di Margherita Merone
Tanti si spaventano quando si parla di regole, si pensa subito a imposizioni, a norme rigide da seguire. Ma se si dice “Regola”, il pensiero corre veloce, s’intuisce che si sta parlando della vita monastica, precisamente della Regola di San Benedetto da Norcia. Voglio cominciare dicendo subito che la Regola, secondo il mio pensiero, non si riferisce solamente a coloro che, per vocazione, vogliono mettersi il vestito lungo nero ma a tutti quelli che, come me, cercano Dio, mentre lavorano, studiano, cucinano, danzano, nella confusione e nella gioia della vita quotidiana. Dopo averla letta con attenzione, ho scoperto che è una valida guida per ogni laico cristiano che vuole trovare la pace interiore, la gioia, il silenzio, la contemplazione, lottando per mantenerli tutta la vita, comunicandoli agli altri.
Benedetto si trovò a crescere in un mondo turbato, lacerato, diviso e titubante, in cui la Chiesa era travagliata e così le istituzioni civili. Trovare un punto di riferimento era difficile. Lui ebbe coraggio, si allontanò da quel mondo e fuggì, per vivere 3 anni della sua vita dentro una grotta a Subiaco, conosciuta ora come “Sacro Speco”. Solamente un monaco, di nome Romano, era a conoscenza della sua presenza ma seppe mantenere il segreto. Gli dava il cibo dentro una cesta che calava con una corda fin dentro la grotta. Lì, Benedetto contemplò Dio, aveva capito che la smania delle cose materiali non portava alla felicità, non a quella che ci permette di ascoltare Dio. È proprio “Ascolta” la prima parola della regola. L’ascolto non si limita al prestare solamente l’attenzione auricolare ma a percepire sia ciò che ci piace sia ciò che non ci è gradito, perché Dio ha diversi modi per raggiungerci. Ecco un primo punto importante da seguire per guidarci nel nostro cammino di vita.
Poi c’è l’obbedienza, che è amore, quando è data volentieri, accettando di abbandonarsi alla volontà di Dio. Segue la stabilità che non è puro idealismo ma realismo, un bisogno fondamentale dell’uomo.
La conversatio morum è il cambiamento, significa rispondere totalmente all’invito di Cristo che chiede di seguirlo. Dobbiamo essere sempre pronti alle novità di Dio che a volte mettono in crisi il nostro amore per la tranquillità e la sicurezza, perché preferiamo, spesso, rimanere aggrappati alle nostre certezze.
L’equilibrio, la proporzione, l’armonia sono talmente importanti, che senza di essi la regola perderebbe la sua chiave interpretativa. La giornata dei monaci è equilibrata dalla successione ritmica di tre elementi, lo studio, la preghiera, il lavoro. Questi, con la cura che meritano, ci permettono di apprezzare con pienezza la totalità della persona umana. Si tende, soprattutto tra noi laici, a distinguere la vita, mondana o religiosa, spirituale e materiale, dove lo spirito è visto come superiore al corpo, in un dualismo che risulterebbe scandaloso anche a San Benedetto che, per indicare la strada verso Dio, ha sempre usato termini che si riferiscono alla realtà fisica. Il nostro corpo è il tempio in cui possiamo trovare Dio.
San Benedetto era di Cristo; senza Cristo non possiamo nulla, insieme a Lui tutto diventa possibile. La Regola non è pervasa da dissertazioni teologiche su Dio ma dall’idea di incontrarlo nel quotidiano e nel rapporto con la gente.
Il santo parla anche dell’autorità di un maestro che viene esercitata alla stregua dell’amore di un padre, con cura e sollecitudine. Fondamentale è l’umiltà per combattere la superbia, che è il desiderio di dominio, e il silenzio che apre il cuore alla adorazione di Dio.
Ma il cuore della vita benedettina è la preghiera, che sostiene ogni cosa. Pregare non è ciò che è staccato dalla vita, è la vita stessa. La preghiera è Opus Dei, l’opera di Dio e va considerata al primo posto. Non si deve anteporre niente all’amore per Cristo, in questo il santo è fermo. La supremazia dell’amore non si mette in discussione. Il nostro fine è Dio, il cui sguardo è fisso su di noi e il suo amore è per sempre. Niente deve allontanarci da Lui e come dice il santo nella regola, “Non appena i cattivi pensieri vengono nel tuo cuore, spezzali contro Cristo”.
Cosa c’è di difficile nella regola benedettina che non possa essere regola laica? Penso nulla, anzi la gioia che traspare dagli occhi delle monache benedettine a Subiaco, che conosco, frequento, alle quali voglio un bene immenso, mi induce a consigliare a tutti di leggerla, per rendere la nostra casa – come un monastero – scuola di preghiera, e per seguire – come i monaci – la via giusta che conduce al Padre.
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