La settimana scorsa, il mio amico Marcello mi ha raccontato di aver avuto una discussione con un suo collega perché, quest’ultimo affermava che dire “la dominazione dei Borboni” fosse corretto, mentre il mio amico diceva l’esatto contrario.
Questa discussione mi ha fatto pensare che spesso usiamo il plurale non solo nei cognomi, ma anche per i nomi, ad esempio: “in classe avevamo tre Ughi”.
Il dubbio è se sia un errore portare al plurale i cognomi ed i nomi.
Il plurale nei nomi
Esaminando le risposte date dagli esperti dell’Accademia della Crusca e del linguista Aldo Gabrielli, si apprende, con mia sorpresa, che possiamo tranquillamente citare al plurale i nomi. Quindi dire che nella vita abbiamo conosciuto “diciotto Marie” o “cinque Guglielmi” non è un errore.
Bisogna però prestare attenzione poiché esistono delle piccole regole da seguire prima di trasformare il nome nel suo corretto plurale.
(1) Prima regola: i nomi maschili che terminano in “-a” non hanno plurale.
Vediamo qualche esempio:
- Errore: <<I Luchi nella mia classe erano due>>.
- Errore: <<Gli Andrei che ho conosciuto erano sempre simpatici>>.
È chiaro che si parlerà sempre di “Luca” e “Andrea” sia nel singolare che nel plurale.
(2) Seconda regola: i nomi tronchi ovvero accentati come Mimì, Niccolò, Mariù, restano invariati nel plurale.
- Niccolò non era l’unico, in caserma c’erano in totale cinque Niccolò.
(3) Terza regola: i nomi che terminano con una consonante non vogliono il plurale, ad esempio: Raul, Michael, David, Boris.
Il plurale nei soprannomi
Le stesse tre regole si applicano anche ai soprannomi. “I Malavoglia” di Verga ha nel titolo il soprannome dato alla famiglia Toscano, protagonisti del romanzo. Il signor Toscano era soprannominato Malavoglia, soprannome che resta invariato anche quando viene usato per indicare l’intera famiglia: “I Malavoglia”.
Se, invece, il soprannome fosse stato “Mangione”, Giovanni Verga avrebbe correttamente intitolato il suo romanzo in “I Mangioni”.
Equivalenza nei nomi al plurale
C’è da dire, per onestà intellettuale, che mantenere i nomi al singolare non è un errore. Il linguista e filosofo Luca Serianni (Roma, 1947) dice che recentemente ha preso forza la tendenza a lasciare invariato il nome anche se usato al plurale. Diremo quindi: “I tre Giuliano”. Tuttavia l’uso del plurale nel nome è di origini più antica ed io, a questo punto, l’adotterei in modo definitivo.
Il plurale nei cognomi
Dimenticate quanto detto finora, i cognomi non ammettono mai il plurale. Il motivo è semplice e dovrebbe essere anche intuitivo: un cognome come Petruccio è differente da Petrucci, non trovate? “Massimo Petrucci” e “Massimo Petruccio” dovrebbero essere due persone diverse, giusto? Ed infatti è così.
Quindi aveva ragione il mio amico Marcello quando affermava, nella discussione con il suo collega, che dire “I Borboni” fosse un grave sbaglio.
Tuttavia c’è un’eccezione, ma state attenti! Se il cognome è usato, per così dire, in modo comune ovvero per indicare un oggetto o un’entità che va al di là dei componenti di una famiglia, possiamo utilizzare il plurale. Per comprendere meglio la faccenda, ecco un paio di esempi: se acquistiamo due magnifici libri antichi del Tasso, possiamo dire, senza errore, di aver acquistato due Tassi (sperando che chi ci ascolta non pensi agli omonimi animali). Se andiamo in pinacoteca, possiamo ben dire di aver potuto osservare tre suggestivi Picassi.
In questo caso (l’uso del cognome per indicare oggetti) le regole nella creazione del plurale segue le stesse dei nomi e dei soprannomi. Se ne aggiunge però una quarta: i cognomi che terminano in “-o” e che si riferiscono a personaggi femminili, non vanno scritti al plurale.
Diremo quindi:
- Ho acquistato due Petrarca del 1350. (Cognome maschile che termina in “-a”)
- Ho avuto in regalo tre Saffo. (Saffo, femminile, poetessa greca, 640 a.C. – 570 a.C.)
In sintesi
Possiamo scrivere (o dire) i nomi al plurale, ma non possiamo mettere al plurale i cognomi. Questo vuol dire che il titolo del libro nell’immagine è decisamente errato!
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Gentile Vincenzo,
ho letto con molto interesse il suo commento e la ringrazio per questa sua precisazione che arricchisce l’argomento.
Mi sento di conciliare con l’eccezione “Borboni” intesa come “provenienti dalla regione di Borbone”, anche se rimane la regola del cognome che in nessun caso andrebbe evasa.
Felice giornata,
Massimo Petrucci
Egregio signore,
il suo discorso non fa una piega, il cognome Borbone non va mai cambiato al plurale, ci sono attualmente famiglie con questo cognome in Sicilia, Piemonte, Lombardia, Campania, Lazio, Puglia e Sardegna.
Bisogna però tener conto che i reali di Borbone fanno un eccezione alla regola perché Borbone non è un cognome ma una regione nel nord-est dell’Alvernia, nel cuore dell’Allier e del Bourbonnais, la regione dei Duchi di Borbone, terra d’origine di otto fra gli ultimi Re di Francia. Il primo dei “Borboni” fu Luigi che ottenne il titolo di Duca “di Borbone”. I reali non avevano un cognome, venivano chiamati con il nome del posto di origine, vedi i Savoia, Savoia non è un cognome. Si può dire “i Borboni” perché si allude ai reali originari di quella regione, la regola è la stessa come per dire i milanesi, i campani, gli italiani. I Borboni sono così famosi che quando si dice “Borboni” si sa già che si sta parlando dei nobili nati a Borbone e non dei nativi di Borbone. La regione Borbone sarebbe sconosciuta se non fosse per il fatto che ha dato vita a nobili e reali.
Cordiali saluti
Vincenzo Di Criscito