di Cristian Longo
È inutile nasconderselo. Quando sentiamo parlare di writers e di fenomeni come il “graffitismo” sorgono spontaneamente due opinioni contrapposte che rispecchiano due entità ideologiche che faticano a trovare punti di contatto. Una forte polarizzazione questa, a cui nessun critico d’arte, novello o vetusto che sia, riesce a sfuggire. Da una parte c’è un mondo, quello dell’arte così come l’abbiamo sempre conosciuto e apprezzato, che forse non è così propenso a un cambiamento radicale come quello proposto da queste nuove forme d’arte. A quel mondo si contrappone un universo parallelo, che non accetta i canoni e i dettami tradizionali e si adopera affinché essi vengano completamente e definitivamente superati. Così sono nate le opere di questo manipolo di “trasgressori”, che hanno avuto l’ardire di cambiare e di spostare l’attenzione dello spettatore trasferendola dal classico museo a un semplice muro, a una saracinesca o a un mezzo pubblico. Avendo scelto come scenografia privilegiata luoghi e mezzi che fanno parte del tessuto urbano essi però rischiano spesso di valicare il confine che vi è tra il graffitismo, inteso come arte alternativa comunicata attraverso il mondo che ci circonda, e il vandalismo, inteso come deturpamento di spazi pubblici. Una sottile linea rossa divide dunque le due idee che si hanno di quest’arte, una linea così evanescente che non è disegnata né ben definita se non, purtroppo, nella mente di ognuno di noi. Questo è il vero limite che si contrappone all’avanzare di questi nuovi fenomeni artistici. Il loro non essere compresi fino in fondo e il loro manifestarsi in contesti spesso non consoni è la loro spada di Damocle. Il graffitismo ha risentito e risente tutt’oggi di questi pregiudizi e di queste costrizioni. Pur essendo nato come forma artistica e culturale di ribellione al sistema esso ha finito con l’essere classificato come puro e semplice atto vandalico (perseguibile per legge), per colpa di qualche “graffitista” che in passato ha utilizzato, come spazio d’espressione, edifici d’interesse pubblico e storico. Quale può essere allora una soluzione percorribile per uscire da quest’impasse che ormai si perpetua fin da quando il movimento è nato? Un primo passo può essere quello di legittimare il lavoro di questi artisti, dare loro degli spazi pubblici nelle grandi metropoli da poter abbellire e decorare in una forma originale e allo stesso tempo insolita. Molte grandi città in Italia si stanno aprendo in tal senso, dando rilievo a queste “inconsuete” espressioni artistiche. È di poche settimane fa la notizia del lavoro di riqualificazione effettuato a Roma nella stazione della metro A di Piazza di Spagna. Lungo i muri che portano ai treni sono stati realizzati numerosi murales che hanno trasformato la stazione in una specie di galleria d’arte moderna. Questo è potuto avvenire grazie all’accordo tra l’Atac, l’azienda del trasporto pubblico romano, e l’associazione 999Contemporary che ha curato i lavori e ha concesso la possibilità ad artisti della street-art di fama internazionale di realizzare un prodotto unico nel suo genere. Quello di Roma è un esempio prezioso perché ci fa comprendere quanto un fenomeno come il graffitismo, se incanalato nei binari giusti, possa rendere gradevoli e godibili determinati luoghi delle nostre città che altrimenti stagnerebbero in una situazione di degrado e di incuria perenne. La soluzione al problema è quindi alla portata di tutti. Basta, per non ricadere negli errori di valutazione commessi nel passato, essere consapevoli che l’arte, nel rispetto dello spazio urbano in cui si inserisce, può manifestarsi ovunque e che quella sottile linea rossa deve lasciare il posto a una nuova idea di graffitismo, oggi più che mai esempio di un panorama artistico in continua evoluzione nel quale l’inquietudine e il malcontento degli artisti trovano la loro più corretta e spontanea espressione.
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