di Margherita Merone
Questa donna meravigliosa di nome Agnes Gonxha Bojaxhiu nacque a Skopje in Serbia il 26 agosto 1910. Agnes, la più piccola dei tre figli di Nikola e Dranafile Bojaxhiu, entrambi albanesi, crebbe in un ambiente, come si legge nelle numerose biografie, molto tranquillo. Il padre, Nikola, mercante e imprenditore, era molto spesso fuori per lavoro; apparteneva ad una famiglia benestante con una lunga tradizione di commerci. La madre, Dranafile, invece, era sempre impegnata nelle faccende di casa, sapeva cucinare bene, era capace in tutti i lavori domestici e si prendeva cura dei suoi figli, con grande accortezza.
L’anno in cui nacque Agnes, il 1910, fu quello relativo alla prima sommossa albanese; più tardi, circa due anni dopo, scoppiò la guerra nei Balcani, episodio che, in parte, contribuì allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Vari furono i conflitti sia in Serbia che in Albania; quest’ultima, alla fine, conquistò l’indipendenza (1912), privando la Serbia della linea costiera a cui aspirava e che acquisì in seguito. Tra le due comunità c’erano contrasti che ovviamente andarono ad incidere tanto sul piano politico che nel settore commerciale, per questo la famiglia di Agnes non poté rimanere estranea al conflitto, dato che era coinvolta d’ambo le parti, soprattutto per via di interessi imprenditoriali. Il padre, Nikola, simpatizzava per il movimento di liberazione albanese, dava perfino ospitalità ai suoi esponenti e la cosa continuò fino a quando non fu proclamata, appunto, l’indipendenza albanese e aumentò l’entusiasmo in tutti.
Alla morte prematura del padre, per la famiglia di Agnes cominciarono seri problemi. Un socio in affari del padre si appropriò di tutto il loro patrimonio e più per fortuna che per abilità, la madre riuscì a tenersi la casa. Agnes aveva solo otto anni quando morì il padre. Vedeva nella madre un modello di coraggio e testimonianza, cercava di imparare da lei tutte le cose meravigliose che faceva e diceva, c’era un legame spirituale molto particolare tra loro. Dirà da adulta: “la famiglia che prega insieme, resta insieme”. Cattolici da generazioni, pregare tutti insieme era, per loro, qualcosa di costitutivo. La piccola Agnes aveva ripreso molto dalla madre, era obbediente e responsabile, un grande esempio per i fratelli. Era di carattere socievole, allegra, le piaceva stare in compagnia, aveva il senso del divertimento e dell’ironia, non era strano che avesse così tanti amici. Cagionevole di salute, soffriva di dolori al petto ed era spesso soggetta ad infiammazioni bronchiali croniche.
A dodici anni sentì la vocazione per una vita diversa da quella delle sue amiche, comunicò che voleva farsi suora, dicendo che “voleva appartenere completamente a Dio”. Amava pregare in solitudine, ed ebbe il tempo per il necessario discernimento.
Da adulta, Agnes divenne una donna attiva e molto impegnata nella sua comunità. Era sempre stata un’allieva modello e amava aiutare nello studio chi aveva bisogno. Particolarmente interessata alla musica e alla scrittura, animava con la sua grinta qualsiasi attività intraprendesse. Scriveva poesie e preparava articoli che poi venivano pubblicati. Intanto trascorreva lunghi periodi di ritiro, per capire bene la sua vocazione. Arrivò il momento in cui prese la decisione di diventare una suora missionaria, cosa non semplice poiché in fondo al cuore aveva sempre desiderato un marito e dei figli. Ripeterà spesso nelle interviste che il non aver avuto un figlio, “questo è il sacrificio che facciamo. Questo è il dono che offriamo a Dio”. Dio, però, le donò molto di più, migliaia di bambini e bambine, donne e uomini di cui prendersi cura, tutte persone da salvare.
Ricevette il velo da postulante all’Abbazia di Loreto di Rathfarnham, nella quale poté studiare – soprattutto le lingue che ancora non conosceva – e meditare a lungo nel silenzio e nella pace.
Nel 1928 salpò per l’India con il nome di suor Maria Teresa del Bambino Gesù in memoria di santa Teresa di Lisieux, il “piccolo fiore”, così veniva chiamata, che dava importanza e guardava alle piccole cose. Sbarcata insieme ad altre suore, fu colpita dalla bellezza della natura, e altrettanto dalle persone, la grande maggioranza curve sulla terra, povere. Non fu tanto a Colombo quanto a Madras che si trovò di fronte ad una povertà indescrivibile, tanto che ne rimase profondamente colpita e alquanto spaventata. Vedere persone dormire per terra o al massimo su stuoie intrecciate con delle foglie di palma (la maggior parte nude); guardare donne che pregavano i loro morti avvolti in stracci sporchi; osservare così da vicino bambini affamati che non avevano neanche la forza di piangere, ogni piccola cosa le toccava l’anima e pensava che chiunque avesse potuto vedere quelle cose, avrebbe certamente ringraziato Dio per quello che possedeva, fosse anche poco.
Suor Teresa e la sua compagna di viaggio arrivarono a Calcutta, definita “città dall’orribile notte”, il 6 gennaio 1929. Rimasero solamente una settimana, poi furono trasferite a Darjeeling, una località sulle prime pendici dell’Himalaya, dove cominciarono seriamente il loro noviziato e il 23 maggio 1929 ricevettero ufficialmente l’abito. Suor Teresa prese i voti temporanei nel maggio del 1931, anno in cui cominciò ad insegnare nella scuola della Congregazione di Loreto, presso Darjeeling, un ambiente relativamente privilegiato. Lavorò anche come aiuto infermiera ed è durante quell’esperienza che toccò con mano non solo la povertà, ma la sofferenza. Scriveva che molti erano quelli che venivano da lontano, in uno stato pietoso, completamente o quasi coperti di piaghe. Alcuni erano talmente debilitati da non riuscire a muoversi di casa. Tanti avevano la tubercolosi e c’era bisogno di molte medicine.
Teresa si prendeva cura dei casi più disperati, e per tanti bambini – che spesso venivano abbandonati nei prati dai loro genitori, perché malati e troppo deboli, finendo per diventare pasto degli sciacalli – divenne una seconda mamma. Pensava a ciò che avrebbe detto Gesù, chi accoglieva uno di quei piccoli, avrebbe accolto Lui. Teresa scoprì di avere una disposizione particolare per sopportare la sofferenza, ma non mancavano le crisi. Insegnava in condizioni di povertà estrema, ma non si arrendeva, prima ripuliva il luogo addetto, oltre a quello dove dormivano e mangiavano, poi riuniva i bambini e iniziava il suo lavoro. Diceva sempre che trovare una povertà peggiore non era possibile. I bambini la chiamavano “Ma”, ossia “Madre” ed erano felici che lei fosse con loro.
Il 24 maggio 1937, a Darjeeling, suor Teresa pronunciò i voti perpetui di povertà, castità e obbedienza e divenne Madre Teresa. Tra gli episodi più commoventi che raccontava ai giornalisti o a chiunque la intervistasse, c’era la storia di come aveva salvato una donna che a Calcutta era stata abbandonata per la strada, ormai quasi completamente mangiata dai vermi e prossima alla morte. Ciò che veramente l’aveva colpita di quella donna, in realtà, non era vederla in quello stato, ma il motivo per cui piangeva che, sebbene debole, riuscì a spiegare: il suo dolore non derivava dall’essere consapevole che la morte fosse ormai prossima, ma dal fatto di essere stata abbandonata, in quelle condizioni, dal proprio figlio.
Tante le giovani che in poco tempo seguirono l’esempio di Teresa, la comunità diventò sempre più grande. Il periodo peggiore fu quello del conflitto tra musulmani e indù. Bloccati i rifornimenti di cibo, usciva sola per cercare da mangiare, almeno del riso, e fu lì che si rese conto dell’orrore di sangue e morte che la circondava.
Col tempo Madre Teresa divenne sempre più debole, ammalandosi facilmente. Morì il 5 settembre 1997. Beatificata a Roma il 19 ottobre 2003, è stata proclamata santa il 4 settembre 2016.
Per scrivere solo una parte della vita e delle esperienze straordinarie vissute da Madre Teresa, donna destinata ad entrare nella storia, avrei bisogno di molte pagine. La sintesi che si può fare non rende minimamente l’idea della grandezza e della bellezza interiore di questa donna, simbolo di amore, serenità, tenerezza e pace, che aveva, come lei stessa la definiva, “la vocazione della vocazione”, essere chiamata da Dio ad essere suora Missionaria della Carità. Ora le Missionarie della Carità sono in tutto il mondo.
Fu suora missionaria in India, luogo dagli scenari mozzafiato per la bellezza e per l’orrore che vi si annida, che per tanti è la lontananza di Dio, mentre per Teresa non era altro che il segno evidente della sua presenza. Lo sentiva attraverso chi gli chiedeva da bere e da mangiare, curando quelli che erano pieni di piaghe, benedicendo quelli che stavano per morire, abbracciando i lebbrosi che si affidavano alle sue cure, dando conforto a grandi e piccoli che la stringevano per dirle semplicemente grazie, per l’aiuto che dava, per il coraggio che infondeva, per la forza che trasmetteva, per essere una preghiera vivente, per la luce dei suoi occhi, per essere lì con loro.
La sua vita straordinaria non può che rivelare che, in ogni momento, la forza, il vigore e la fermezza di Madre Teresa, una donna splendida, piccola di statura e santa prima ancora di diventarlo ufficialmente, non provenivano da lei, ma da Dio.
La vita è una opportunità, traine profitto.
La vita è bellezza, ammirala.
La vita è benedizione, sperimentalo.
La vita è un sogno, realizzalo.
La vita è una sfida, accettala.
La vita è una promessa, adempila.
La vita è un gioco, giocalo.
La vita è dolore, superalo.
La vita è amore, godilo.
La vita è un dovere, portalo a termine.
La vita è un’avventura, osala.
La vita è una tragedia, sappi tenerle testa.
La vita è un bene, salvaguardalo.
La vita è un canto, cantalo.
La vita è mistero, scoprilo.
La vita è vita, preservala.
La vita è fortuna, approfittane.
La vita è troppo preziosa, non distruggerla.
(Madre Teresa)
(In copertina, opera di Giosi Costan)
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