Testa Ovale

Ci sono una marea di aneddoti sul rugby.

Gli sportivi italiani ormai ne hanno le palle piene di sentire parlare di sport onesto, di terzo tempo, di sportività vera, di tifosi che tifano per entrambe le squadre.
Possibile? È tutto questo possibile? Il rugby è veramente questo esempio che tutti gli altri sport dovrebbero seguire?
Sì, lo è.
Solo che non è facile spiegarlo. Direi quasi impossibile, per chi è abituato solo al calcio, alla furbata, alla colpa dell’arbitro, alle moviole, al calcio sulle caviglie ogni volta che hai il pallone.
Partiamo da un fatto: a rugby si gioca con un avversario, e non contro.
Dopo 12 anni sono tornato a giocare, qui in Germania. Alla prima partita, dopo 5 minuti mi sono trovato a prendere per il collo un piccolo Scozzese che giocava nell’altra squadra.
Ce le siamo date tutta la partita: una volta me lo sono trovato bello libero davanti, gli ho fatto un placcaggio che credo ancora lo senta. L’azione dopo, sono andato in fuorigioco: i tacchetti della sua scarpa mi hanno rigato per bene tutta la schiena.
Ok, dopo tutto questo, o forse grazie a questo, alla fine ci siamo cercati e abbracciati come amici d’infanzia.
Le docce erano chiuse, abbiamo giocato contro Costanza e allora ci siamo lavati nel lago.
Alla fine, tutti a mangiare e bere assieme.
Anche l’arbitro, con il quale abbiamo riso e scherzato anche durante la partita.
Questo è il rugby sul campo. Rispetto, per l’avversario, per il tuo compagno. Il rispetto per l’avversario arriva a tal punto che se un tuo compagno fa un fallo cattivo, tu lo lasci al suo destino. Se l’è cercata, si arrangi. Sai che sarà punito, sai che finirà sotto in una mischia prima o poi. È successo e succede a tutti, sono regole non scritte che l’arbitro rispetta.
Se due si pestano, normalmente l’arbitro li lascia sfogare, li chiama a se e”Vi siete chiariti? Tutto a posto? La prossima, andate fuori. Avanti, si gioca”


Poi c’è un altro rugby: quello sugli spalti. Avete presenti le rete da pollaio tra la tribuna e il campo? I fossati? La tribuna per i tifosi di una squadra e quella per i tifosi dell’altra? La polizia? Gli scontri?

Nei campi da rugby i pub sono ALL’INTERNO dello stadio. I tifosi siedono in tribuna con il bicchiere di birra in mano, seduti a caso. Sennò come si fanno le amicizie?
E se la squadra avversaria fa una bella azione, segna una meta, be’, io mi alzo e applaudo. Perché dovrei fischiarli se sono stati bravi?

Per finire, un aneddoto: coppa del mondo 2007, Nuova Zelanda contro Portogallo, gli dei del rugby, il massimo del professionismo, contro onesti amatori, gente che per andare a giocare la coppa del mondo ha dovuto chiedere le ferie al lavoro.
La partita è finita 108 a 13 per gli Dei, perché a rugby si continua sempre a giocare, perché smettere di giocare e di segnare è offendere l’avversario non ritenendolo meritevole di giocare contro di te.
Finita la partita, le riserve delle squadre si sono messe a giocare a calcio in campo, così, tanto per fare.
Negli spogliatoi intanto, gli Dei sono usciti dalla loro stanza con 2 lattine di birra per mano, sono entrati nella stanza dei portoghesi e hanno brindato assieme a loro, rendendo loro onore per come hanno giocato, per il cuore che hanno messo.
Non so se questo basti, ma spero faccia almeno intuire le differenze tra calcio e rugby.


Quando si parla di qualcuno che gioca a rugby, in Inghilterra si usa il termine “rugbyman”, uomo rugby, e non “rugby player”, giocatore di rugby: questo per identificare il fatto che rugbysta lo sei per tutta la vita, anche quando smetti di giocare.
Ci sono poche altre categorie di persone o sportivi che hanno l’onore e onere di restare quello che sono state. Una di queste categorie l’ho trovata su un bel libro letto qualche tempo fa: sono i marinai. In particolare, in questo caso, i marinai che comandavano e facevano volare i velieri.
Quando è arrivato il vapore, i vecchi velieri sono stati messi in disarmo, troppo lenti, poco sicuri. E capitani e marinai sono stati messi a riposo, senza preavviso. Congedati da quello che è la loro vita, messi a riposo in panchina, una panchina eterna, costretti a guardare da terra l’andare e venire di navi che più nulla hanno di romantico.
Ma se qualcosa fa parte di te, non ci puoi stare distante. Come si fa a non vivere la propria vita?
L’ultimo veliero di Marcello Venturi è, in un piccolo grande libro, la vera descrizione di cosa sei pronto a fare quando sei costretto a vivere una vita non tua, una vita da calciatore dopo aver calpestato per anni campi (e avversari) da rugby.

Con Affetto

 

IK

 

Giudizio di L’ultimo veliero, Marcello Venturi, Sellerio 2007: bisogna prendere il vento quando c’è.

 

httpv://www.youtube.com/watch?v=au30c9ZMIPg&feature=related

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