Vi scrivo quest’articolo dal mio letto, ho la febbre così alta che potrei accendere tutte le candele di una chiesa, sempre che si trovino ancora candele di cera nelle chiese… quanto mi piacevano le vere candele di cera. Va be’, guardavo una trasmissione satellitare, quando d’un tratto, in sovraimpressione, leggo: lui non sa qual’è, tra i due, la persona che mente… Vi giuro che non è stato un delirio da febbre a 39,5 perché dopo qualche istante la scritta è stata riproposta. Va bene, mi sono detto, ho spento la TV e mi sono messo a scrivere quest’articolo.
Ancora oggi è abbastanza facile leggere, specialmente nelle sovraimpressioni televisive, errori (orrori?) grammaticali tra i quali la fanno da padrone il po’ accentato (pò) e, appunto, il “qual’è”. Confesso che ho difficoltà a scriverli in modo errato perché il mio Word continua a correggerli in automatico, quindi mi chiedo come sia possibile continuare imperterriti a scriverli in modo errato… forse perché l’ignoranza è dura da convincere.
Tuttavia, volendo cercare una giustificazione, mi viene da pensare che se tante persone sbagliano forse è perché non c’è una regola chiara, quindi sono andato a prendere il mio bel libro di grammatica e umilmente mi sono messo a studiare e qualcosa ho trovato.
Una delle cose più complicate che ho scoperto da quando m’interesso di scrittura, è che le regole ci sono però… nel senso che l’ortografia è una materia in continua evoluzione, la stessa lingua italiana si evolve (o involve) con il passare del tempo. Ad esempio, ho appreso che nel Quattrocento l’apostrofo non esisteva, quindi si scriveva lanima, luomo e così via. Voi lo sapevate? Io no, ne sono rimasto davvero sorpreso.
Solo cento anni dopo un cardinale di nome Pietro Bembo (Roma, 1470-1547) decise di fare un po’ d’ordine nella lingua italiana ovvero di quella nata solo nel Trecento e basata sui grandi scrittori toscani. Siamo quasi all’albore della famosa questione della lingua, una disputa serrata che aveva come tema del dibattito quale lingua utilizzare in Italia. È una storia davvero interessante che v’invito ad approfondire, infatti ha inizio nel De Vulgari Eloquentia di Dante, per arrivare fino ad Alessandro Manzoni. Mi fermo, altrimenti mi faccio prendere dalla questione e vado fuori tema.
Pietro Bembo, sull’esempio del greco, importò in Italia l’apostrofo per indicare l’elisione di una vocale alla fine di una parola che precede l’inizio di un’altra che comincia con una vocale; tecnicamente si dice foneticamente fusa. Ecco un esempio: la anima.
A partire dal 1500 siamo tutti felicemente d’accordo nello scrivere l’anima, l’auto, l’olio, e così via. Allora dov’è il problema? Perché mai qual è si scrive senza mettere l’apostrofo? La causa di tanto caos sta in un fenomeno linguistico che prende il nome di troncamento oppure, se volete un sinonimo più esotico con il quale fare colpo sugli amici, di apòcope.
Il troncamento e l’elisione possono essere facilmente confusi, ma ciò non dovrebbe accadere per almeno due motivi:
- Il troncamento non vuole mai l’apostrofo (in verità c’è qualche caso), mentre l’elisione lo pretende sempre.
- L’elisione è la caduta di una vocale finale davanti e solo davanti a un’altra parola che inizia con un’altra vocale.
E ora una scoperta che vi sorprenderà: un (articolo indeterminativo maschile) non esiste!
Fermi! Fermi! Non chiudete “LetterMagazine”, ora vi spiego cosa intendo. Chiaramente esiste, ma non è una forma linguistica originale, è una derivazione, infatti è la troncatura di uno. Parole come uno, ciascuno, qualcuno, alcuno, si troncano quando precedono parole di genere maschile, infatti scriviamo un uomo, qualcun altro, e così via. Vi sta venendo in mente qualcosa? Andiamo avanti e cerchiamo di svelare l’arcano.
Come “uno” esistono anche altre parole che vengono troncate, ad esempio quello, bello, buono, castello (e altre in –ello), ma anche grande, santo, signore, mare, frate o amore.
Ma che bel castello marcondiro ndiro ndello… Ricordate la canzoncina? A Napoli, se girate tra i castelli, vi consiglio di visitare il bellissimo Castel dell’Ovo. La regola è semplice: le parole che finiscono per –ello se seguite da parole maschili che iniziano per consonante, si troncano.
Vediamo qualche esempio:
- Scriveremo amor paterno e mai amor’paterno.
- Buon giorno, a chi verrebbe in mente di scrivere un orrendo buon’giorno?
- Marco Polo si recò dal Gran Can.
- Questa non è certo una gran cosa.
- Fra Dolcino finì… cremato. (Scusate, mi è venuta così!)
A questa famiglia di parole troncate, oramai l’avrete intuito, fanno parte anche le parole quale e tale, che per i motivi fino ad ora spiegati, vanno troncate e mai elise ovvero mai e poi mai vanno apostrofate. Ecco perché scrivere “Qual’è il nome di battesimo di Bonaparte?” è sbagliato, qual è, come tal è, non vuole mai l’apostrofo. V’invito a continuare a leggere, perché c’è dell’altro.
L’apocope (troncatura) è chiara quando si ha a che fare con parole che iniziano per consonante, a nessuno verrebbe in mente di mettere l’apostrofo in mar Tirreno oppure in gran cosa, la confusione e i dubbi ci attanagliano quando la parola che segue inizia con una vocale. Tuttavia è solo abitudine, a qualcuno di voi verrebbe in mente di scrivere signor’Arturo? Certo che no, allora perché dovreste scrivere qual’è? Per gli stessi motivi scriveremo suor Angela e mai suor’Angela, e sempre per le stesse motivazioni ortografiche scriveremo in modo corretto: tal è, tal altro, qual altro.
Se siete di quelli che amano le regole, annotatevi questa: se una parola privata della vocale finale può stare tranquillamente anche davanti a un’altra parola che inizia per consonante, allora avete scovato una parola troncata che non vuole l’apostrofo, diversamente allora siete di fronte a una parola elisa, la quale, si sa, pretende sempre l’apostrofo.
Ecco un esempio: fin è una parola troncata o elisa? Dobbiamo scrivere fin’allora oppure fin allora? Applicando la regola, ci sforzeremo di trovare un caso in cui fin precede una parola che inizia per consonante. Trovato? Io sì, ed è questo: fin dal principio… ma anche fin quando faceva caldo… Ci avreste messo l’apostrofo? Certo che no! Quindi fin fa parte delle parole troncate e non vuole l’apostrofo, ecco perché scriveremo fin allora.
Con questo spero che sia finalmente chiaro a tutti che qual è non vuole l’apostrofo, in nessun caso, mai.
Ah, per la foto che trovate all’inizio di quest’articolo, beh… lì non ci sono regole o dubbi, anzi, non c’è proprio alcun dubbio…
Approfondimento: sull’uso delle parole tronche, vi consiglio questo bell’articolo direttamente su Wikipedia, http://it.wikipedia.org/wiki/Apocope
- Giorgia chi? (primi tre giorni) - 12 Maggio 2014
- “Senza nome”, una bella lettura: consigliato! - 2 Aprile 2013
- Canapa di Raffaele Abbate - 18 Novembre 2012
meraviglioso: Sia l’articolo che le orate.
Gentile maestra Carla,
ti ringrazio per il tuo commento.
Spero che con qualche “condivisione” in più di questo articolo, qualcuno ne possa trarre un beneficio. Il mio unico timore, però, è che spesso il “ciccio” è anche presuntuoso.
Correggo: sarebbe una bella lezione da fare a certe insegnanti di Italiano.
Sarebbe una bella lezione a certa insegnanti di Italiano.
Complimenti per la chiarezza nonostante la febbre!
Se i Padani confondono le orate con le galline cosa ti vuoi aspettare?