di Giuseppe Vera
Sono le quattro, è quasi mattina e gli occhi stanno per chiudersi; anche la mente si appanna e dovrebbe lasciare spazio al sonno, all’inconscio, che ha bisogno di produrre le sue indecifrabili sequenze, scaricando miliardi di pulsioni nei sogni, che mai ho avuto il piacere di ricordare. Sto per chiudere l’ultima sessione nell’incoscienza quasi totale, quando avverto nell’intimo un colpo strano, di cui non riesco a cogliere il senso; è simile a una gigantesca biglia che si schianta tra le costole nel tentativo di esplodere, forse deve dirmi o simulare qualcosa, liberandosi da una prigione a cui si è costretta da sola. Il cuore mi batte forte, sudo perfino, il malessere si acuisce e diventa chiara la motivazione: è il giorno 22 e intorno a me avverto l’indifferenza totale di mia moglie e dei miei figli per questa giornata importante, è il 34° anniversario delle nozze.
Devo aver beccato in pieno l’attimo in cui si passa dalla veglia al sonno, dalla coscienza al sogno; forse c’è stata l’imprudenza dell’Es a voler anticipare i tempi e di questo inconscio devo aver avvertito le prime movenze, le prime pulsioni, quelle che danno segnali importanti e che mi consentono di sopravvivere in una relativa tranquillità. Oramai il malessere c’è e a quest’ora non posso far nulla per rimediare; decido di scrivere un biglietto a mia moglie e ai due figli, perché questo anniversario non può, non deve passare nel silenzio e nella indifferenza generale, qualcosa deve pur dire, qualche valore deve pur averlo. È un fluire spontaneo, breve, di sentire e volere, di pensieri e di auspici.
“Oggi è un giorno speciale, di quelli che spingono a fare il secondo bilancio della vita (il primo si fa a 30 anni); forse a me non resta molto da vivere e non credo che mi sia riservata ancora la fortuna di girare per il mondo, che ho amato più di me stesso, di tirare fuori quelle cose che voi considerate elementi di pazzia, di stupidità, bugie infantili; io le considero colpi di creatività, di sregolatezza, di genialità (chiedo scusa se è troppo!), perché per me il mondo non è da vivere nella normalità più deprimente e anonima, ma è una miniera in cui bisogna impegnarsi a cercare le pietre che impreziosiscono il cammino di noi tutti.
Siamo tanto diversi e siamo ancora qui,
con una incomunicabilità latente e senza progetti comuni, come se percorressimo una strada lungo la quale ci si incontra e ci si lascia nella speranza di rivederci ancora, con una angoscia profonda, perché ognuno porta avanti il suo progetto, mai discusso o condiviso con gli altri; SIAMO TITANI SOLITARI contro un mondo che ci schiaccia, in attesa di una vittoria che arriverà, sì perché arriveranno pure le soddisfazioni, le gioie, le realizzazioni (così le chiamate, è vero?). Un po’ di retorica non guasta se dico che siete le mie perle, che non avrebbe senso una vita senza di voi, che non saprei guardare al futuro senza frugare tra i nascondigli segreti di Luca e Diletta, senza i severi rimbrotti di Luciana, senza le esaltazioni e le depressioni che ci accomunano.
Oggi è un giorno speciale
e non mi chiedete di cambiare, né io lo chiederò a voi, perché siamo così, con una voragine spaventosa nelle nostre singole coscienze, generata da una natura speciale, quella che il 22 luglio di tanti anni fa ha generato questa famiglia.”
Sono le otto del mattino e ho tutto il tempo per andare dal fioraio, per organizzare un pranzo speciale, per acquistare e confezionare le buste con i biglietti. E così arrivano le 14,00 e rientro a casa proprio in coincidenza dell’arrivo di mia moglie. I figli hanno già apparecchiato la tavola e siamo pronti per sederci. A questo punto tiro fuori il mazzo di rose tra lo stupore di tutti loro, perché non capiscono e io ci resto un po’ male; allora consegno i biglietti. Aprono contemporaneamente e dopo un poco mia moglie mi guarda:
– Ma è stato il 22 del mese scorso!
Però è raggiante e i figli altrettanto, sono tutti di buonumore.
Ma vaffanculo sig. Es, non farmi altri scherzi simili.
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