di Flavia Chiarolanza
(Intervista a Margarita Trayanova, Steve La Chance e Andrè De La Roche)
La prima domanda riguarda tutti:
Quanto è difficile, e al tempo stesso appagante, coltivare e far crescere il talento dei ragazzi?
MARGARITA – Posso affermare, dopo anni di esperienza, che i veri talenti sono davvero rarissimi. Ed anche quando ci troviamo di fronte ad una autentica passione, esiste un solo modo per avere dei buoni risultati: il lavoro, da unire alla dedizione e – ovviamente – ad un amore sconfinato per la Danza.
STEVE – La mia famiglia si dedica all’insegnamento da ben sei generazioni, ed io ne ho raccolto appassionatamente l’eredità. Quando si sceglie una strada così difficile, bisogna percorrerla con la massima determinazione. Il piacere che se ne ricava è immenso, anche se frutto di enormi sacrifici da ambo le parti. Nessuno può risparmiarsi.
ANDRÈ – La Danza è una disciplina popolare, e questo la rende amabile, appetibile agli occhi dei giovani. Io cerco soprattutto di insegnare che la vera fonte da cui essa sgorga è il teatro: si nasce e si migliora solo sulle tavole di un palcoscenico. La televisione non deve essere vista come un punto di partenza, ma piuttosto come luogo di eventuale approdo dopo anni di gavetta in teatro, un luogo in cui si può acquisire visibilità. Spesso invece i giovani vorrebbero fare il cammino inverso, illudendosi di scegliere la strada più semplice. E invece quanti finiscono dimenticati, dopo brevi apparizioni in TV e senza avere alle spalle il necessario periodo di addestramento sulle scene?
Tu, Andrè, hai militato a lungo in televisione dopo anni di gavetta: penso a programmi come Amici, ma anche alle fortunate stagioni del Bagaglino. Questo ti permette di tirare le giuste somme e farne tesoro per l’insegnamento che rivolgi ai ragazzi.
Infatti devo alla TV molta della mia popolarità. Ma la vera vocazione resta il Teatro.
Mi rivolgo a Margarita, perché ciò che rimane impressa fin dal primo incontro è la pacatezza dei suoi modi. Ci sarà un segreto, immagino…
La danza, con la sua disciplina ferrea, deve riuscire a far breccia nei mille pensieri che affollano la mente di un giovane: sembra arduo, specie in epoca di frivolezze e distrazioni virtuali. Qual è il tuo metodo?
Cerco di far capire ai giovani che il sudore versato durante le ore di studio in sala prove non sarà certo meno di quello che verseranno nelle altre situazioni della vita. La disciplina della danza può certamente aiutarli a temprare il carattere.
Anche questa domanda è comune, dato che sto interloquendo con Maestri di caratura internazionale:
Sul piano dell’apprendimento, su quello emotivo, e nella dinamica delle relazioni umane – anche rispetto alle famiglie – quali sono le differenze tra la scuola italiana e quella straniera? E posto che tali differenze siano rilevanti, dove riuscite ad esprimere pienamente le vostre potenzialità di coreografi e di docenti?
STEVE – Conta l’intreccio di tutte queste relazioni. La prima disciplina è quella che i ragazzi apprendono in famiglia. Noi impartiamo “l’educazione di sala”, ma è molto più difficile – a volte impossibile – se i ragazzi non sono già educati all’interno del contesto da cui provengono.
In America la mentalità è differente, perché si ritiene che alla base di una formazione completa debba esserci l’apprendimento di tutte le arti sceniche, ognuna delle quali fa da supporto all’altra. In Italia non c’è ancora questa mentalità, siete più settoriali. Ma credo sia questione di tempo.
Infatti il Teatro degli Eventi prende in consegna questi ragazzi, per educarli anche al fascino della prosa e del canto.
STEVE – Esatto. Ad ogni modo io cerco di carpire la mentalità di chi mi sta di fronte, e agisco di conseguenza. Dunque riesco ad esprimermi sempre pienamente, in Italia come all’estero.
MARGARITA – Io provengo dalla Scuola Russa, dove la disciplina è rigidissima, direi estrema: non si accetta nessun tipo di interferenza, tanto meno da parte delle famiglie. Decide tutto l’insegnante, nel quale bisogna dunque riporre una fiducia totale. La selezione è spietata, anche perché normalmente si attinge ad un enorme bacino. La concorrenza è molto forte, e i ragazzi sono disposti a sacrificarsi rinunciando a tutto.
Comunque come docente e coreografa sono riuscita a lavorare molto bene qui in Italia. In questi anni ho visto crescere tante generazioni di ballerini.
ANDRÈ – Sai cosa penso? La fame crea bravura. La fame in tutti sensi. Quella dovuta alla miseria, e quella dovuta all’ansia di conoscenza, alla voglia di apprendere per riscattarsi. I migliori ballerini che ho conosciuto provengono dai Paesi più difficili: Cina, Africa, Cuba, Albania – terra di nascita della cara amica e collega Anbeta Toromani – terre che nutrono talenti prendendoli dalla strada. Possono ricchezza e benessere generare tutto questo?
In Italia mi trovo benissimo. Voi avete un patrimonio culturale immenso. Dovete solo riscoprire la voglia di guardare avanti. A Napoli, per esempio, esiste il dono di creare lavoro laddove non c’è. E di creare l’arte, continuamente. La fantasia in voi è innata. Siete una dimensione diversa, in cui amo viaggiare; un mondo a parte, cui sono fiero di appartenere.
Andrè, cosa ti aspetti normalmente dal pubblico? In termini di gratificazione, sia nel dare sia nel ricevere, c’è un tipo di platea che prediligi?
Mi aspetto apertura mentale e anche una sorta di “tifo” da parte del pubblico, che non viene ad assistere ad uno spettacolo qualunque ma vuole vedere i propri figli in azione, raccogliere il frutto dei loro sacrifici. Sono i ragazzi a motivarlo fortemente. Devo dire che preferisco le platee dei saggi di danza, proprio perché c’è una maggiore partecipazione, purché non sfoci nel tifo da stadio! Ci vuole rispetto, sia per il lavoro dei coreografi sia per quello di tutti i ragazzi coinvolti.
Steve, durante gli esami di fine anno alla scuola Fiori di Maggio mi ha colpito la tua autorevolezza: come riesci a dosarla, al cospetto di allievi così giovani?
I ragazzi mi conoscono ormai da anni, e vedono in me un secondo padre: indubbiamente autorevole, come è lecito attendersi da un genitore, ma al tempo stesso giusto e in grado di impartire quell’educazione alla disciplina che si rivelerà poi fondamentale nel prosieguo degli studi. Esigo educazione, e così torniamo al discorso delle regole primarie imposte dalle famiglie d’origine.
Margarita, la danza può essere così pervasiva da ridisegnare la mappa di una personalità? Può avere cioè una sorta di forza salvifica?
Certo. Come dicevo prima, la danza serve a temprare il carattere. Le frustrazioni sono naturalmente inevitabili ma sappiamo che, nell’arte e nella vita, si cresce anche attraverso la sofferenza.
Ora ti chiedo: in presenza di una palese inettitudine, esiste un modo per aiutare nella crescita un allievo fortemente motivato? Se il talento senza cuore non basta, è vero anche il contrario?
Chi non ha talento né capacità deve cercare di vivere positivamente la propria passione, senza grosse aspettative. Chi invece è talentuoso ma carente nella motivazione, deve essere aiutato a capire le sue reali potenzialità. L’insegnante in questo caso ha un compito difficilissimo: quello di motivarlo, spronarlo. Ma senza amore, è davvero arduo proseguire nel cammino.
Steve, ti piace più il moderno o il contemporaneo?
Attenta, rischiamo di aprire uno scenario di discussioni infinite. Bisogna prima intendersi sul significato di Danza Contemporanea, vedo che c’è in giro un po’ di confusione. Si tratta di uno stile specifico – molto dinamico – che attiene anche al Teatro Danza, poiché dedica un’attenzione particolare alla drammatizzazione. Potremmo anche definirlo “viaggiante”, dato che ogni Paese ha le sue tradizioni, il suo modo di interpretarlo. L’Italia forse dovrebbe approfondirne la conoscenza. Ma non si può esaurire questo argomento nello spazio di una breve intervista.
Qualcuno ti ha mai invitato a ballare, durante una festa o una serata in discoteca? In questo caso, esci dal ruolo e ti scateni?
Ti rispondo laconicamente: è un tipo di ambiente che non gradisco. Forse perché in passato ho gestito una discoteca, e quando lavoro non ricevo né accetto inviti.
Comunque, vi sono luoghi più stimolanti in cui scatenarsi e testare il proprio stato di forma.
Tra Maestri di generi diversi, ognuno dei quali può raggiungere vette di assoluta bellezza se l’insegnamento viene posto nelle giuste mani, c’è più voglia di competizione, difesa del proprio terreno, o piuttosto desiderio di stringere alleanze per amore della sperimentazione?
MARGARITA – Gli stili sono tanti, ma la danza è una sola. Lo scopo di ogni Maestro è quello di individuare lo stile più adatto all’allievo.
ANDRÈ – Io credo in una sana competizione, ma non è sempre così. Ognuno ha il suo ego, a volte c’è la tentazione di prendere il sopravvento. Tutti concordiamo nell’affermare che alla base c’è lo studio del classico: esso rappresenta le fondamenta, sulle quali vanno poi a costruirsi gli altri stili. Al di là di questo, per me conta lo scambio emotivo.
Steve, cosa si intende per La Chance’s style? Apprendo infatti che si chiama così il tuo momento coreografico all’interno del Saggio.
Carla ha scelto questa denominazione. Devo dire però che esiste un mio stile: molto tecnico, e molto musicale. Nello specifico si tratta di Modern Jazz: ho iniziato a studiarlo quando avevo cinque anni ed ho continuato a perfezionarlo nel tempo. Tutte le mie coreografie risentono di questa formazione.
Andrè, leggo nel programma che il tuo lavoro è tratto dal dramma teatrale “Tre sorelle” di Čechov. Ogni forma d’arte può mettersi al servizio delle altre: le parole si traducono in movimento, e la voce “diventa muta” sacrificandosi al corpo. Non c’è alcuna rivalità, solo bellezza che cambia la sua forma. Perché hai scelto questo dramma?
La ragione è semplice: le diplomande quest’anno sono tre! Desidero nominarle una per una: Francesca Panzuto, Conny Tozzi e Mariarca Zinzi.
A parte questo, devo dire che amo molto gli scrittori di prosa: la lettura di classici quali Čechov e Ibsen mi ha accompagnato negli anni della mia formazione artistica, perché ho studiato anche recitazione. In particolare, le tre sorelle del dramma condividono tutto nonostante la loro diversità, proprio come le tre allieve che sono giunte al traguardo del diploma. La Danza ha bisogno di queste storie, ha bisogno dei personaggi creati dalla grande letteratura.
E infatti due anni fa, se non erro, hai proposto sulla scena un riadattamento da Alice in Wonderland…
Sì, esatto. Si tratta di un testo estremamente complesso e non è facile coglierne tutti i significati. A volte il corpo, con le sue evoluzioni, chiarisce il significato delle parole.
Le ultime domande collettive:
Oltre che nella danza, secondo voi, dove risiede la bellezza? Da chi o cosa vi lasciate ispirare? Quanti felici connubi possono nascere tra le arti?
MARGARITA – La musica è la mia seconda, grande passione. Non solo perché non c’è passo di danza senza note musicali, ma anche perché mi sono diplomata al conservatorio in pianoforte. Questo ai miei occhi è un connubio fondamentale.
STEVE – La bellezza per me è imperfetta. La stessa arte è bella se imperfetta. Il difetto – di un corpo, di un volto, di una linea – può nascondere un universo di sfumature.
Di solito mi lascio ispirare da chi ho davanti. Il vero coreografo lavora con chi non sa. E si presta senza riserve alla molteplicità delle arti. Io posso dare il meglio, ad esempio, nel costruire un trailer cinematografico, lavorando complessivamente sulle immagini e le emozioni degli attori.
ANDRÈ – Le Arti devono convivere, e generare svariate forme di comunione. Le arti figurative possono ispirare quelle sceniche, darsi reciprocamente linfa. Ogni arte sarebbe cieca, senza tutte le altre. De Chirico, per esempio, e Picasso, come potrebbero non stimolare la danza con i movimenti scomposti dei loro quadri?
Una parola sulle Maestre Borriello, e la scuola che da anni aiuta la gioventù campana ad investire nel proprio talento.
STEVE – Carla e Laura studiano con me fin da bambine, le ho cresciute. Amano questo lavoro, ed offrono un ambiente sereno in cui mettere a frutto i loro insegnamenti. Al cuore si unisce il talento, perché non smettono mai di studiare e di imparare. È raro incontrare persone così.
MARGARITA – Conosco le Maestre Borriello da tantissimi anni. Con la loro dedizione, passione e competenza hanno aiutato tanti ragazzi a sviluppare il loro talento.
ANDRÈ – Sono due donne magnifiche. Ed è magnifico che insegnino in un convento – luogo di grande spiritualità – una disciplina che è già benedizione in sé.
Rinnovo l’invito formulato nelle pagine precedenti: accorrete tutti simpaticamente ai provini di Settembre, se le parole dei Maestri hanno fatto breccia almeno un po’…
(diplomande: foto di Stefano Wurzburger)
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