Io diventerò qualcuno! Bimbi da casting e genitori frustrati

bambini in tvIn origine li chiamavamo bambini. Oggi li chiamiamo stars e ci facciamo abbagliare dai loro dentini di paillettes, dalle loro ugole d’oro, dai loro dribbling con il pallone tra i piedi e dai loro tragicomici ammiccamenti in passerella. Storie di bambini che hanno bruciato le tappe, figli delle frustrazioni e dei fallimenti dei genitori e delle luci della ribalta.

“Io diventerò qualcuno, non studierò, non leggerò, a tutti voi dirò di no. Ecco perché diventerò qualcuno. Se vuoi parlare un po’ con me ti devo addare al mio myspace”. Così canta Michele Salvemini alias CapaRezza da Molfetta nella sua “Io diventerò qualcuno”, canzone di un certo successo datata 2008 contenuta nell’album “Le dimensioni del mio caos”. Questo ritornello rappresenta, a mio dire, la sintesi perfetta di quanto ci propinano costantemente e insistentemente dal fatato mondo della televisione.
Ma ci pensate che oggi c’è perfino la tecnologia 3d?

Insomma non abbiamo scampo e mi viene da pensare ai piccoli d’uomo e al loro unico (vero) momento di celebrità nel giorno della vigilia di Natale sulla sedia durante il cenone quando, in piedi e conciati per le feste (in tutti i sensi visti i vestiti che ci costringevano ad indossare… ricordate il maglione di Bridget Jones con il pupazzo di neve? Ecco…proprio quello stile lì) declamavano poesie e leggevano la letterina.

“Caro Babbo Natale, sono stato buono quest’anno. Vorrei un giocattolo nuovo…”, cominciavano tutte così. Oggi, invece, si scrive (se si scrive e non lo si contatta via facebook) “Caro Lele Mora (ehm… forse non è proprio l’esempio migliore di questi tempi!) mi fai fare un casting?”. Ebbene a sei, sette, dieci anni l’obiettivo non è più il trenino, ma il provino.

Da “Io Canto” a “Ti lascio una canzone” fino a “Chi ha incastrato Peter Pan” (che almeno fa ridere e da’ una dimensione più bambinesca persino allo studio televisivo) c’è un’inappropriata gestione dei sogni dei più piccoli che già in tenera età hanno a che fare con assurde gelosie, competizioni e ipocrisie. Possono cantare di storie d’amore, interpretandole occhi negli occhi? Ballare dei passi a due sulle note di struggenti melodie senza perdere parte della loro ingenuità? Non è forse un paradosso farli sfidare con tanto di codice televoto e poi dire che sono tutti amici?

Almeno un tempo (c’è ancora, ma in pochi se ne accorgono) c’era lo Zecchino d’Oro! Si cantava “Il coccodrillo come fa” (ora lo canta la Clerici) e mica frasi ad effetto come “con te ho perso tutta la mia età”, liberamente tratta dalla canzone “Ragazza di periferia” di Anna Tatangelo (ma Mogol quel giorno che si era fumato?). Certo, Mago Zurlì non era esilarante ma almeno i bambini erano bambini, avevano ancora i denti da latte, storpiavano le parole e si emozionavano davanti alla telecamera.

Oggi no.

Sono persino più pronti degli adulti con il loro bel numerino sul petto in fila durante le estenuanti attese prima del momento in cui “quel suono diventerà blu” come direbbe Vasco Rossi. Belli, scattanti e lucidi come automi, ingabbiati in un diktat che non hanno scelto. E così la terra dei cachi (Grazie Elio per la dritta!) gioca a parti invertite: bambini che fanno gli adulti in quegli orrendi vestiti gessati o con quei vestitini da Winx (ma una volta non si sognava di essere Cenerentola?) e adulti che fanno i bambini, eterni Peter Pan alla ricerca dell’isola che non c’è e che spingono i loro figli verso la via del non ritorno.

Un po’ come per i concorsi di bellezza dove madri attempate, ma che non sanno portare con dignità i segni del tempo (perché l’età a una signora non si chiede! Chissà poi perchè!) accompagnano le spigliate e disinibite figliolette a Miss maglietta bagnata.

Del resto se anche nel famosissimo film del 1951 “Bellissima”, il regista Luchino Visconti fa il verso a madri pronte a umiliare anche inconsapevolmente la loro stessa creatura pur di vederla in primo piano, perché dovremmo sorprenderci nel 2010?
L’essere umano vive di vanità ed è per questo che sempre più spesso vediamo lo scempio dell’infanzia pur camuffando il tutto con frasi del tipo: “E’ solo un’esperienza. La ricorderà per tutta la vita, ma voglio che studi” salvo lanciarlo/a in pasto a produttori dai canini affilati e portatori sani di dollaro (per le loro tasche chiaramente).

Ma quanto pensa una provinciale come un’altra è nulla in confronto alla sentenza espressa dai mass media. Del resto è risaputo, preferiamo figli disillusi forse perché a vivere di illusioni bastiamo noi adulti.

Antonella Caruso

4 Replies to “Io diventerò qualcuno! Bimbi da casting e genitori frustrati”

  1. Allo Zecchino d’Oro i bambini non si accorgevano nemmeno delle telecamere e non esisteva nessuna sfida tra loro in quanto a vincere era l’autore della canzone… ma credo qualcosa sia cambiato anche lì. Io di certo ricorderò sempre la splendida Mariele Ventre che con il suo sorriso e la sua espressività riusciva a far cantare i bambini in tutte le lingue.

  2. Ti dico la verità, non solo concordo con te, ma quelle trasmissioni mi danno veramente una sensazione di ansia, di sgomento, e quindi le guardo appena, di sfuggita: e ringraziando il cielo per i miei due nipoti disordinati, pasticcioni, che amano solo lo sport e divertirsi con gli amici, insomma, normali.

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