Vergognati, vigliacco!

donna molestata

di Laura Villani


 

Sei sull’autobus, è tardi, pensi che non dovevi fare così tardi, ma tanto manca poco ad arrivare a casa e poi ti chiuderai la porta alle spalle e tirerai un sospiro di sollievo e farai un sorriso pensando a quanto sei sciocca a preoccuparti, però intanto scruti i viaggiatori attraverso il riflesso che fanno sui vetri interni e vedi che scendono e sul bus rimani tu e un’altra persona, un uomo, un ragazzo.
Ogni tanto lo guardi, ti chiedi quando scenderà anche lui e vedi che non scende e poi quando arriva la tua fermata lo vedi uscire da una delle porte sul retro, fa la tua stessa strada, cammina a passo veloce, ora sempre più veloce, allora acceleri anche tu, ti dici “ma no, non è possibile, mi preoccupo per nulla”, ma intanto scarti a destra e lui dietro, vai a sinistra e lui c’è, svolti finalmente nella tua strada ed eccolo avvicinarsi, lo senti alle spalle, manda dei fischi strani, pensi che voglia attirare la tua attenzione e non hai voglia di chiederti il perché, sai solo che il cuore batte fortissimo eppure è come se fosse fermo, non deve disturbare ciò che senti con le orecchie, non deve diventare un rimbombo sordo che potrebbe coprire rumori strani, anche il respiro si è bloccato in gola, non hai il tempo di chiederti come fai a camminare sempre più in fretta senza respirare, senza svenire.
Poi, ecco il portone, le chiavi sono già in mano, ma ti ricordi che la serratura è rotta e il portoncino già aperto, speri non se ne accorga, lo sbatterai forte per fargli credere di averlo chiuso meglio e così con un ultimo scatto sei dentro, quando sentivi il suo alito quasi sul collo, se avesse allungato una mano avrebbe forse potuto toccarti. E poi la corsa per le scale, come se dovessi salvarti, arrivata su le gambe cedono, tremano troppo, ti devi sedere, la tensione scende di colpo e così il cuore ricomincia a battere e torna il respiro, ma sale la rabbia, una rabbia profonda che ti fa immaginare cosa avresti fatto se la situazione fosse precipitata: t’immagini in mosse da Kill Bill che sai benissimo non ti sarebbero mai riuscite e nei pensieri l’hai già sistemato, ma vorresti urlare, uscire di nuovo stavolta aggressiva e fargliela pagare lo stesso, anche solo per quegli attimi d’angoscia gratuita e crudele.
Essere seguite la sera quando la strada è deserta è terribile. No. Essere seguite è terribile, punto. Io sono cresciuta in un paesino di 4000 abitanti e ho sempre avuto un senso di sicurezza interiore molto accentuato, pensavo che anche la città non mi avrebbe mai dato problemi nell’intaccarmela, ma non è sempre così. Torino nel caso specifico è una città abbastanza sicura, dico abbastanza perché pur vivendoci da quasi nove anni ho sempre avuto la fortuna di essere riaccompagnata a casa quando facevo tardi e quelle volte che sono rientrata da sola alle ore piccole non è mai successo nulla, se non pochi episodi rimasti per fortuna senza conseguenze. Mi chiedo spesso però quanto siano sicure le nostre città per noi donne che le abitiamo, quanto sappiamo di poter uscire e fare la nostra vita lavorativa e di relazione e poi tornare a casa sapendo che non succederà nulla di spiacevole a turbare quest’equilibrio. Quanto ci è permesso sviluppare un senso di sicurezza interiore girando la sera per le strade urbane?
A tutte le donne prima o poi è capitata un’esperienza simile a quella descritta qui, qualche volta può essere stata solo immaginata, quindi prodotta dalla preoccupazione che un evento del genere possa accadere e così il pensiero è stato riversato sulla persona più vicina e magari meno raccomandabile presente sulla scena in quel momento. Ma spesso l’esperienza è vera, reale, accade e se a volte si risolve bene, e cioè appare il proprio portone a salvare un’evoluzione sgradevole dei fatti, o una persona che riempie per magia una strada vuota e bagnata (chissà perché nell’immaginario le strade dove accadono fatti brutti sono sempre buie e bagnate di pioggia), a volte invece non è così e in quel momento sai che quell’evento segna un punto e da lì in poi la tua vita non sarà più la stessa.
Quando qualcuno rompe la bolla in cui ci sentiamo chiuse e protette e distrugge, per pochi minuti o purtroppo di più, la certezza della nostra libertà personale, succede anche che dopo cerchiamo tutte le ipotesi su cosa abbia scatenato quella furia e perché proprio nei nostri confronti e in quel momento. Ci sentiamo in colpa per non essere state capaci di difenderci, per averlo “lasciato fare”, siamo arrabbiate prima di tutto con noi stesse. Eppure vorrei dire una cosa importante qui, adesso: non c’è colpa nell’essere aggredite, mai.
Non c’entrano i vestiti, l’atteggiamento o una risata e uno sguardo di “troppo”, non c’entra l’ora, non c’entra il posto. Abbiamo il diritto di uscire, camminare, parlare con la gente, tardare quanto ci è necessario senza che nessuno ci tocchi o ci faccia diventare preda. In un esame che ho dato all’università c’era un libro intitolato “Psicologia della vittima”: un titolo orrendo, fortunatamente era un libro opzionale e non lo scelsi (casualmente era scritto da un uomo), trovo già assurdo concepirlo, come se esistano una serie di caratteristiche spiegabili che ti facciano pensare che se tu non le hai non puoi essere vittima.
Non è assolutamente così, le cronache purtroppo dicono cose ben diverse, può succedere qualcosa di brutto in ogni caso, se sei bella, se sei anziana, se sei imbacuccata come un palombaro, se quel giorno non ti sei fatta lo shampoo e ti trovi poco presentabile, se vai in discoteca o se non esci mai e sei fuori tardi quell’unica volta. Qui non c’è colpa, non c’è responsabilità se non di chi dovrebbe garantire e incentivare con tutti i mezzi la sicurezza delle nostre città. Non ci sono definizioni, non è giusto, dopo un fatto terribile, diventare “la vittima”, “la donna violentata”, o cercare mille motivazioni a giustificazione di quanto successo.
Tu non hai colpa e non sei una vittima: sei tu e rimani tu, con il tuo nome e cognome e le tue esperienze, la tua vita, i tuoi studi, il tuo lavoro, i tuoi diritti. Niente si perde, niente si distrugge, anche se al momento ti sembra così e ti senti annullata. Se c’è una definizione da dare ce n’è una sola, ed è quella per l’aggressore: un vigliacco.
Tutto ciò che mi viene da dire infatti è “vergognati, vigliacco” a chiunque osi spaventare una donna che in quel momento ha l’unico “difetto” di essere tale e sola e senza la stessa possibilità di difendersi di un uomo. Vergognati, vigliacco, l’ho pensato tutte le volte che è successo a me e quando l’ho saputo di altre persone, vergognati, vigliacco che mi privi anche per poco del mio bene più prezioso, la libertà e che mi costringi ad avere paura, il sentimento più terribile che si possa provare, paura per la mia incolumità e per come mi sentirò tutte le prossime volte che mi troverò sola al buio di una strada deserta, vergognati, vigliacco.




Latest posts by (Collaborazione esterna) (see all)

5 Replies to “Vergognati, vigliacco!”

  1. Cara Laura,cosa aggiungere a quanto hai scritto.Hai usato l’aggettivo più appropriato per definire chi fa del male a una donna,pur senza toccarla provocando quella paura che almeno una volta nella vita tutti abbiamo provato…quel freddo brivido che sale lungo la schiena,il cuore che urla nel petto e le tempie che pulsano.Vigliacchi esatto, perchè sanno fare del male solamente a chi è più debole e non può difendersi.

  2. Hai detto tutto Laura. Mi unisco al tuo urlo: vergognati Vigliacco!!!
    Continuerò a seguirti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *