– saggio di Mauro Cristofani –
Diceva: “Il bisogno di semplificazione e ordine ci guida lungo la nostra strada e ci ispira in mezzo al caos”. Cornelis Escher (1898-1972) nasce a Leeuwarden, nei Paesi Bassi settentrionali. Si iscrive alla scuola d’architettura di Haarlem, ma presto l’abbandona per dedicarsi allo studio della grafica.
Ama soprattutto le xilografie, stampe da incisione su legno. Ossessionato dai contrasti (“la vita è possibile solo quando i sensi percepiscono i contrasti”), nel 1923 venne in Italia per trovare stacchi di luce più crudi nei paesaggi assolati della costa amalfitana.
Il 1936 è il suo anno cruciale: scopre i mosaici moreschi dell’Alhambra, a Granada – “figure a incastro che si definiscono reciprocamente, senza vuoti fra loro” – che gli segnalano una possibile semplificazione dello spazio e al contempo la sua astrazione, e la ripetizione come fulminea metafora dell’infinito.
Anni di quieta follìa, di lavoro e solitudine, di stenti e incomprensione. “Basta con questa carta da parati!” gli grida suo padre, stanco di spender soldi per quel figlio adulto e per lui inconcludente. Ma Cornelis prosegue nei suoi arabeschi e ricerche. Nel disegnare si sente “come un medium durante una seduta spiritica”, ma costeggia il confine d’una soglia mentale rischiosa. (“Come un merlo, ripete più volte la stessa canzone, tutta intera a ogni esecuzione. Più copie gli vengono chieste, e più è contento. Spera che il vento diffonda la sua voce nel mondo, il più lontano possibile. Non come le foglie morte in autunno, ma come semi leggeri che possono germinare”). Si sente un grafico nell’anima e nel corpo, e ha il culto della riproducibilità tecnica dell’opera.
Dopo tanta indifferenza, nel 1954 lo Stedelijk Museum di Amsterdam gli dedica una grande mostra. Lo stesso pubblico che lo ha ignorato, ora lo osanna e si contende le sue opere; i critici paiono deliziati dal suo lavoro, i mercanti d’arte e i giornalisti lo assediano, gli ammiratori lo sommergono di lettere.
A 56 anni, Escher si ritrova famoso in tutto il mondo. Nel tentativo di arginare la valanga di richieste, raddoppia i prezzi delle sue opere ma ottiene l’effetto opposto; li raddoppia una seconda volta e ancora e ancora, e non avendo scelta ristampa giorno e notte, alimentando il consumo di massa delle sue immagini.
(Ora le tue vertiginose prospettive appaiono sulle copertine dei manuali di matematica superiore così come nelle anticamere degli studi dentistici, ma non dolertene troppo, Maestro, in fondo anche gli andanti più struggenti di Mozart vengono intervallati da comunicazioni telefoniche e le immagini più rarefatte di Magritte sono riempite di contenuti pubblicitari).
Fra gli immortali suoi capolavori, vi sono: Mano con globo speculare (1935), da cui si può avere, dall’immagine riflessa nella sfera che l’artista regge nella mano, una precisa conoscenza dell’ambiente che lo circonda; Aria e acqua (1938), dove il disegno minuzioso procede per progressive metamorfosi, invertendo il rapporto tra il soggetto e lo sfondo; Moto perpetuo (1941), in cui i giochi di prospettive e architetture illusionistiche raggiungono risultati sorprendenti; Tre sfere (1945), che è l’esempio del senso di meraviglia che ispira all’artista il mondo dei solidi regolari e semiregolari; Un altro mondo (1947) e Relatività (1953), dove il rigore matematico concepito dall’artista sta alla base della logica implacabile quanto irreale che crea la suggestione straordinaria di figure impossibili.
Una maestria tecnica ineccepibile, la sua, impiegata a creare rappresentazioni ambigue, spazi illimitati, moltiplicazione del reale, personaggi dal volto privo di fisionomia e paesaggi sconcertanti, che talvolta comunicano un senso di inquietudine, di angoscia, di ansietà. Escher si rende conto del sottile potere che le sue opere esercitano sull’osservatore. “Nel disegnare, mi sento simile a un medium controllato dalle creature che evoca” dichiara. “È come se fossero loro stesse a decidere le forme in cui vogliono apparire”.
Nonostante l’atmosfera surreale e magica che emana dalle sue opere, in esse l’ispirazione è sempre legata – nei soggetti come nella tecnica – a schemi e impostazioni limpidamente matematici, tendenti ad evocare ciò che il poeta americano Howard Nemerov ha chiamato “il mistero, l’assurdità e il terrore di questo mondo”.
Si ringrazia Micaela Lazzari per l’editing
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