2010, l’anno del contatto

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Potete leggere solo lo scritto o guardare solo i video, ovvero potete leggere spezzoni dello scritto e vedere soltanto alcuni video: il senso, anche se parziale, dovrebbe essere ugualmente percepito.
Unico consiglio: leggere o vedere da su in giù, senza andare avanti e indietro.
N.B.: Il trailer di Avatar può essere visto solo su youtube, in una differente finestra.

 

“2010, l’anno del contatto” è il titolo di un film, tratto da un romanzo scritto da Arthur C. Clarke.

Ma è anche l’anno del nostro primo contatto in questa rivista letteraria on line.

Perché iniziare proprio con la fantascienza?

Perché il cinema fantascientifico è quello che, forse, meglio di altri si presta alla rappresentazione spettacolare sul grande schermo del dolce inganno, attraverso l’elemento fantastico. Quello, cioè, creato ad arte per fare credere vera allo spettatore qualcosa che non lo è.

Ma anche perché, solo in Italia, “Avatar” – l’evento cinematografico più atteso nel 2009 – esce nel 2010 per fare spazio al cinepanettone.

 

Con “Avatar”, dodici anni dopo “Titanic”, “Big Jim” Cameron  torna dietro la macchina da presa e realizza un film per il grande schermo che rivoluziona il modo di fare cinema.

Realizzato con un budget di oltre 200 milioni di dollari, un sistema di ripresa che sfrutta 197 cineprese usate contemporaneamente, dispositivi posti a pochi centimetri dai volti degli attori (e-motion capturing) per catturarne  le emozioni e trasporle in animazione digitale 3D, “Avatar” è la summa della concezione del cinema americano: stupire facendo le cose in grande, ma anche bene.

Questo non significa che “Avatar” debba necessariamente essere bello. E’ solo una questione di punti di partenza: i nostri cinepanettoni contro i kolossal americani.

 

Ma la fantascienza non è soltanto spettacolo ad alti livelli: è anche riflessione.

Ci sono stati film che, volontariamente o incidentalmente, hanno creato concetti nuovi dal nulla.

Basti pensare a “Ultimatum alla Terra”, film del 1951 (sei anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale) nel quale Klaatu, un extraterrestre che porta un piccolo dono, esce da un disco volante appena atterrato a Washington. Purtroppo un soldato, preso dal panico, spara al pacifico visitatore, che vuole avvisare gli uomini dell’imminente pericolo di distruzione nel quale si trova la Terra.

Da lì ha inizio una serie di pasticci commessi da parte degli uomini finché un robot, compagno di Klaatu, entra in modalità distruzione. Unico modo per fermarlo: pronunciare per tempo la frase «Klaatu, Barada, Nikto!».

La fantascienza, a suo modo, cominciava ad affrontare il tema del confronto fra le culture diverse.

 

Per non parlare di “Guerre Stellari”, incredibile doppia trilogia che, attraversando diverse generazioni, ha ripercorso il mito di alcuni personaggi e dei loro droidi. Questi – pur vivendo in un tempo e in una galassia lontani – rassomigliano moltissimo agli umani delle storie bibliche, caratterizzate dall’eterna lotta tra il Bene ed il Male.

Il tutto, innaffiato da sapienti spruzzate di Storia medievale,  moderna e contemporanea. Una fantascienza talmente sovrapponibile  a storie umane reali che, negli Stati Uniti, le “Star Wars” sono diventate una sorta di incipit di religione, al motto di «La forza sia con te».

Dal punto di vista politico, invece, è interessante notare che il plot – caratterizzato dallo scontro tra la Repubblica trasformata in Impero ed i Ribelli – sia un’evidente metafora di fatti, avvenuti in tempi recenti, in paesi e situazioni non molto lontani da noi e che potrebbero, purtroppo, ancora ripetersi.

 

Dunque, «Che la Storia sia con noi», perché se la fantascienza all’inverso di “Guerre Stellari” tratta in controluce di storie del passato, altri film del passato possono essere un monito per gli uomini del futuro, come nel caso de “Il grande dittatore” di Chaplin:

 

Purtroppo l’uomo, invece di trarre esperienza dal corso degli eventi,  tende a perdere alcune sensibilità, sottovalutando finanche l’importanza di  alcuni simboli, come nel caso della vicenda dell’insegna recante la scritta «Arbeit macht frei» («Il lavoro rende liberi»), posta dai nazisti all’ingresso dell’ex campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau in Polonia e rubata nei giorni scorsi (poi fortunatamente ritrovata).

Il furto è stato realizzato in palese  sfregio della memoria dell’Umanità, dato che il motto beffardo, posto all’ingresso del campo di concentramento, rappresenta il segno dell’abbattimento di un livello di attenzione e di guardia che non dovrà ripetersi mai più.

 

Si parte, allora dalla fantascienza e dalle uscite del futuro, per arrivare alla Storia e alle uscite del passato, parlando non solo di nuovi film, ma anche di quelli vecchi, recuperati o recuperabili. Perché vedere è bello, ricordare è necessario e riflettere è assolutamente indispensabile.

 

In un’era nella quale i mezzi di comunicazione di massa permettono di raggiungere contemporaneamente  tutte le estremità della Terra, il Cinema non può sottrarsi alle sue responsabilità e, sia pure attraverso un dolce inganno, non può rimanere a guardare e deve fare la sua parte.

Diceva Gandhi: «Se volete dare un messaggio, deve essere un messaggio di amore, deve essere un messaggio di verità. Voglio catturare i vostri cuori. Fate battere i vostri cuori all’unisono con quello che dico. Ieri un amico mi ha chiesto se credessi davvero in un mondo unito. Come potrei fare altrimenti? Certo che credo in un mondo unito».

 

Riguardando lo spot, realizzato da Spike Lee e musicato da Lisa Gerrard, pensiamoci: se anche Hitler avesse potuto comunicare così il suo delirante messaggio alle estremità della Terra, che mondo sarebbe oggi?

Klaatu, Barada, Nikto!

Tinos Andronicus

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