di Margherita Merone
Teresa nacque ad Avila il 28 marzo 1515, da famiglia nobile e religiosa. Dopo un’infanzia difficile, numerose prove fisiche e spirituali, fuggì di casa e a 21 anni divenne Carmelitana del Monastero dell’Incarnazione di Avila.
La sua fu una vita spirituale intessuta di esperienze talmente intense e fuori dall’usuale che vennero, da tanti, considerate come possessione diabolica. Soffriva di questo e quando cominciò a convincersi che le voci su di lei avessero un fondamento di verità, l’intervento del frate francescano Pietro D’Alcantara le dissipò ogni dubbio. Teresa attualizzò il progetto di riforma dell’ordine carmelitano, ripristinando il rigore di quando era sorto e fu così che le carmelitane “scalze”, dedite principalmente alla preghiera contemplativa, divennero famose in tutto il mondo.
Santa Teresa di Gesù o d’Avila concepisce la vita spirituale usando come immagine un castello interiore con sette stanze. L’anima deve percorrerle tutte, una dopo l’altra, per raggiungere l’unione totale e definitiva con Dio. Il nucleo della sua mistica è l’esperienza reale tra Dio e la creatura. L’anima ascende a Dio in quattro stadi: la meditazione o orazione di raccoglimento, ascoltando la Parola di Dio; l’orazione di quiete, momento in cui si rimette la volontà umana in quella di Dio, mentre le altre facoltà, l’immaginazione, la memoria e la ragione sono ancora sottoposte alla distrazione mondana; l’orazione di unione, stadio di pace totale, di consegna all’amore di Dio; al termine di questo cammino di ascesi si compie l’unione e si ha l’estasi. Il termine “estasi” etimologicamente indica l’uscire fuori di sé, l’elevazione della mente che a volte viene percepita come estraniata dal corpo. Nella mistica indica propriamente il rapimento dell’anima in comunicazione diretta con Dio.
Nella sua “Autobiografia”, scritta sotto la direzione del suo confessore, si legge: “Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avere un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere e quando lo estraeva sembrava portarselo via lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere dei gemiti ma era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore che non c’era da desiderarne la fine né l’anima poteva appagarsi che di Dio. Non è un dolore fisico ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po’, anzi molto. È un idillio così soave quello che si svolge tra l’anima e Dio che io supplico la divina bontà di farlo provare a chi pensasse che io mento”.
Leggendo il brano più volte e attentamente, confesso di aver avuto i brividi ma le credo senza il minimo dubbio. Alcuni psicologi hanno legato questi fenomeni d’estasi alla fervida e vivace fantasia della santa, e non pochi psichiatri ad uno stato d’animo in una particolare condizione di stress che le ha fatto credere di aver vissuto un incontro divino quando, in realtà, tutto è attribuibile semplicemente ad una fantasia sessuale o autoerotica. E c’è chi parla di transverberazione, dal verbo latino “transverberare”, ossia trafiggere, utilizzato per indicare l’esperienza mistica di alcuni santi feriti dall’intervento soprannaturale di Dio o di creature angeliche. Dopo la morte, nel cuore, sottoposto ad autopsia, si osservarono le ferite che aveva descritto.
La vita di questa santa straordinaria deve farci riflettere sul grande dono che Dio ha fatto a questa donna, apparentemente come tutte le altre ma scelta per vivere cose che la mente umana non può comprendere. Diceva San Paolo: “La sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio” (1Cor 3,19).
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