di Flavia Chiarolanza
L’evento che oggi desidero condividere è quello della riapertura a Napoli – dopo quasi due secoli – della locanda del Cerriglio: la taverna così cara al Caravaggio, da racchiuderne interi frammenti di vita. Una vita dissoluta, e dedita ai piaceri della carne che venivano ospitati senza remore tra le braccia delle prostitute.
Questo luogo sorge nelle impervie stradine di una Napoli che, fin dalle viscere dei suoi vicoli, si mostra sempre accogliente. Terra calda nel cuore, ignara di stemmi e casati perché solo l’anima le interessa. Il cinismo è estraneo all’indole del suo popolo, che giammai si mostra schivo o ritroso. Elargisce piuttosto abbracci, generosi come le finestre pronte a spalancarsi per accogliere ogni grido di aiuto. E veloci nel chiudersi alle minacce di inseguitori ed esecutori di sentenze sulla pelle altrui, perché nessuna voce si levò mai abiettamente da quelle viuzze per vile delazione.
Proprio tra le mura di questa taverna Caravaggio fu coinvolto in una rissa, trascinato in strada e ferito. Tuttora gli abitanti della zona posano il piede sui ciottoli, schizzati un tempo del suo sangue; e se decidono di avventurarsi in tarda ora, vivono l’ansia di stradine anguste che scendono quasi a precipizio, e in cui arriva appena l’eco delle voci dall’affollata Piazza Borsa. Pochi passi per cambiare dimensione, grazie all’aria di medievalità che si respira in queste inedite porzioni di metropoli.
La locanda è più che mai viva nel testimoniare le trasgressioni dell’artista, i momenti di trasandatezza così lontani dalla solennità delle sue tele.
Sulle pareti figurano le riproduzioni di alcune tra queste opere. Un tributo doveroso da parte della città che lo ha amato, proteggendolo, e che ne è stata a sua volta amata.
Il nostro ringraziamento va in primis agli artefici di tale rinascita, simbolo di quella cittadinanza che ancora crede nel valore della cultura: Angela e Giuseppe Follari, moderni eroi cittadini, perché di eroismo dobbiamo parlare quando si agisce solitariamente per il bene comune. E noi sappiamo quanto costi promuovere l’immagine di una città dalla bellezza ineguagliabile, ma che “ferisce a morte” per quanto è provocatoria, dannata e vilipesa.
La taverna riapre dunque i battenti, ed invita a gustare le sue specialità rigorosamente fedeli alla tradizione della cucina campana.
E Napoli come la ringrazia?
Smontando la locanda a piccoli pezzi e facendola trasmigrare su un palco.
Ne saprete di più, prima o poi.
Foto di Gennaro Esposito
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