiese dell’Asia Minore, che non aveva potuto contattare. Policarpo non si fece certo pregare, obbedì e fece quanto gli era stato chiesto. Abbiamo una sua lettera, scritta ai Filippesi, che veniva letta pubblicamente nelle chiese dell’Asia, anche dopo la sua morte.
Policarpo si dice avesse un carattere forte e deciso; senza paura combatté gli gnostici, gli eretici e lottò affinché non ci si allontanasse dalla fede né la si rinnegasse. In quel periodo, molti per paura di essere uccisi abiuravano, senza provare alcun rimorso. Nel 154 si recò a Roma per discutere con papa Aniceto su alcune questioni religiose, fra le quali quella più importante, stabilire il giorno in cui celebrare la Pasqua. Non giunsero ad un accordo ma si separarono in pace, continuando a rimanere in contatto. Tornò a Smirne.
Stupefacente è il racconto fatto, in una lettera, dalla chiesa di Smirne, circa il martirio del suo vescovo. Anche alcuni suoi discepoli furono presi e martirizzati, ma non tutti ebbero il coraggio di seguire la propria fede, infatti ci furono cristiani che scelsero l’apostasia.
Ci troviamo sotto l’impero di Marco Aurelio. Il proconsole cercò di convincerlo a rinnegare la fede ma non ci fu verso. La risposta che Policarpo gli diede in tribunale, quando gli fu chiesto di giurare sulla divinità di Cesare e di maledire Cristo fu questa: “L’ho servito per 86 anni e non ho ricevuto che del bene, come potrei adesso rinnegarlo?”
Pronto per il martirio, recitò una preghiera di lode e di ringraziamento a Dio. Non smetteva di benedirlo per averlo reso degno di partecipare al calice di Cristo “per la resurrezione alla vita eterna”.
Il racconto del suo martirio è uno dei testi più commoventi dell’antichità cristiana. Si racconta che il fuoco non lo intaccasse minimamente; dal suo corpo usciva poi un odore soave. Un soldato intervenne e lo trafisse con un pugnale. Il sangue che uscì dalla ferita spense completamente il fuoco. Il cadavere fu bruciato e le ceneri furono raccolte dai cristiani. Si colloca la data del martirio probabilmente nel 167.
Ho solo un pensiero che diventa preghiera. Dio onnipotente, ogni giorno, aiutaci ad accettare di soffrire con gioia, di non cedere di fronte alle difficoltà della vita, per essere come i martiri, discepoli e imitatori di Gesù Cristo, nostro Signore.
- Le apparizioni di Gesù risorto - 20 Febbraio 2017
- Un vizio capitale: l’invidia - 6 Febbraio 2017
- La melodia dell’amore - 30 Gennaio 2017