di Flavia Chiarolanza
Se non conoscessi a fondo l’autrice, mi sorprenderebbe l’originalità del testo e dei sentieri tracciati nell’ottica di una sperimentazione che non si credeva di vedere più, per lo meno in questi tempi e in questo paese. Invece conosco bene Paola Cimmino e, pur sapendola al suo debutto, già immaginavo che avrebbe gettato sulle scene lo stesso scompiglio geniale e creativo da sempre caratteristico della sua produzione letteraria. Mancavano giusto le sacre tavole per definire il mosaico di un talento che non poteva dirsi completo, fino a quando non avesse omaggiato l’arte a partire dalle origini. E le origini sono lì, dentro quel proscenio che si affaccia su un pubblico vivo, non semplicemente immaginato come avviene attraverso lo schermo.
Date le premesse, non potevo certo attendermi quel tipo di narrazione che diventa per forza canonica, quando si affronta l’attualità già ampiamente servita dai media. E cosa c’è di più attuale del dramma dei migranti? Cosa, più del razzismo, induce il popolo a mettersi a pancia in su e a lasciarsi grattare dalle voci della politica, fino a che non risalga tutto il marcio in superficie? A quel punto, tra chi si scandalizza e chi grida al buonismo, il dibattito è bello pronto. Fortuna che Paola ha la geniale verve di cui vi dicevo prima, ed è riuscita a raccontare il medesimo dramma sfuggendo alla trappola del facile lamento. La lacrima può essere falsa, la commozione invece è autentica. Il dramma di Paola è commovente, come lo sono gli interpreti, eppure originale e perfino leggero in alcuni momenti. Ottima la scelta della suspense, e di un registro narrativo tipico dei gialli, per accompagnare il pubblico nella visione di un’odissea, di cui il naufragio nelle acque del mediterraneo rappresenta solo l’inizio.
Chi non ha mai pensato che capovolgere i punti di vista sia il modo migliore per comprendere l’altro da sé? Un modo veloce di insegnare agli scettici che i ruoli nella vita sono decisi come sul tavolo da gioco e si fa presto a finire “dalla parte del torto” (per dirla alla Brecht).
Questo è quanto succede nello spettacolo “Una seconda possibilità”, rappresentato ieri alla Sala Uno Teatro di Roma e in scena fino a Domenica 21. La pièce, scritta da Gamy Moore (nome d’arte di Paola Cimmino) e diretta da Francesco Sala, non è altro che l’adattamento di un racconto della stessa Cimmino, qui al suo debutto nelle vesti di drammaturga. Vesti in cui si accomoda con garbo e disinvoltura, forte di quella sensibilità che permette di imboccare sentieri nuovi senza l’ansia di lasciarsi alle spalle briciole di pane.
Misterioso lo scambio di identità che la trama ci racconta: un bianco apre gli occhi e si ritrova inspiegabilmente nel corpo di un giovane nero. Presto dovrà misurarsi con l’altrui diffidenza, e con una società che lo rifiuta nel nuovo sembiante. Aspettate di assistere ad un incredibile finale, perché niente di quello che andrete ad immaginarvi corrisponde alla realtà dei fatti narrati.
La regia presenta lo stesso grado di sperimentalità del testo, che da un lato asseconda e dall’altro conduce a sviluppi visivi di grande raffinatezza, specie quando colloca gli interpreti su panche sovrastanti il protagonista di colore. Bellissima la metafora di un’umanità che vuole sopraelevarsi, a discapito dei più sfortunati. Non sorprende questa delicata dimensione registica, frutto delle mani di un professionista quale Francesco Sala. Notevoli anche i costumi di Rosa Di Palma, cui va il merito di aver reso ancora più credibili le interpretazioni, e le musiche originali composte da Nicolò Papini.
Gli attori sono tutti meravigliosamente in parte, e tutti meritano un plauso speciale, anche per la capacità di restare sempre in scena senza alcun cedimento.
Federico Lima Roque, interprete del giovane nero dalla identità travisata, racchiude nel corpo la sofferenza taciuta al mondo e nello sguardo la dolcezza di riuscire ancora a vederlo; la splendida Eleonora Pariante ha la dignità di un’autentica regina; Antonio Veneziano è credibile nei panni del medico come lo sarebbe se fosse incrociato nella corsia di un vero ospedale; Valentina Favella e Giovanna Asia Savino illuminano la scena con la loro bellezza, e commuovono sul finale; Michele Ferlito e Andrea Carpiceci sono il ritratto del cinismo che impongono le professioni simulate sulla scena.
Una menzione finale e speciale va ad Annalisa Arbolino, non solo per il fascino dell’interpretazione (e della bellezza che trapela nonostante la severità degli abiti di scena), ma anche per essere stata l’anima del progetto: sua è l’Associazione Indila, che presenta lo spettacolo; suo il ruolo di produttore esecutivo, mirabilmente alternato a quello di coprotagonista della pièce ed aiuto regista.
Annalisa, in occasione del nostro precedente incontro ti avevo definita “Imprenditrice di sogni, propri e altrui”. Non mi sbagliavo. Questo è il primo sogno, o meglio il primo miracolo realizzato da Indila; e molti altri sono in attesa di avverarsi, sempre con il tuo sigillo. Attrice, produttore esecutivo, presidente dell’Associazione: come sei riuscita a conciliare tanti ruoli, per giunta così diversi e tutti ugualmente gravosi?
I sogni sono come i miracoli: devi crederci davvero perché possano avverarsi. Io ho investito tutte le mie energie per realizzare i miei sogni e quelli altrui, perché non c’è felicità più grande della condivisione.
Riguardo alla tua domanda, e cioè come sono riuscita a conciliare tutto, ironicamente mi verrebbe da risponderti con molti chili in meno, poche ore di sonno e senza più il fidanzato! In realtà posso solo dirti che non esiste una formula: lo fai e basta! A guidarti c’è quel fuoco sacro, che ti dà la forza di andare avanti. “Finché hai anche un solo respiro, combatti”.
Come e perché è nata Indila? In quale momento, della tua storia privata e professionale, hai maturato una scelta così impegnativa?
Indila la sognavo da tempo, ma aspettavo il momento giusto… proprio come in amore. Poi un giorno ho incontrato “il mio Angelo”, Enrico Vellante, che è diventato consulente, amico, confidente, insomma la mia guida. Lui mi ha insegnato a fare impresa, ma soprattutto a progettare, perché i sogni possono acquisire concretezza solo sulla base di un buon progetto.
Cosa ti auguri per il futuro di Indila?
Nel futuro di Indila ci sono tanti progetti. Io mi auguro soprattutto di collaborare sempre con persone splendide, in grado di condividere non solo la progettualità e l’entusiasmo che ne deriva, ma anche la fatica e l’impegno necessari per approdare a risultati positivi.
Ti faccio la stessa domanda riguardo a questo splendido gruppo attoriale, a cui tu stessa hai dato vita. È tuo il fine istinto che ha permesso di selezionarne i singoli membri in maniera vincente, sulla base delle caratteristiche del copione.
Sai, Flavia, poche volte riesco ad essere veramente fiera di me, ma in questo caso il merito voglio prendermelo tutto. Sono davvero soddisfatta delle mie scelte. Ognuno degli attori è riuscito a rendere corpo vivo quello che c’era nell’immaginario dell’autrice, ed anche nel mio durante la lettura del testo. Ne approfitto per ringraziarli pubblicamente, ed augurarmi di realizzare insieme molti altri progetti.
Dinanzi ad un testo incentrato su un ragazzo di colore, sorge all’istante il problema di trovare il giusto interprete: qualcuno in grado di affiancare, alla fisicità richiesta, il talento necessario per esibirsi sulla scena. Chi ha messo sul tuo cammino Federico Lima Roque, lo splendido protagonista dello spettacolo a cui abbiamo assistito?
In realtà la scelta del protagonista è stata più semplice di quanto non possa sembrare. Federico l’ho conosciuto circa due anni fa, quando ero impegnata nel selezionare gli attori per il Shakespeare Fest (Festival di cortometraggi con la direzione artistica di Gigi Proietti). Federico incarna benissimo il personaggio di Asir, senza contare che è un giovane di grande talento e sensibilità.
Incontro anche Paola, genitrice insieme ad Annalisa del primogenito di Indila, e cedo alla curiosità di indagare sulle sue ragioni:
Abbiamo seguito in rete le avventure del giovane sceneggiatore, appassionanti ed esilaranti come tutte le vicende che sei solita raccontare. Dietro il velo dell’arguzia, si cela tuttavia l’abisso delle difficoltà che si abbattono su chiunque intenda fare arte nel nostro paese. Per te è stato un debutto, avvezza come sei alla narrativa e al cinema. Vuoi farci un bilancio di questa tua prima esperienza?
Sono sempre stata scarsa in matematica (non so neanche perché mi sono iscritta al liceo scientifico, forse per autolesionismo) e ancora più scarsa in economia e finanza, ma quello l’ho appurato da grande… A dirla tutta quello che facevo con più facilità – allora come ora – e direi quasi senza sforzo, era scrivere.
Considerati i risultati è lecito pensare che avrei dovuto applicarmi di più, che dici?
Scherzi a parte, per una debuttante attempata come me l’unica cosa ragionevole da fare era affidarsi a un team di esperti, di “cultori della materia”, e sperare che trasformassero le mie pazzielle in testi rappresentabili. Se qualcosa di buono è venuto fuori credo di doverlo a loro.
Quanto agli abissi c’hai preso in pieno: l’Arte può farti arrivare a vette meravigliose, ma anche farti vedere le stelle come nei cartoon. In questi mesi trascorsi fra sacre tavole e tavolette (più spesso tavolette nel mio caso) mi sono sentita come Willy coyote quando precipita nel baratro e il masso gli viene appresso. Mi sembrava una cosa troppo grande per me. Ho imparato tantissimo però, anche a volare come Willy grazie alle meraviglie della Acme.
Tutti i tuoi personaggi virtuali hanno un’identità legata ad un volto ed un corpo, che ne accompagnano le sortite sulle pagine del web. Cosa si prova nel vederli prendere vita tra le ben più anguste mura di un teatro, laddove si deve fare i conti con una spazialità che non esiste nell’universo della rete?
Caspita che domande difficili che mi fai… Anguste mura di un teatro? Non direi proprio, non a caso per me quelle sono e restano Sacre Tavole. Volevo inconsciamente che le onorassero, pur trovandosi a proprio agio.
I personaggi di “Una seconda possibilità” sono passati dalla carta a vera vita. Speravo che accadesse anche se non potevo immaginare che prendessero vita così bene, assumendo anche una propria autonomia. Li ho visti recitare i miei pensieri con la loro personalità, aggiungendo spesso sfumature che io stessa non avevo colto, o volevo che ciascuno cogliesse a modo proprio. Si prova un’emozione difficile da descrivere. La Rete è un infinito vuoto, puoi incontrare qualcuno come nessuno, puoi solo immaginare chi c’è dall’altra parte, anche se in qualche caso giungono sentori. A teatro tu sai bene chi hai davanti a te, una platea pronta a osannarti o spingerti in un baratro. Capisci bene come ci si può sentire piccoli e neri alla Calimero.
Per me, che ho amato il testo fin dalla sua creazione, è stato entusiasmante riconoscerne i protagonisti dal vivo e confrontarne la verosimiglianza rispetto ai gemelli nati su carta. Un collettivo meraviglioso, guidato da un ottimo regista. Ne sei soddisfatta?
Ancora non mi capacito di quanto è accaduto, che mi sia capitata una tale fortuna. Certo, segnali ce n’erano fin dall’avvio di questa avventura… Si è creato un affiatamento che man mano si è consolidato e che spero continui in futuro. Ho enormemente apprezzato il modo in cui tutti si sono adoperati per la riuscita dello spettacolo. Posso dirmi soddisfatta anche sotto il profilo creativo: alcuni personaggi del racconto erano anagraficamente più grandi, più cinici e anaffettivi rispetto a quelli in scena. Un’umanità insopportabile per certi versi. Quella in scena è invece un’umanità disumanamente più simile a una fetta della nostra società.
Gli artisti sono visionari. Nella vostra mente la tela, che racchiude colori ed emozioni, si immagina perfetta. E poi? È sempre deludente quello che ci aspetta oltre i sogni, oppure la realtà può essere piacevolmente deformante?
Credo di avere risposto poc’anzi a questa domanda, anticipandola. Il modo in cui abbiamo montato lo spettacolo è solo un po’ diverso da come l’avevo immaginato, ma credo vada benissimo così. Quello che posso dire con assoluta certezza è che ha emozionato me più di quanto mi aspettassi.
Una parola su Indila, l’Associazione culturale che ha presentato il tuo spettacolo credendoci fermamente dall’inizio.
Eravamo entrambi debuttanti, e in quanto tali allo sbaraglio. Ma l’unione, si dice, fa la forza, e mettendocela tutta possiamo dire di aver fatto un buon lavoro. Che tra l’altro non finisce qui. Porteremo lo spettacolo in tournée.
Paola, devo complimentarmi per l’impegno eccezionale che hai profuso in questi mesi, sia nel promuovere sia nel supportare materialmente il progetto. Ti colse mai stanchezza, sfiducia, oltre al classico “come mi è venuto in mente”?
Hai detto bene: eccezionale! Non credo di avere mai faticato tanto in vita mia. E di avere bestemmiato così copiosamente in tutte le lingue e dialetti che conosco. Nel contempo di avere vissuto l’esperienza più sconvolgente e coinvolgente della mia vita. Almeno fin qui.
Credo di aver capito solo ora il senso delle parole di Vasco Rossi: “voglio una vita esagerata, di quelle che non dormi mai”. Ma di sicuro non mi troverete come le star a bere del whisky al Roxy Bar. Da lunedì, 16 ore di sonno, di “filata”, come si dice a teatro.
Tornerai agli amori di sempre – cinema e web – o pensi di alimentare oltre quello che potrebbe essere un fantastico ménage à trois?
Prima mi hai dato dell’artista e della “visionaria”. Gentile, sono solo pazza.
È lecito dunque aspettarsi un’altra follia… Ti pare?
Oltre al pubblico, desidero ringraziare tutti coloro che direttamente o indirettamente hanno consentito la realizzazione di questo spettacolo, a partire dal nostro cast artistico e tecnico, composto da: Federico Lima Roque, Annalisa Arbolino, Eleonora Pariante, Antonio Veneziano, Valentina Favella, Michele Ferlito, Andrea Carpiceci, Giovanna Asia Savino, il regista Francesco Sala, l’assistente Alex Liistro, Francesco Bàrbera, la costumista Rosa Di Palma, Nicolò Papini autore di alcune delle musiche, Antonio La Camera photographer e grafico; Erika Morbelli e Reza Keradman del Teatro Sala Uno; i numerosi amici e colleghi che con encomiabile impegno ed affetto si sono profusi in tutti questi mesi, in particolare Flavia e Laura Chiarolanza, Claudio Finelli, Alessandro Grieco, Maria Gianniti, Ella May, Margherita Merone, Melania Costantino, Elisabetta Cardone, Francesco Grano, Pier Giorgio Broccoli e Giuseppe Vera.
Un caloroso ringraziamento va soprattutto ad Annalisa Arbolino, executive producer per Indila, e al Produttore Claudio Peresso, che ancora prima di conoscermi ha assecondato la mia pazzia.
Incredibili intrecci della sorte o del destino. Che speriamo si ripetano ancora!
Concludo accodandomi anch’io a Paola ed Annalisa nel ringraziare il produttore dello spettacolo, Claudio Peresso, che ha reso possibile la realizzazione del progetto grazie ad un contributo non solo disinteressato, ma anche incredibilmente coraggioso, se consideriamo il contesto della odierna crisi. Non esito ad affermare che i tempi, in questo paese, miglioreranno solo quando si tornerà a credere e ad investire nella cultura, senza velleità di guadagno ma animati solo da sincero amore per la tanto vilipesa arte.
Ciao, e auguri a tutti di essere come Claudio.
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Grazie Flavia per l’entusiasmo e il supporto che ci hai dimostrato in ogni fase della realizzazione. Ci hanno donato carica e determinazione. Al mondo ci sono persone davvero meravigliose 🙂