Il povero grida e il Signore lo ascolta


di Margherita Merone

 

Carl Spitzweg dipinto

 

Si legge in un Salmo: «Questo povero ha gridato e il Signore l’ha ascoltato e da tutte le sue angustie lo ha liberato» (34,7). Nella legislazione biblica il tema della povertà è fortemente sottolineato, tanto che per definire i vari aspetti della povertà vengono usati sette termini differenti. Povertà, quale categoria non solo sociale, ma anche religiosa e spirituale, può essere sintetizzata prendendo come esempio sostanziale proprio questo Salmo contenuto nell’Antico Testamento.

La parola al plurale anawim, ossia i poveri, indica due aspetti incisivi della povertà, il senso reale e materiale dell’essere indigenti e l’aspetto della sottomissione, del curvarsi, dell’essere piegato, nel senso specifico di oppresso dai forti, dalla loro prepotenza e superbia. C’è un ulteriore aspetto che è fondamentale nella spiritualità biblica, perché il povero è la persona umile che si affida a Dio, lascia la sua vita nelle sue mani, riconoscendo la sua illimitata potenza e supremazia su tutte le cose. Nel momento della difficoltà recita il Salmo confidando nella risoluzione e la preghiera diventa nello stesso tempo un inno di lode a Dio. I poveri si mettono sotto la protezione del Signore, operano il bene, si prodigano per gli altri e annunciano la pace. Sono al servizio di Dio e dalla loro bocca escono solo parole di ringraziamento.Gesù e i poveri

Lo stesso Salmo inizia dicendo proprio: «Voglio benedire il Signore in ogni tempo, la sua lode sia sempre nella mia bocca» (34,2). Il Signore ascolta il grido del povero in ogni tempo, in ogni passaggio della storia: «Mi sono rivolto al Signore e mi ha risposto, da ogni oppressione mi ha liberato» (34,5), perché il Signore sa bene che «molti sono i mali del giusto, ma da tutti lo libera il Signore. Egli custodisce tutte le sue ossa, non una di esse fu mai spezzata» (34, 20-21).

Risulta chiaro che da sempre c’è la preoccupazione di tutelare il povero facendo in modo che non subisca oppressioni di nessun tipo. I profeti in particolare mostravano lo stato di squilibrio a livello sociale e si pronunciavano in ordine alla giustizia. Denunciavano le ingiustizie inferte dalle classi benestanti nei confronti dei poveri che spesso erano costretti a vendersi come schiavi per pochi soldi. Non erano pochi i crimini denunciati a danno dei poveri, che vivevano in condizioni di estremo disagio e non sempre erano realmente colpevoli di qualcosa. La denuncia principale era per l’ipocrisia di chi si dichiarava giusto verso gli altri, ma in realtà le cose stavano diversamente; qualsiasi forma di culto, se non legata alla giustizia, è solo un comportamento falso.

BeatitudiniGesù nel suo discorso della Montagna, nel momento in cui parla delle Beatitudini, dice: «Beati i poveri in spirito» (Mt 5,3) e nella versione dell’evangelista Luca: «Beati voi, poveri» (Lc 6,20), in cui appare più diretto il senso di una reale povertà, tra quelli che seguivano Gesù. Tuttavia, entrambi gli evangelisti vogliono sottolineare il duplice senso, sia sociale che religioso. Chi ha dei beni deve aiutare chi conduce una vita disagiata, deve andare incontro e aiutare chi ha bisogno, proprio come ha fatto Gesù che soccorreva gli ultimi della società, gli orfani e le vedove, lo straniero e lo schiavo, tutti gli emarginati dalla società, alleggerendo le loro afflizioni.

La Lettera di Giacomo dà voce e non fa altro che sostenere che «questa è la religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre: visitare gli orfani e le vedove nella loro afflizione, custodire se stesso immune dal contagio del mondo» (1,27). La chiesa deve sostenere i poveri in ogni tempo e denunciare lo scandalo della ricchezza eccessiva, non solo con le parole; deve guardare ai fatti nella loro concretezza.

Gesù stesso «da ricco che era si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9) e in questo modo la povertà diventa segno di umiltà: ciò che si vuol fare è solo la volontà di Dio.

Quanto detto non deve rimanere un fiume di parole, come l’acqua che scorre e va ovunque, ci deve essere un impegno serio; la giustizia non deve essere solamente dare a ciascuno ciò che gli spetta, ma anche attuazione di quella via sublime che è la carità, condivisione nell’ottica comunitaria. La coscienza della gente va risvegliata, poiché ognuno di noi potrebbe trovarsi in uno stato di povertà e di emarginazione. Dunque si deve operare per il bene comune.

L’impegno non è solo dei cristiani – che sanno dalle parole di Maria che Dio «ha rovesciato i potenti dai troni e innalzato gli umili. Ha ricolmato di beni gli affamati e rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1, 52-53) – ma di tutti e questo deve tradursi in proposte serie che promuovano il bene della società, laddove ognuno può esprimersi mettendo a disposizione le proprie capacità, attualizzando le proprie potenzialità. Confrontiamoci gli uni gli altri e lottiamo per la giustizia sociale, la libertà e la dignità umana. Solo così possiamo sperare in un mondo migliore.

 

In copertina: Carl Spitzweg, Il poeta povero, 1839 

 

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