di Enzo Buscemi
Una di quelle mattine in cui ti viene in mente di appendere l’anima a un chiodo, e fare quanto ti passa per la mente. Senza riflettere.
Ma non sempre sai che cosa fare.
Intanto, il pensiero va a Socrate, poiché ti concedi un grattino allo stinco destro. Proprio sopra la caviglia. E ti rendi conto di quanto fosse importante la richiesta del filosofo quando, appena prima di bere la cicuta assassina, chiese che gli togliessero la catena che gli serrava la gamba. Così, finalmente, potesse grattarsi.
Lo accontentarono. E Platone descrisse quanto fosse stata grande quella sua ultima soddisfazione.
D’accordo. Adesso anche il mio fastidio è stato eliminato. Sto decisamente meglio. Che bello liberarsi facilmente di quanto, più meno pesantemente, ti affligge.
Le chiamano piccole felicità della vita. Ma non sempre la definizione è azzeccata. Anche un volgarissimo prurito è insopportabile. Ed eliminarlo, dà più che una piccola felicità.
Ugualmente, come ascoltare lo schiocco metallico dell’accendino di gran marca (ormai purtroppo in disuso per le difficoltà di ricarica), che si richiude dopo aver dato fuoco all’ennesima, dannosa, ma tanto gradita sigaretta. Felicità, nel pasteggiare la profumata densità dei primi caffè della giornata, e magnificarne il gusto annusandone, contemporaneamente, l’aroma. Ma ad occhi socchiusi, per isolarsi meglio dal mondo e gioirne di più.
Piccole felicità o soddisfazioni? Credo che il secondo termine sia quello più usato. E dunque, com’è mio costume, gli preferisco il primo, poiché meno scontato.
Altra felicità fatta di niente (quest’ultima espressione la prendo in prestito da una canzone degli Anni 30), la carezza dei getti, più o meno filiformi, della doccia. Ma guai a cantare, come pare usi la maggioranza. Fa molto commedia di provincia all’italiana e, in ogni caso, l’attenzione sarebbe polarizzata dalla ricerca di un motivo musicale, e della sua giusta intonazione. Colpevoli, sicuramente, di sminuire il gusto della cascata casalinga.
E ancora, subito dopo la lunghissima abluzione, la libertà assoluta di andare in giro per le stanze ancora madido e senza nulla indosso. E diretto a pregustare la fine dei brividi di freddo, decisa dal soffio bollente dell’asciugacapelli usato, su tutto il corpo, come il vento delle spiagge egiziane. Poi, senza nulla aggiungere all’adamitico, un’escursione di ricerca tra le centinaia di dischi in vinile, allineati negli scaffali. A cercare quel particolare lp, con quel certo brano che ti piace tanto, per via dei tre accordi del contrabbasso, resi ancora più profondi dagli enormi altoparlanti che ami. Specie quando nobilitano le sfumature canore di quella fascinosa artista inglese, capace di evocare, d’incanto, su quel brano “You never told me…” ma italianissimo (dalla colonna sonora di un film di successo), la pastosa atmosfera delle albioniche brughiere. E, visto che stai in mezzo alle librerie, sfili, a colpo sicuro tra i tanti, quel volume del quale ti concederai la meraviglia delle due ultime pagine, lette e rilette, ma ancora capaci di stupirti.
E dopo, il piacere della biancheria scelta dal numero esagerato dei capi ordinati, per colore e foggia, da chi si impegna a regolare il tuo disordine estroso. E, finalmente, se è uno di quegli, ormai rarissimi, giorni in cui ne hai voglia, passi alla scelta dell’abbigliamento.
La fai a seconda del tuo umore, e della luce che quel giorno ti riserva.
Colori chiari, accoppiati con altri più scuri, ma rigorosamente ben assortiti perché i tuoi occhi ne godano. Una camicia che con il suo azzurro richiami il colore ideale del cielo che vorresti ad ogni risveglio. Pantaloni ben calibrati sul bacino, che si adattino senza pieghe all’addome e sulle cosce. Una giacca sportiva che, ovvio, abbia nei suoi colori un obbligato richiamo o, un deciso stacco, alla tinta dei pantaloni. E una cravatta che condensi nelle sue fasce regimental, o nei piccoli motivi che ne costellano il fondo unito, le tinte del resto dei capi che hai appena scelto.
Regola personalissima e comune per calze e calzature: quelle in pelle non siano mai funeree, né marrone. Piuttosto color cuoio maturo o beige cotto, in eventuale sequenza con i pantaloni. Se possibile, meglio evitare le fastidiose, quanto antiquate, allacciature. Da preferire modelli assolutamente non appuntiti, con semplice fibbia laterale o, addirittura, classici mocassini arricchiti dalla lunga cucitura sul dorso o da qualche motivo in leggere frange, di sottilissimo cuoio. D’inverno insostituibili le tipo Clark in pelle liscia, meglio scamosciata, e con un filo di tacco in più.
La scelta degli accessori è un’altra piccola felicità. Importante l’orologio, senza dubbio di marca e sportivo, a corredo del contesto su descritto. Ma, attenzione, anch’esso va scelto con cura dalla amata collezione, e accordato con lo stile e i colori della giacca.
Se la base globale degli abiti è marcata, e vira su una tonalità scura, si impone un quadrante non troppo grande e con fondo chiaro. Se, al contrario, il totale della linea va su tinte pastello chiaro, è indispensabile uno sportivo di buon calibro, quadrante nero, bracciale d’acciaio, aspetto importante. Avrà la corona di colore diverso, se di quella marca famosa, e purtroppo, ormai, tanto imitata.
Manca solo la penna (accessorio che, ingenuamente, in un tema, quando frequentavo le medie, descrissi come “umile arnese, che con codici e poemi ha messo le pietre miliari della civiltà”.
La penna. In tante, ormai, se ne usano di indistinguibili, commerciali. In caso di abbigliamento sportivo c’è una certa libertà di scelta, che offra ugualmente la scontata piccola felicità. Una biro, sempre corposa, di comoda impugnatura e di gran marca s’intende. Oppure, per i cultori della romantica stilografica, un esemplare che, al momento di sfilarne il cappuccio, esibisca un pennino con disegno di gran classe e umettato da inchiostro di calda tonalità azzurra o, meglio ancora, verde brillante, tinta sicuramente più esclusiva, e che garantisca un tratto sicuro e pastoso.
A condire il tutto non manca che il tocco del profumo. E qui il discorso assurge quasi a sindrome filosofica. Ma d’altro canto ero partito da Socrate.
È risaputo come certi profumi, su ognuno, assumano una tonalità (concedetemi il termine, ma certi aromi sanno di poema sinfonico) particolare.
In sostanza, profumano su alcuni, e puzzano su altri. Presupposta la scelta di base, il piacere va di pari passo con l’abbigliamento, il meteo, la stagione e l’umore. E inoltre, attento che alcuno nella cerchia delle tue frequentazioni, non prediliga le stesse scelte. Nella malaugurata eventualità, cerca immediatamente un altro aroma. Ma torniamo al quotidiano.
Un gentiluomo raffinato sceglierà un profumo calibrato, a ciascuna occasione. Abbigliamento sportivo, bella giornata, esterno giorno, umore buono, uguale: aroma fresco che echeggi di agrumi, mai contaminato da spezie. Vale sia nelle belle giornate d’inverno che in estate. Tutto cambia con mise scura, per una serata importante, con pranzo a buffet. Meteo freddo, umore adatto all’evento, serio ma non troppo, uguale: aroma intenso, corposo, speziato, persistente.
Variazione sul tema, nelle stesse condizioni ambientali per una serata con previsioni brillanti, ma con pranzo normale a una tavolata seriosa. Completamente diverso l’abbigliamento. Per un abito intero va bene un fumo di Londra, doppiopetto sei bottoni, molto classico. La camicia azzurro morbido è il tocco che differenzia. La maggior parte ne avrebbe scelto una bianca. Si può anche optare, a seconda dell’occasione, per pantaloni fumo di Londra e giacca nera rigorosamente Cachemire di gran taglio, senza bottoni dorati, per carità. La cravatta deve dare un tocco di luce sul serioso. E quindi una regimental con tonalità pastose che abbia il blu, e un arancione molto cotto. Ne confezionava molto belle Coveri. Oppure una Marinella con fondo unito ma variegato da motivi di luce. Attenti, in questi casi il gusto viene allo scoperto. Le scarpe, sempre da evitare il funereo. La penna, sicuramente di gran marca di scultura modernissima, d’oro, magari una Sheaffer o, colmo di esclusiva originalità, un esemplare ricavato dal pieno di marmo rosato, con pennino importante o ottenuto da un sottile legno di rosa. Pochissimi, ambedue gli esemplari, in circolazione.
E torniamo al profumo. Si impone un aroma robusto, appena speziato, con un fondo fresco e malizioso ma non dolce. Per carità. Fondamentale, che non inquini il gusto delle vivande, e non disturbi gli altri commensali. Dovrà, però, persistere, discreto, nella sua fragranza di morbido mélange, per la convivialità del dopo.
In ogni caso, annusare in sottofondo quel che resta del nostro amato profumo, ci farà star bene e (si spera) lascerà nei nostri interlocutori, la memoria (augurabilmente piacevole) dell’incontro.
Ma non è finita.
Rientrando, al momento di cambiarci per la notte, il nostro olfatto ci darà ragione su quanto rimane della scelta giusta. A quel punto, entrano in ballo l’ambiente della camera e il letto. Arredamento con colori morbidi, quadri con immagini riposanti, un piccolo corredo di libri e riviste. Le lampade, ovviamente a luce calda, che ti permettano di leggere senza fatica quanto più ti aggrada. Nulla è più affliggente di una scarsa illuminazione. E il letto. Deve, già, attirarvi visivamente. Basso, e di dimensioni abbondanti. Rigorosamente vietati i singoli. Copripiumone (o lenzuola d’estate) in tinte vive, tonalità pastello, mai chiassose e niente strani disegni. Fanno tanto single, intristito, uomo o donna, è lo stesso, o reduce da fallito matrimonio. Materasso rigorosamente semirigido. I cuscini, dormendo ne userai solo uno ma servono almeno quattro, da gestire a seconda delle esigenze, e due a due per sceglierne la diversa, più o meno morbida consistenza. Niente comodini tradizionali. Ma uno o due tavoli, della stessa altezza del letto, con ampio piano d’appoggio per ospitare un grande abat-jour ovviamente griffato, ovvia la radiosveglia di buona marca con un altoparlante che non gracchi, e libri. Diversi libri. Appendice di altri volumi, ben allineati su un altro mobile, d’antiquariato se possibile, lì vicino, e che vanno regolarmente alternati dopo la lettura. Una dépendance delle librerie maggiori non deve mai mancare in camera da letto.
Il tutto coccolato da tappeti molto spessi e quotidianamente trattati con vigorosa aspirapolvere.
Poi, magari il sonno non arriva.
Pazienza.
Non si può avere tutto dalla vita.
Torino XII/2022
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