Il topo e suo figlio – Russel Hoban

il topo e suo figlio

Di solito le favole vengono raccontate ai bambini, ma ci sono alcune, come questa che sto per presentarvi, che possono essere lette con piacere anche dagli adulti.

Il titolo è “Il topo e suo figlio”, l’autore è Russell Hoban, frequentatore di quel genere letterario che prende il nome di “realismo magico” di cui fanno parte scrittori come Italo Calvino, Isabel Allende, Gabriel Garcia Marquez e altri ancora.

Il topo e suo figlio è un unico giocattolo di latta in cui due topi sono uniti per le mani: il padre tiene il figlio dinanzi a sé, e nel suo movimento meccanico lo solleva e balla, occhi negli occhi, indissolubilmente, finché la carica a molla glielo consente.

Dal negozio di giocattoli finiscono in casa di un bambino e poi, come quasi per tutti i giocattoli, vanno a finire tra le immondizie in una discarica. Ed è qui che inizia l’avventura; diventando prigionieri del temibile Topo Manny che sfrutta altri giocattoli di latta per le sue scorribande, per la prima volta il topo e suo figlio sono alle prese con il mondo vero, con la sua vastità, con il senso dell’immenso. Ecco un passo che ho subito annotato: prima di quel momento [il topo figlio] non aveva mai guardato il cielo; anzi, finora aveva visto ben poco della terra, e quel poco era più terribile di quanto avesse immaginato. A tutta prima il gelido scintillio della stella lontana [guardava Sirio] gli parve terrificante; intuiva una distanza così enorme da annientarlo completamente. Ma mentre continuava a fissare quell’immobile fiamma si sentì un po’ rincuorato; se lui non era niente, pensò, allora non erano niente nemmeno quel ratto [Manny] e tutto l’immondezzaio.

Pur essendo lo stesso giocattolo, il topo e suo figlio sono due entità diverse, hanno aspettative diverse e perfino il loro modo di affrontare il mondo e le avversità sono diverse. Il motore che fa muovere il giocattolo è nel padre, ed egli è quello con i piedi per terra, quello concreto, ma anche quello che non sa più cosa voglia dire sperare in un modo migliore, sognare una vita diversa. Il figlio è con i piedi per aria, è vuoto nel suo guscio di latta, ma compensa quel vacuo con i suoi sogni e le sue speranze per il futuro.

Il topo e suo figlio riescono a scappare dal cattivo Ratto Manny e si trovano ad affrontare una serie quasi infinita di avventure ed eventi spesso casuali. Sono in un lungo cammino, quasi un vagabondaggio, cercano un territorio, inteso come un posto dove depositare i propri affetti, renderlo pregno, un luogo che parla di te raccontando chi sei. Ma c’è anche un’altra cosa che rende difficile la vita di questo giocattolo dicotomico ed è la carica a molla. Ci deve sempre essere qualcuno che li ricarichi, per questo motivo il topo e suo figlio sono alla ricerca di una soluzione, qualcuno che possa progettare e realizzare un meccanismo che possa permettere l’autocaricamento e renderli finalmente liberi. Cercano così Topo Muschiato, un saggio roditore che parla in modo strano, forse solo lui può aiutarli. Ci riusciranno? E cosa rappresenta quella carica a molla? Non voglio togliervi il gusto della scoperta, quindi non vi anticiperò nulla in merito, ma spero che la riflessione che ne verrà fuori vi colpisca allo stesso modo in cui ha colpito me.

Questo libro non racconta una semplice favola, parla dei rapporti tra padre e figlio, tra generazioni diverse, di sogni che si realizzano o restano sospesi, di piedi per terra teste per aria. Di amicizia, di scoperte, di avventure, di silenzi e immobilità. Il tempo di un giocattolo non è come quello di un uomo, ecco perché possono permettersi di restare un anno intero immobili nel fondo di un lago, eppure il lettore continua ad andare avanti nonostante l’immobilità dei protagonisti, e qui c’è la genialità dell’autore.

Troppo spesso crediamo che il nostro mondo, quello che percepiamo, sia il mondo intero, e con il nostro metro pretendiamo di misurare ogni cosa. I pesci che vivono da sempre nello stagno creato dalla diga alzata dai castori credono che quello sia il mondo, tutto il mondo, e quando la diga salta e i pesci sono trascinati via, qualcuno di essi urla: «Nel mondo si è aperta una falla!». A volte c’è bisogno di qualcosa che smuova le acque per comprendere che la realtà è molto più ampia di quella che pretendiamo d’immaginare.

La favola di Hoban è così pregna di significati, metafore e proiezioni sul mondo reale, che ne resterete spesso spiazzati, magari farete fatica a comprendere come dei semplici topini di latta possano essere così simili a voi! Ma attenzione, Hoban non rende i topini umani, nel senso antropologico, essi pensano come giocattoli e vivono come balocchi, con i sogni che un gioco potrebbe avere se fosse possibile.

In una società veloce e spietata come quella in cui viviamo, fermarsi a riflettere diventa difficile, quasi impossibile, siamo un po’ tutti come la signorina Zacchera, uno strano animaletto incontrato in fondo allo stagno, ecco le sue parole al primo incontro con i topi di latta: «È tutto così difficile. E naturalmente tutti quelli che sono più grandi di me tentano di mangiarmi, ed io mi do sempre un gran da fare per mangiare tutti quelli che son più piccoli. Così non mi resta molto tempo per meditare».

Nella lunga avventura il topo e suo figlio devono fuggire da predoni, assassini, strani incontri, enigmi, sempre con la paura di scaricarsi nel momento peggiore. Il libro, senza svelarvi il finale, si chiude con lo stesso vagabondo che troviamo nella prima pagina che, guardandoli, alla fine della storia, augura loro di essere felici. Anche questa figura laterale, quasi estranea, pone domande al lettore: chi è e cosa rappresenta questo personaggio? E quel treno che ogni tanto si sente passare? E il ciondolo con la scritta “Il tuo giorno fortunato è…” che passa di mano in mano, cosa rappresenta con quella sua casuale capacità di risolvere gli eventi in modo del tutto inaspettato?

Fate attenzione, Il topo e suo figlio è sì una favola, ma non troverete magie, maghi e incantesimi, troverete invece l’immagine deformata, ma neanche troppo, di ognuno di noi: voi chi sarete il topo o suo figlio? O, magari, solo la signorina Zacchera?

Buona lettura!

 


 

APPROFONDIMENTI

Questa favola è stata pubblicata per la prima volta nel 1967, giusto dieci anni dopo ne è stato tratto un cartone animato che potete vedere in lingua originale qui di seguito:

httpv://www.youtube.com/watch?v=1OWdw1IwdYY

Russell Hoban è del 1925, nasce a Philadelphia da genitori ebrei immigrati in Ucraina. Ha insegnato arte a New York, poi nel 1958 inizia a pubblicare libri per ragazzi. Spazia tra ironia, humour, fantasy, surrealismo e realismo magico. Altri libri pubblicati in Italia: Diario di una tartaruga, La ricerca del leone, Riddley Walker, Si chiamava Lola pubblicato nel 2007.

 

CITAZIONI DAL LIBRO “IL TOPO E SUO FIGLIO”

«Al topino venne in mente il vento gelido che era entrato dalla porta, e la facciona intenta del vagabondo di là dal vetro, col plumbeo cielo invernale dietro di lui. Ora quel cielo era un’oscurità silenziosa che faceva da sfondo al lampione e ai fiocchi di neve. La casa delle bambole era calda e luminosa; la teiera scintillava sulla tovaglia candida. “Io non voglio andare nel mondo” disse» (pag.15).

«In cima a un crinale che dominava la città e dal quale i campi colmi di neve scendevano dolcemente dai due lati, la strada scavalcava un ponte sui binari della ferrovia, rasentava l’immondezzaio cittadino e si perdeva all’orizzonte. Il vagabondo posò il topo e suo figlio sul bordo della strada e diede la carica al padre. “Siate vagabondi” disse, poi si volse e si allontanò col cane alle calcagna» (pag. 20).

«Giù nel buio dell’estate, su nella luce dell’inverno; una dolorosa primavera, un autunno devastante, un disperdersi e un riunirsi. Il nemico, che tu fuggi all’inizio, ti aspetta alla fine» (pag. 34).

«Il vagabondo vide il padre e il figlio circondati dalla loro famiglia e dai loro amici. Vide stagliato contro la notte L’Ultimo Cane Visibile in tutto il fulgore delle sue luci; udì i cori e la gioia che regnavano all’interno; allora sorrise e per la seconda volta parlò al topo e a suo figlio. “Siate felici” disse il vagabondo» (pag.175).

 


editing Maryann Mazzella

 

 

Massimo Petrucci
Seguimi
Latest posts by Massimo Petrucci (see all)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *