L’insegnamento dovrebbe essere una vocazione, un po’ come diventare preti. Purtroppo e molto spesso, sia nell’una che nell’altra categoria, le cose non vanno propriamente in questo modo: la vocazione lascia il posto alla semplice opportunità di un lavoro che ci permetta di pagare le bollette.
Sento spesso gli insegnanti lamentarsi dei propri studenti che non hanno voglia di apprendere, e credo che molte volte abbiano ragione maestre e professori; eppure ho un dubbio.
Mi chiedo quanto gli insegnanti amino ciò che fanno, quanto amino la materia che spiegano, quanto hanno voglia di conoscere ancora.
Roland Barthes, critico letterario e saggista francese (1915-1980), disse: «Vi è un’età in cui s’insegna ciò che si sa; ma poi viene un’altra in cui s’insegna ciò che non si sa, e questo si chiama cercare».
Ho sempre amato questa frase poiché ha in sé il germe dello sviluppo, dell’andare avanti e la consapevolezza che la conoscenza è un orizzonte che non si raggiunge mai veramente, pertanto è necessario continuare a cercare. Tuttavia uno dei problemi più gravi si verifica quando chi insegna non passa dalla prima fase (l’età in cui s’insegna ciò che si sa) ma direttamente da quella in cui s’insegna ciò che non si sa. Questo non è cercare ma contribuisce invece alla produzione di studenti che non ameranno la cultura, non avranno voglia di cercare, e, peggio di tutto, qualcuno di loro diventerà un insegnante.
La situazione attuale è che da una parte abbiamo una parte d’insegnanti che hanno smesso di cercare, tra i quali un’altra parte non ama più il proprio lavoro oppure lo considera una semplice routine da catena di montaggio: oggi Leopardi, domani Montale, poi Ungaretti; fine dell’anno. Dall’altra parte, invece, abbiamo gli studenti molti dei quali ignora il significato di cercare come un atto che implica il movimento, la messa in moto del cervello e un cospicuo investimento di tempo.
Il tutto e subito insegnato da questa società di consumi veloci, dove tutto diventa spazzatura il giorno dopo, dove nascono gruppi d’indignati che si sentono la coscienza a posto solo per aver cliccato su “mi piace” e poi vada come vada. In questo mondo superficiale e spasmodico, rallentare per apprendere, per studiare, diventa un’azione intollerabile e del tutto inutile.
Chiedendo agli studenti un’opinione sulla scuola, in molti casi viene fuori la parola “noia” e questo nella migliore delle ipotesi. C’è da dire che spesso gli insegnanti, così come le metodologie d’insegnamento, risultato piuttosto vetusti e non al passo con i tempi.
Salvo poi interventi governativi che invece di spingere verso l’uso di nuove tecniche d’insegnamento che facciano anche uso di nuove tecnologie, non fa altro che alleggerire i programmi, rendendo la cultura sempre più vicina a un elenco di definizioni nozionistiche.
D’altra parte, guardandosi attorno, abbiamo la sensazione che studiare non serva a nulla, che la cultura sia una semplice appendice di gusto: c’è chi sceglie la palestra, chi un cappello pitonato e chi un po’ di cultura. Ce lo dimostrano anche le scelte politiche orientate alla distruzione della cultura intesa come un oggetto di cui tranquillamente gli italiani possono fare a meno.
Eppure a volte basterebbe solo un po’ più di amore in ciò che s’insegna, di puro entusiasmo che stimoli emozione e curiosità negli studenti apatici e superficiali. Non tutti ne troveranno vantaggio, ma in molti potrebbero avvicinarsi allo studio come voglia di conoscere di più, di essere migliori, di fare la differenza.
Un giorno la mia professoressa d’italiano, dopo aver parlato di Leopardi, Foscolo e Dante, ci fece trascorrere un’intera lezione di due ore a parlare sul tema: con chi di loro andresti a una festa e perché? Imparai più cose in quella strana lezione che su tanti libri letti in seguito; a parte il fatto che mi divertii davvero tanto e come me il resto dei miei compagni di classe.
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Sono stata molto sintetica ma mi si limitava lo spazio di scrittura ed ho dovute stringere!
Rispondo da insegnante, anche se la memoria da studente è ancora viva.
Molto interessante l’articolo e vi sono spunti che possono aprire a discussioni costruttive. Ma vorrei mettere l’accento su quella che a me pare una contraddizione.
Questa società che insegna il “tutto e subito”, dove tutto deve essere morso e gettato per far posto da altro, mal si accorda con la scuola dove tutto deve essere necessariamente lento per poter essere “masticato e digerito”. Ma dici che “le metodologie d’insegnamento e gli stessi insegnanti risultano vetusti e non al passo con i tempi”.
Mi pare che se andassimo al passo con i tempi dovremmo affrontare in modo superficiale ogni argomento , correre per passare subito ad altro.
Non è questo il compito della scuola.
Non so se ho mal interpretato il tuo pensiero.
Da allieva il mio grazie va a quegli insegnanti che a suo tampo ho odiato perchè chiedevano la nostra anima a suon di 2 e 3.
Mi sono resa conto solo dopo che l’anima a noi l’avevano data prima loro.
Un’ultima cosa: nessuno può fare l’insegnante solo perchè ti assicura lo stipendio. Per come sono fatti i ragazzi (e 30 tutti insieme sono tanti!) si schiatta dopo tre mesi!
Ciao Carla,
grazie per questo tuo commento.
Ciò che indichi come contraddizione in realtà non lo è; cerco di spiegare miglio il concetto.
La frase “rallentare per apprendere, per studiare, diventa un’azione intollerabile e del tutto inutile” non vuol dire che non di debba rallentare per apprendere, piuttosto che pensare di rallentare appare, ai più, un’azione intollerabile, specialmente se ci si accorge che dopo aver studiato per anni, gli aspettati risultati, dal punto di vista lavorativo, non arrivano e quindi è facile pensare che forse era meglio dedicarsi al mondo del lavoro già a 19 anni che essere un disoccupato già fuori mercato a 28.
E’ chiaro che è necessario rallentare per apprendere, ma bisogna anche fare attenzione a non scadere nella noia e nella monotonia di una metodologia d’insegnamento vetusta. Oggi, in un mondo pieno di stimoli, è importante imparare a comunicare in modo diverso, al passo dei tempi. E’ auspicabile l’uso del multimediale, di internet, stimolare, appassionare, entusiasmare; queste solo solo una parte delle “keywords” necessarie al moderno insegnamento.
Hai mai visto un documentario di storia presentato in Superquark? Ecco, questo è un ottimo esempio di come è possibile insegnare in modo moderno.
Io ritengo che la scuola sia preposta soprattutto ad insegnare ad imparare e debba fornire gli strumenti necessari per avere la mente aperta ad apprendere nelle più svariate situazioni della vita.Mio figlio ha frequentato il liceo classico e poi il Dams. Laureato con lode è approdato subito al mondo del lavoro nell’ambito teatrale.Ma come puoi ben immaginare, la cultura ultimamente non dà granchè da mangiare. Si presenta l’occasione di fare un colloquio in una ditta che si occupa di informatica e tra i tanti candidati viene scelto lui, senza formazione specifica, ma in grado di imparare in fretta e bene.Forse è poco, ma questa è l’idea che ho io di scuola.Sugli strumenti siamo d’accordo, ma quando li avremo?
Il problema della mancanza d’investimento nella cultura è un cancro che attanaglia il nostro Paese; il politici non comprendono che l’investimento in cultura sia una delle poche cose che possa davvero, nel tempo, dare risultati apprezzabili.
Il Germania il governo, per uscire dalla crisi, ha aumentato gli investimenti nella scuola perché, cito, una persona istruita costa meno di una non istruita e disoccupata. Semplice, no?