di Flavia Chiarolanza
Le invenzioni sono di due tipi: quelle di passaggio, che migliorano le nostre vite in attesa di nuovi progressi; e quelle destinate a sopravvivere nonostante i capricci della modernità.
La radio è una di queste.
Quando la parola si riduce all’osso, fino al rischio di estinzione, ci pensa la voce a rianimarla. Basta la giusta intonazione, il vibrare delle corde… basta la più lieve inflessione che obbedisca al mutare degli stati d’animo, per assistere alla rinascita del linguaggio contro il logorio delle frasi monche.
Tutto questo si deve alla radio.
Immaginate una voce che vi accompagni senza la pretesa di ricevere ascolto, né distratte frasi di convenienza.
Immaginate la forza necessaria per sedurre ciecamente. Chi ascolta deve solo proseguire nel compimento dei gesti quotidiani; e di sicuro avrebbe l’impulso di interromperli, se la voce radiofonica subisse dei cali e smorzasse di colpo la propria vitalità. Avvertirebbe la pesantezza delle azioni, e nessuno dei suoni o delle immagini circostanti basterebbe ad alleviarla.
Parole, voci e musica attraversano il Paese, superando ogni barriera geografica e culturale.
6 ottobre 1924. La tua data di nascita.
Erano gli anni dell’insano patriottismo, del pensiero tenuto in gabbia e del popolo unito a forza dalla menzogna della sua superiorità. Erano gli anni sbagliati, in cui per fortuna nascevi tu… il più geniale strumento di condivisione ed evasione.
Allora si era privi di sguardi sul mondo, il superfluo veniva bandito dalle case e nessuno cercava notizie al di fuori di quelle gentilmente recapitate a domicilio. Giornali, stampa ed editoria non erano di uso comune, ma la tua voce familiare che raccontava il mondo giungeva sempre gradita. Scandivi i minuti troppo lenti per chi trascorreva il tempo in casa, lontano dalla mondanità. Ti facevi tramite di emozioni e a nulla importava che fossero fittizie, indotte, abilmente costruite da artigiani della nostra lingua un tempo così amata e oggi così vilipesa. Da tutti, tranne che da te. Perché chi vive di sole parole ha l’obbligo di custodirle, di porgerle immacolate ad ogni ascoltatore. Morbide, dolcemente avvolte nell’involucro del nostro antichissimo idioma.
La nascente canzone italiana d’autore esigeva purezza. Non c’era più spazio per il folclore dei dialetti, per un lessico disordinato. Note eleganti, frasario nobile, in ossequio al pudore dei tempi che negavano ogni audacia ai giovani amanti. Se all’uomo spettava l’obbligo di sedurre e alle donne quello di ritrarsi, solo la musica ne permetteva il casto incontro.
Ogni brano era una dichiarazione d’amore. Ogni cantautore un abile Cupido, le cui frecce giungevano a segno attraverso le onde dell’etere.
Fu l’epoca dei primi successi in musica, dei loro immortali poeti e cantori. Della Radio galeotta. Ammaliatrice come il peccato, eppure innocente.
Tu, strumento di condivisione. Ma anche di propaganda, nell’epoca dei duci che invocavano l’arte oratoria per rendersi amabili alle masse. Tu, strumento di sovversione per chi denudava l’ipocrita favella e nella sua crudezza la offriva in pasto agli ascoltatori più disillusi. Tu veicolo di speranza, allorquando scandivi il conto alla rovescia degli eventi più attesi; e poi di gioia, nell’annunciare la fine della guerra. La nascita della Repubblica. Il tutto attraverso l’amalgama più nobile: quello tra silenziose anime in ascolto.
Tu, veicolo di ribellione e di resistenza in tutte le epoche del mondo: non ve n’è una sola che non abbia i suoi moti, i suoi sussulti e rigurgiti.
E oggi? Dove sei finita, amica mia? Può forse negarsi l’istinto di spingere la manopola di accensione, appena saliti in auto? Di lasciarsi scortare non solo da brani musicali, ma da veri e propri siparietti che riproducono nello spazio di un piccolo abitacolo la magia del palcoscenico, del teatro lirico? Perfino le interruzioni pubblicitarie sono gradevoli.
Non c’è rete né altra diavoleria meccanica che possa sostituirsi a questa magia. Non esiste invenzione più longeva. Non c’è slancio più sincero di quello che spingeva le casalinghe ad abbracciarti per cogliere fino all’ultimo dei tuoi sussurri.
Basta chiudere gli occhi. Riuscite ad immaginare un gesto più semplice di questo?
E riuscite ad immaginare una fonte più ricca di melodie e voci?
Era il 6 ottobre del 1924. Questo il tuo inizio. Non esiste un termine.
Possiamo figurarci un mondo completamente virtuale. Ma nessun risveglio avverrà mai senza l’eco delle voci canterine o narranti, che da te sgorgano. Né è possibile spegnerti, perché ci sarà sempre la finestra aperta di una casa vicina o di un’auto in corsa. E dentro, una radio accesa…
Monologo di Flavia Chiarolanza contenuto nello spettacolo teatrale dal titolo “Quel motivetto che mi piace tanto…” diretto da Maurizio Merolla, portato in scena il 18/12/2012 al Teatro Orazio di Napoli e tuttora in programma sul territorio campano.
Editing by Gamy Moore
- Le apparizioni di Gesù risorto - 20 Febbraio 2017
- Un vizio capitale: l’invidia - 6 Febbraio 2017
- La melodia dell’amore - 30 Gennaio 2017