Fiaba

– racconto e illustrazioni di Mauro Cristofani –

Un tempo abitava, presso le grandi Spiagge ai margini d’un bosco, Evino il bracconiere con la sua famiglia.

I due figli minori andavano a caccia insieme al padre ed erano talmente scaltri e aggressivi che gli animali, solo a vederli, scappavano impauriti.

Adior, il figlio più grande, era invece un ragazzo mite e malinconico dalle fattezze delicate; aveva occhi cangianti, che alla luce del sole si facevano d’un singolare azzurro.

Egli curava l’orto e il frutteto, e rigogliosi eran gli ortaggi e i frutti; ma poiché Evino era sgarbato e senza riconoscenza verso quel figlio da lui tanto diverso, il ragazzo si rifugiava nell’affetto della madre che teneramente lo amava.

Adior cresceva solitario, non si divertiva ai giochi dei coetanei; preferiva giocare cogli amici animali, coi quali percorreva spensierato il bosco in lungo e in largo, fino al suo limitare con le grandi Spiagge. A quel confine rimaneva a lungo, guardando il mare.

Preso dalle proprie fantasie non s’accorgeva del passar del tempo, mentre uno strano desiderio in lui cresceva. Tornando poi correndo verso casa seguìto da un gruppo di daini fedelissimi che gli aprivano varchi fra la vegetazione, ogni volta si riprometteva di visitar quelle Spiagge e di tuffarsi nel mare…

E una sera gli sembrò che dall’acqua emergesse qualcosa, una forma ben strana che subito scomparve fra i marosi. Adior rimase oltremodo impressionato e seguitò a pensarci per la notte intera, rigirandosi fra le coperte. Voleva convincersi ch’era stata la sua testa sempre tra le nuvole, come il padre gli diceva d’avere, a dar vita alla visione strana. Ma beffarde immagini danzavano nel buio e l’alba lo trovò tutto arruffato, senza aver potuto dormire un solo istante.

Ma su paure e timori, vinse la sua curiosità.

Tornò di buon’ora a quel confine e si mise a guardare fisso verso il mare, un po’ nascosto tra le fronde del bosco a cui chiedeva riparo e protezione. Gli amici daini lo guardarono con occhi lacrimosi, in pena per lui. Ma Adior non li vedeva, preso com’era dall’attesa che sapeva avrebbe avuto fine…

Dopo un interminabile momento, l’apparizione temuta eppur desiderata emerse dalle onde: una smeraldina Creatura, che lungamente lo guardò con bizzarri occhi di giada. Adior ne fu rapito.

Si levò scarponi e vestiti polverosi, sfiorò la sabbia tiepida reso leggero da ali invisibili e si tuffò fra i marosi, accolto nelle braccia squamose della Creatura invitante.

Navigarono avvinti verso la luce infinita, il giorno ridendo alle nuvole e la notte cantando alla luna, in un magico tempo irreale, giungendo infine a Uòmar, dove il profumo inebriante dei fiori può accendere i desideri più vaghi.

“In questo luogo d’amore” disse la Creatura, “ho vissuto in solitudine aspettando l’incontro con un giovane uomo dagli occhi cangianti, e quell’uomo sei tu.” Sulle labbra lo baciò lungamente, ed egli fu finalmente felice.

A lungo il ragazzo dormì, circondato da soffici delfini muti e uranie silenti, cullato da canzoni languide che ripetevano all’infinito le eterne parole d’amore…

Al risveglio, vagò per i giardini d’Alissa dai fiori dorati e il vellutato fogliame, fra le eleganti aquilaie; sostò fra le còndule, che nascono dal seme della gelosia, e fra gli altezzosi eliotani, superbi su steli lunghissimi e molli; varcò i recinti proibiti di Zalia, in cui giovani cosmos danzano appassionati facendosi deliziose moine e le screziate leucantee si sfiorano incessantemente senza mai toccarsi; vide poi gruppi d’ermo giganti nel vortice freddo che acceca, e le timide escalzie avanzare sommesse e impaurite, sostò ad ammirare i superbi danèi, le màrsite e i folòcrati e tutti, tutti parevano immersi nella gioia e nell’appagamento completo.

Non seppe mai quanto tempo passò. Della terra d’Uòmar avrebbe ricordato soltanto un grande bagliore, e la sazietà d’ogni senso.

Ma ad un tratto i giardini seccarono, i canti non s’udirono più, il sole scomparve, Adior ebbe freddo e paura. La Creatura marina vide i suoi occhi cangianti diventare cupi e non seppe come dargli conforto; si nascose nell’ombra, sapendo che il tempo della solitudine sarebbe tornato.

Di antichi splendori, in quel mondo rimase solo qualche fiore avvizzito.

Adior tornò sulla riva del mare e pianse tutte le sue lacrime. Finché un’altissima onda lo avvolse portandolo via, per infrangersi poi sulle grandi Spiagge, ai confini del bosco.

I daini accolsero il nàufrago e lo scaldarono col loro calore, ma il freddo che Adior sentì nel suo cuore sarebbe rimasto per sempre.

Si rimise i vestiti e le scarpe da boscaiolo e camminò senza mèta, prima di rincasare. Non fu mai più stanco come quella sera, né mai più infelice.

 

Si ringrazia Micaela Lazzari per l’editing

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