Amici carissimi, sono distrutto. Il vostro Merlino, il Gatto Samurai senza Macchia e senza Paura, torna vincitore da un’impresa che avrebbe schiantato le ossa a Ercole. Tutto è cominciato col nevone, i miei Umani si sono sentiti tornare cuccioli e hanno deciso di festeggiare il compleanno di Lui in un paese lontano, come ai tempi dei viaggi che facevano da giovani, con pochi soldi e tanto spirito di adattamento. Ecco, il problema l’ho già detto: da giovani. Nell’epoca preistorica di quei memorabili viaggi, i nostri Umani erano in condizioni psicofisiche se non ottime, almeno sufficienti, e non erano certo ridotti come adesso. L’unica cosa che si è mantenuta uguale è la penuria di soldi, ma la miopia è peggiorata, i reumatismi e l’artrite imperversano e la rigidità delle ossa e dei tendini si accompagna tristemente con lo spappolamento del cervello, devastato da quel tedesco che fa perdere la testa a tutti gli umani di una certa età. Come si chiama? Ah ecco, Alzheimer. I due Dementi senili hanno deciso anche la meta del viaggio, Hong Kong, perché avevano appena letto un libro ambientato da quelle parti ai tempi della Guerra dell’Oppio. La storia è piaciuta loro a tal punto da prenotare un volo per un luogo letterario di un secolo e mezzo fa. Da quando hanno imparato a comprare i biglietti aerei in internet si sono convinti di poter fare anche i viaggi nel tempo.
Appena ricevuta la ferale notizia, ho informato gli amici della Gatteria e insieme siamo andati a chiedere aiuto al Circolo culturale dell’Edicola, per vedere se si riusciva a convincere i due pericolosi vegliardi a cambiare idea. Le farmaciste li hanno riempiti di depliant con soggiorni sul Mar Rosso tutto compreso e settimane di bellezza alle terme, soldi buttati al vento ma almeno nessuno si fa male, e invece niente, avevano deciso. Il Consiglio degli Anziani, appositamente riunito per diverse notti, non sapeva fare altro che mugolare profezie di disgrazia, e a questo punto ho preso una decisione. Sarei andato con loro. Quando il proprio Umano è in difficoltà, il Gatto Samurai ha il preciso dovere di proteggerlo e difenderlo dai pericoli, e come sempre avrei svolto il mio compito alla perfezione. Gli amici della Gatteria cercavano di spiegarmi che a noi felini non è consentito viaggiare in aereo e neppure prendere una stanza in albergo, e mi hanno fatto una testa tanta che mi sono sentito costretto a rivelare loro un mio piccolo segreto, in fondo siamo amici da tanti anni… Io non sono soltanto un Ninja, ma ho ereditato da un mio antenato una qualità rara. Posso scomparire. Il mio bis-bis-bis-gatto proveniva dal Cheshire ed era il famoso Stregatto di Alice, quello che sorrideva a trentadue denti e poi scompariva lasciando solo il sogghigno. Da una generazione all’altra abbiamo perfezionato l’arte e adesso io posso scomparire anche senza sogghignare. Che scherzi faccio alla parrucchiera, qualche volta di sera tardi! Mentre riordina il negozio scompaio davanti a lei lasciando visibile solo il mio luminoso sorriso che brilla nel buio… Uno spettacolo, sviene sempre.
Con il Consiglio degli Anziani si è stabilito il piano. Io non avrei avuto problema a seguire i miei Umani fino a Bologna, ci andavano in macchina e non era certo la prima volta che mi intrufolavo nel portabagagli e mi facevo portare al mare, ma occorreva studiare come prendere l’aereo. Nella stiva fa freddo e non avevo alcuna intenzione di viaggiare coi bagagli, anche se li avrei usati come “cavallo di Troia” per salire a bordo. Una volta imbarcato avrei trovato la strada per le cuccette umane, sono o non sono un Maghetto? Ero anche fortunato: Lei, la mia Umana, stanca di partire con venti chili di libri, si era appena comprata il Kindle e l’aveva farcito di ebook, convinta di viaggiare finalmente con poco peso. Essendo una donna previdente, aveva preparato lo zaino una settimana prima e per me c’è stato tutto il tempo di organizzare un comodo scomparto con i viveri per il viaggio. Dovevate vedere la sua faccia quando ha sollevato lo zaino e si è accorta che pesava come una biblioteca. Per fortuna l’ha presa sull’autolesionismo, dando la colpa alla muscolatura delle braccia che è andata definitivamente in vacca, e non ha sospettato di avere un clandestino a bordo. Una volta che lo zaino in cui ero nascosto è stato caricato nella stiva, sono uscito e ho fatto un giretto esplorativo. La prima cosa che ho trovato seguendo il mio naso è stato il cibo; non vado pazzo per i pasti da aereo ma quello era un volo Emirates, si mangia discretamente, così mi sono fatto fuori un paio di porzioni di salmone coi crackers, ci ho bevuto su due birre e sono andato a dormire sotto ai maestosi sedili della prima classe.
Per fortuna avevo dotato i miei Umani di rilevatore GPS e segnalatore acustico di allontanamento: dormivo così di gusto da rischiare di non accorgermi che il volo cambiava a Dubai. Mi è toccato scomparire e mettermi alle calcagna dei vegliardi che avevano qualche ora di attesa prima della coincidenza per Honk Kong. Ripromettendomi di stare più attento, non li ho persi di vista, e non ho fatto molta fatica perché i due dementi senili, sfiniti, si sono sdraiati sulle prime poltrone libere e si sono addormentati come orsi. Se non ero io a svegliarli, finivano buttati fuori dagli spazzini. Nel volo successivo ho rinunciato alle comodità della prima classe per rattrappirmi sotto a un sedile della economy, per non mollarli un attimo, così ho assistito allo spettacolo esilarante dei due handicappati che non riuscivano a far funzionare il telecomando per guardare i film. Ero talmente esasperato dalla loro inettitudine che sarei saltato su a spiegargli come si fa, ma dovevo ricordarmi che ero un clandestino.
Quando siamo arrivati a Hong Kong gli Umani non erano più in grado di intendere e di volere, la stanchezza del viaggio aveva tolto loro anche quello scarso barlume di banale buonsenso che in genere li accompagna. Hanno sbagliato tutte le file della dogana, cercato i bagagli dove non erano, circumnavigato l’intero aeroporto per capire dove si prendeva la metropolitana e come si comprava l’abbonamento ai mezzi pubblici, ed erano pure in iperventilazione perché non riuscivano a chiamare casa per sapere come stavano i nonni e i gatti di famiglia. Cristo, pensavo, se questa benedetta donna non ha mai più di cinque euro di credito nel cellulare, come potrà pensare di telefonare da Hong Kong? Ma “pensare”, nel caso della mia Umana, è una parola troppo grossa. Dopo lunghe pene, un giro in metropolitana e uno in taxi, siamo finalmente arrivati all’albergo prenotato da casa su internet, e qui chiedo venia, ero stanco. Un Samurai non dovrebbe perdere colpi in questo modo, ma il pesce del rancio era molto buono anche sul secondo volo e mi ero un po’ appesantito. Credevo di poter stare tranquillo perché avevo messo i miei Umani sotto controllo GPS, ma quando sono ritornati in camera ho capito che non potevo lasciarli soli nemmeno un attimo. Avevano comprato una quantità industriale di schede, tante da poterci aprire un posto telefonico pubblico, e non erano riusciti a chiamare casa con nessuna. Era arrivato il momento di manifestare la mia presenza. Quando sono saltato sul letto e ho lanciato il mio trionfale miagolio da “Eccomi qua” li ho visti molto sorpresi ma anche felici. Sanno bene che un Gatto Magico è il miglior talismano contro ogni disgrazia!
Con pazienza, li ho convinti che la cosa migliore era mangiarci su e riposare. Siamo usciti alla ricerca di un ristorante e il mio infallibile istinto mi ha guidato verso un profumo delizioso di pesce fresco. Proveniva dal secondo piano di un palazzo anonimo, ma i miei Umani si fidano e mi hanno seguito, e hanno fatto bene perché ci siamo ritrovati in un ottimo ristorante locale, gremito del folto pubblico della domenica sera. Vorrei tentare di spiegarvi il concetto di “gremito” per i cinesi ma non ci riesco, vi chiedo solo di provare a pensare al principio dell’impenetrabilità, secondo il quale due corpi non possono occupare lo stesso spazio. Sbagliato. In Cina possono. Due corpi, tre, quattro… loro gliene mettono di più. La dimensione astrale del ristorante cinese affollato è stata a tal punto perturbata dall’ingresso di due occidentali anzianotti con un gatto sulla testa che si è fatto silenzio, e anche questo per i cinesi è un miracolo, per quanti sono parlano sempre tutti insieme. I miei Umani non capiscono il cinese ma io sì, naturalmente, e non mi è preso bene sentire i camerieri chiedere a gran voce chi aveva ordinato il gatto e i cuochi domandare come doveva essere cucinato, così ho ritenuto opportuno scomparire finché non si fosse chiarito l’equivoco. Molto stupefatto, il proprietario o presunto tale ha trovato subito un tavolo libero per i miei e ha portato loro un magnifico menu tutto scritto in cinese. Per fortuna c’erano le fotografie. A gesti, è arrivata una serie di piatti magnifici, da mangiare con le bacchettine, e vi posso assicurare che il video dei due romagnoli a Hong Kong che tentano di mangiare con le bacchettine è già su Youtube. Sono stato contento che non si siano cavati gli occhi, ma non avevo alcuna intenzione di tornare allo stato di visibilità con una comitiva di cuochi che mi aspettava arrotando i coltelli. Solo alla fine del lauto pasto, quando i miei Umani sono usciti barcollando dal ristorante, farciti di gamberi, ramen, tagliolini di riso e birra cinese, ho osato ricomparire e li ho ricondotti in albergo. Lasciati a loro stessi sarebbero ancora là a fare il giro dell’isolato.
Al mattino, dopo una sana dormita in una tipica stanza di hotel locale, in cui le pareti sono costruite direttamente intorno al letto e il lavandino e il water sono dentro al piatto doccia, abbiamo concordato il piano d’azione. I cinesi tendono a farsi gli affari propri, però non mi sembrava sicuro circolare in piena visibilità, data la loro insana tendenza a mettere in padella e friggere qualunque cosa, e ho deciso di viaggiare nello zaino del mio Umano, però avrei guidato io la spedizione. Come prima giornata ho pensato di farli rilassare un po’ e li ho portati a passeggio per Nathan Road, che è praticamente come dire la Broadway a Manhattan ma più lunga, e molto, ma molto più piena di negozi. Il termine “negozio” è riduttivo a Hong Kong, loro hanno interi palazzi di infiniti piani stipati di ogni genere di esercizio commerciale, dalla boutique all’albergo a ore, però con ordine. Ci sono strade dove si vendono solo orologi, in un’altra si fanno solo massaggi, in altre ancora ci si dedica alla lap dance oppure si vende elettronica di tutti i tipi, e qui i due pericolosi mentecatti hanno perso la testa dietro a una lista di diavolerie digitali che mi rifiuto di capire. Il secondo giorno ho deciso che era arrivato il momento di un po’ di cultura e li ho portati sull’isola di Lantau, in visita al gigantesco Buddha sulla collina. Nella pace del tempio, lontano dalle friggitorie, ho osato sgranchirmi le gambe e procedere lungo la maestosa scalinata fino alla venerabile statua, nell’indifferenza generale. La cima era avvolta nella nebbia e il paesaggio mi è sembrato affascinante. Ho cambiato leggermente idea nei giorni successivi, in cui la temperatura si è mantenuta costante sui quindici gradi e la nebbia è stata sostituita da una pioggerellina fredda e insistente; va bene che Hong Kong è stata per decenni una colonia inglese, ma esportare il clima di Londra al Tropico mi è sembrato un po’ eccessivo.
Anche gli abitanti del posto mi sono apparsi un po’ disorientati, per esempio nell’abbigliamento si vedeva di tutto, chi con le infradito e chi coi doposci, gente in maglietta e altri in pelliccia. In generale mi sono sembrati confusi su cosa mettersi. Caliamo un velo pietoso sull’abbinamento dei colori, ho tristemente notato che amano molto mescolare il giallo con il rosa, il viola con il rosso e via discorrendo, ma quello che mi ha colpito al cuore è stata la calzatura. La cinese media non è molto alta e vuole porre rimedio a questa lacuna, così ho visto stivaletti simili a strumenti di tortura, con tacco dietro e zeppa davanti, e magari ornati da un macabro bordo di pelliccia di gatto. Vanno molto di moda anche il maculato e il leopardato, insieme con la minigonna sul pantacollant, e purtroppo non solo per le ragazze, ma anche per le carampane fin troppo mature e in carne, e vi assicuro che non è un bello spettacolo. Ho notato anche un amore sviscerato per i peluches, con cui ricoprono i cruscotti delle macchine e pure il volante, e ci vestono anche i bambini, esibiti con tutine da gattino o coniglietto con tanto di orecchie e coda, ma i bimbi cinesi sono così deliziosi, tutti piccini, paffuti e con gli occhietti a mandorla, che sarebbero da mangiare. Ecco, se ne mangiassero qualcuno non sarebbe un gran danno, visto quanti sono, ma devo smentire il detto che i comunisti mangiano i bambini, o forse a Hong Kong non sono comunisti, perché non si vedono altro che bambini, donne incinte e ragazze giovanissime. Se continuano con questo ritmo dovranno cominciare a costruire qualche isola in più. Capacissimi di farlo… Quelli sono avanti, gli fioriscono le metropolitane come da noi l’erbaccia e in un batter d’occhio tirano su un grattacielo con quelle simpatiche impalcature di bambù che sembrano i bastoncini dello shangai, ma tanto, se gli casca un operaio, secondo me non se ne accorgono.
Insomma, alla fine ce l’ho fatta, ho guidato i miei Umani per i luoghi più interessanti di Hong Kong, il Tempio dei Diecimila Buddha di Sha Tin, il Victoria Peak dal quale si doveva ammirare lo spettacolo della città e delle isole ma come tutto il resto era avvolto nella nebbia, i Giardini Botanici, Stanley Beach, gli antiquari di Hollywood Road, l’Ocean Park con i panda e le giostre dove centinaia di cinesi fanno la fila per appendersi a testa in giù e urlare come matti, le case galleggianti di Aberdeen, i bellissimi templi di Wong Tai Sin e Chi Lin… Siamo andati perfino a Macao, col traghetto, e il mio Umano ha sobbalzato leggendo sulla guida questa frase: “A Macao circola la pataca”. Sul momento abbiamo pensato di mandare una mail a Berlusconi, poi si è capito che la pataca è solo la moneta locale, divisa in decimali che si chiamano avos. E poi non ditemi che non hanno il senso dell’umorismo… Nel tempio di Wong Tai Sin ho reso onore a una statua di gatto a grandezza umana, non ho capito cosa significhi ma mi è piaciuta. Ho lasciato sfogare i due shop-dipendenti in centri commerciali che mai avrebbero immaginato e gli ho permesso di scatenarsi nell’acquisto dei giocattoli elettronici che amano tanto. Contenti loro…
L’ultima sera ho concesso alla mia Umana l’onore di scegliere il tipo di ristorante tra i tanti a disposizione, dal cinese tradizionale allo pseudo italiano che spaccia spaghetti con l’ananas, e a dimostrazione che quella donna aveva capito tutto, ci è toccato mangiare sushi. Non ho avuto cuore di spiegarle che Hong Kong non è in Giappone, ma fa lo stesso, sono riuscito a ricondurli a casa sani e salvi e di questo l’intera Piazza delle Erbe mi ha reso merito. Quando finalmente li ho accompagnati fino alla soglia di casa, gli amici della Gatteria mi aspettavano con un lauto banchetto e abbiamo trascorso la notte a cercare i video su Youtube. A quanto pare, i cinesi si sono molto divertiti in questo viaggio.
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dovevate essere uno spettacolo… già l’idea di andare fino a Hong Kong…
Ci piace farci compatire in trasferta!