Della memoria e dei rami secchi, ovvero da una poesia a un ragionamento sulla politica ferroviaria

Una ossuta acacia dirimpettaia
di due panciuti fichi,
due cespugli di more
ombreggiati da un antico gelso,
un muro di pietra viva
annerito dal respiro di stanche locomotive,
una voce lontana: tana per te.
Ora erbacce,
una traccia di radice ancora interrata
ed il silenzio.
E’ la dismissione della memoria.


La stazione di Montecalvo – Buonalbergo – Casalbore sulla linea Benevento-Foggia è ubicata in una frazione lontano da tutti e tre i centri, in prossimità di un ponte sul Miscano. Sia la stazione che Montecalvo e Casalbore sono in provincia di Avellino, mentre Buonalbergo è in provincia di Benevento. Nonostante la lontananza dai centri abitati, nel passato ha goduto di una discreta importanza con un buon traffico sia viaggiatori che merci. Addirittura nella stazione c’era un piccolo ristorante e c’era un servizio di autobus che collegava lo scalo ferroviario con Montecalvo e Casalbore, oltre ad un’auto a noleggio. La frazione era abitata dai ferrovieri in servizio alla stazione in piccole palazzine di proprietà delle F.S. Oltre ai servizi locali, avevano fermata in questa stazione anche alcuni servizi a lunga percorrenza e ancora alla metà degli anni ’80, l’espresso notturno Roma-Lecce e viceversa fermava qui. La stazione è stata anche sede di dormitorio per i ferrovieri. In questa stazione erano di stanza una o due locomotive aggiuntive che venivano posizionate in coda ai convogli più lunghi in direzione Foggia, considerato che da qui la linea affrontava una lunga salita fino a Pianerottolo d’Ariano. Dalla metà degli anni ’90 lo scalo merci è stato soppresso e pochi anni dopo anche la stazione è stata resa impresenziata.

Attualmente il traffico viaggiatori è molto ridotto e sono tre le coppie giornaliere feriali di treni che effettuano qui la loro fermata.

Le palazzine ferrovieri, ancora in piedi, sono disabitate, il deposito locomotori, il dormitorio e il fabbricato dove ho passato la mia infanzia sono stati demoliti e la frazione è quasi deserta.

Questa è una foto della stessa stazione quando ci abitavo
1954: Stazione di Montecalvo affollata di ferrovieri.

Papà, che era il capostazione titolare, è quello al centro della foto, tra le due signore.

Ci sono centinaia di km di linee ferroviarie, quelle che i manager rampanti di Trenitalia (a 300.000€ all’anno) con tono sprezzante chiamano rami secchi, del tutto dismesse che attraversano l’Italia in lungo e in largo, e che recuperate darebbero impulso ai vari territori e creerebbero nuovi posti di lavoro…

Tanto per fare due conticini partendo dalla stazione di Montecalvo (di cui ho ricordo vivido) e considerando solo il traffico viaggiatori…

per ogni turno di lavoro (3 ogni 24 ore ) c’erano:
un capostazione, un manovale e un deviatore,
2 turni di biglietteria (1 addetto),
più il capostazione titolare.

In totale sono :
3 capistazione
3 manovali
3 deviatori
2 bigliettai
1 capostazione titolare

12 persone

Senza contare i macchinisti di turno per la spinta, gli addetti al piccolo ristorante, lo chauffeur del taxi, gli autisti dei bus navetta, il proprietario dello spaccio e della rivendita tabacchi, i contadini che dalle campagne intorno venivano a vendere i loro prodotti, il maestro della scuola rurale, il procaccia postale.

Oggi lì c’è il deserto.

E chi arriva con uno delle tre coppie di treni o ha la macchina per arrivare nei tre paesi o se la fa a piedi.
E non mi venissero a raccontare la balla che le stazioni dismesse sono in perdita!

Negli anni ’50 mica avevano soldi da buttare per mantenere questi posti di lavoro.

Il fatto è che se i treni non ci sono è ovvio che la gente non li prende!

Basta considerare che una carrozza viaggiatori trasporta 72 persone sedute comodamente.

Una macchina massimo 5 e non stanno comode.

E il viaggio costa di più.

Allora è o no una stupidaggine dismettere le stazioni?



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5 Replies to “Della memoria e dei rami secchi, ovvero da una poesia a un ragionamento sulla politica ferroviaria”

  1. Non so se il signor Raffaele Abbate si ricorda del capostazione Ettore Fiorillo, mio padre, che nel 1958 si trasferì al Nord. Dei compagni di quel tempo (avevo quattro o cinque anni) mi è restato nella memoria un cognome: “Giammetti”. Le case dei ferrovieri, dove abitavamo, me le ricordo proprio davanti alla stazione. La maestra arrivava in treno e una volta mi portò a scuola anche se ancora non avevo sei anni : stanzone buio e affollato dove si studiava tutti assieme dalla prima alla quinta. Altro ricordo: il vagone della “Provvida”; o mi sbaglio?

  2. @Benedetto, di certo ho incontrato il fratello di tuo nonno. La foto risale al 1954. Come si chiamava questo tuo prozio?

  3. Tra le colline di Montecalvo in borgata Santo Spirito c’era la masseria in cui sono nato. Da piccolo stavo le ore a guardare dall’alto i treni che andavano verso Foggia o Benevento; quelli che passavano sul ponte della “Iumara” e si infilavano nella galleria Cristina verso Ariano. Tante volte, tornando dai nonni siamo scesi a Montecalvo e ce la siamo fatta a piedi fino alla masseria. Uno dei primi ricordi: un viaggio in treno con mio nonno verso Zurigo dove mio padre lavorava. Quante volte si prendeva il treno per Benevento per andare dai nonni materni.
    Probabilmente uno dei ferrovieri della foto era il fratello di mio nonno che ha abitato per anni vicino alla stazione.

  4. Il progresso è arrivato di corsa ed ha lasciato dietro le sue spalle questa stazione e quei pochi che ancora abitano nelle vecchie masserie sulle colline intorno.
    Ci son passato qualche mese fa, un viaggio della memoria.

    E’ il deserto totale, anche se in lontananza luccicano al sole alcune antenne paraboliche.

    E poi il silenzio, interrotto dallo scorrere del Miscano in piena.
    Avrei voluto fare qualche foto, ma ne è passata la voglia.

    L’unica presenza umana è un meccanico con l’officina allocata dove una volta c’era la rivendita dei tabacchi e lo spaccio.
    Mi domando quante macchine ripara.

    Mi sono fermato poco distante, nello spiazzo dove una volta c’era la mia casa.
    Il meccanico mi ha guardato con diffidenza e poi è tornato ad armeggiare nel cofano di un furgone.

    Ho gironzolato tra i monconi ancora in piedi della casa, poi ho imboccato il viottolo che porta alla masseria di Giuditta, tra gli alberi ho notato il rosso delle tegole.

    La masseria non c’è più, sostituita da una villetta in cemento.
    Disabitata.
    Una robusta catena arrugginita serra il cancello di ingresso.
    Son tornato in macchina e ripartito.
    Non so cosa mi aspettassi di trovare.

  5. LA SAGGEZZA TRADIZIONALE E SEMPLICE NON APPARTIENE AI NOSTRI ANNI.
    E’ STATA LASCIATA DA PARTE COME QUESTA STAZIONE.

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