C’era una volta Quattroruote [3] L’Economizzatore



di Raffaele Laurenzi

VENNE ANGELO DAGRADA
E PROPOSE
UN ECONOMIZZATORE

Nell’era carburatozoica, quando i motori erano ancora alimentati dai carburatori, a ogni crisi petrolifera o rincaro della benzina c’era qualcuno che inventava un “economizzatore”, un dispositivo che prometteva di ridurre il consumo. Molti automobilisti ci cascavano e lo acquistavano, nonostante Quattroruote si impegnasse a smascherare i truffatori.

Un giorno si presentò in redazione Angelo Dagrada, ex costruttore di monoposto Junior e abile preparatore dei motori Lancia Appia: pure lui aveva ideato un economizzatore. Che, sosteneva, in città faceva risparmiare fino al 25 per cento di benzina.

Considerate le credenziali, Dagrada non poteva essere respinto con un sorrisetto di sufficienza, perciò fu ricevuto con tutti i riguardi. L’accompagnava il signor M., noto imprenditore milanese, che aveva creduto nell’idea di Dagrada e aveva deciso di metterci i soldi: circostanza che rendeva ancor più interessante la proposta. Dagrada era un uomo di grande esperienza. Le sue monoposto Junior – ne aveva costruite una dozzina – avevano colto diversi successi nel campionato 1960, ma non avevano mai dominato sulle Stanguellini con motore Fiat 1100. Poi arrivarono gli inglesi con i motori Ford piazzati alle spalle del pilota e a Dagrada non rimasero neppure le briciole. Finì allora la sua avventura di costruttore di monoposto.

A parere dei miei colleghi più anziani, il guaio di Dagrada era quello di essere rimasto fedele al motore Lancia a V stretto: costoso, complicato, apprezzato dagli esteti dell’automobile per la sua elegante architettura, che tuttavia non offriva vantaggi decisivi rispetto ai “quattro in linea” concorrenti, a parte il minore ingombro longitudinale, di cui però non si sentiva bisogno. Ma una volta, per molti costruttori automobilistici, l’originalità tecnica era un valore: caratterizzava il marchio, lo distingueva dalla concorrenza. E a volte, come nel caso della Lancia, lo portava al fallimento.
Io conoscevo Dagrada per averne letto. Da ragazzo seguivo lo sport automobilistico e comperavo regolarmente Auto Italiana, settimanale sportivo edito, come Quattroruote, dall’Editoriale Domus.
La redazione della rivista era a Roma, ma a Milano aveva una “dépendance” in via Monte di Pietà 24, proprio di fronte alla redazione di Quattroruote, che invece era al numero 15, in un bellissimo palazzo d’epoca. Quando mi annoiavo, attraversavo la strada e andavo al 24, a parlare di corse, macchine e preparatori con Adriano Ceci, giornalista e fotografo, corrispondente da Milano di Auto Italiana.
Adriano conosceva bene Angelo Dagrada. Per lui aveva simpatia e ammirazione. Raccontava che nell’officina lungo l’Olona, dove campeggiava l’insegna del coccodrillo, Dagrada faceva ogni giorno due miracoli: uno tecnico, l’altro economico, perché la formula Junior attirava tanta passione, ma poca moneta.
Alla fine di quella stagione sportiva poco fortunata, Dagrada si allontanò dalle competizioni. E ora eccolo qui, nella “stanza imbottita” della redazione di Quattroruote, così detta per via della tappezzeria che rivestiva la porta, dove lavoravamo in tre: il caposervizio Raffaele Mastrostefano, la redattrice Clelia d’Onofrio e il sottoscritto.

Facile immaginare la mia curiosità e la mia emozione nel trovarmi davanti quell’anziano signore, un po’ intimidito per il fatto di essere fuori dal suo habitat naturale: un’officina piccola e umida, “arredata” con blocchi motore, testate, scatole cambio e differenziali.

Tutto questo accadeva nella primavera del 1974, perciò a pochi mesi dalla crisi petrolifera scoppiata dopo la guerra del Kippur (autunno 1973), che aveva spinto il prezzo della benzina verso le 500 lire il litro. In quel contesto, l’inventore di un economizzatore, che avesse economizzato davvero, si sarebbe guadagnato il Nobel. Mi aspettavo che Mastrostefano, detto “il Mastro”, avrebbe ascoltato con scetticismo l’idea di un economizzatore perfino se a proporlo fosse stato un premio Nobel. Ma qui si trattava di Dagrada, uno che riusciva a cavare fino a cento cavalli da un motore ostico come quello dell’Appia. Non solo: il dispositivo era finanziato da un imprenditore noto e accorto, pronto ad accollarsi tutte le spese. Perciò la curiosità di andare a vedere le carte che i due avevano in mano era forte anche per il Mastro, sebbene in redazione ci ponessimo tutti una domanda dalla risposta scontata: possibile che un piccolo artigiano riesca là dove non sono riusciti i tecnici di una casa automobilistica?

Mastrostefano andò dritto al sodo: 25 per cento in meno? Com’è possibile?
“È possibile – rispose Dagrada – perché io sostituisco il getto di serie del carburatore con un getto di diametro inferiore: passa meno benzina, perciò si consuma di meno.” Il Mastro sorrise: “Ma così il motore non può funzionare bene. Se fosse possibile ridurre il getto, crede che il progettista non lo avrebbe già fatto?”
Dagrada appoggiò sulla scrivania del Mastro una scatola di cartone e ne estrasse un oggetto di metallo: “Ma io ci metto questo, una flangia da applicare al carburatore: praticamente un secondo tubo Venturi che migliora la miscelazione aria/benzina e ristabilisce il giusto rapporto stechiometrico.” E così dicendo porse a Mastrostefano l’oggetto miracoloso.
Intervenne lo sponsor: “Siamo qui perché vorremmo la conferma di Quattroruote. Un vostro test su strada potrebbe provare in modo inconfutabile l’efficacia del dispositivo.”
Dagrada e lo sponsor mostrarono al Mastro i dati dei test che loro stessi avevano condotto, con e senza economizzatore, sullo stesso percorso, al volante di una Fiat 124. Il consumo l’avevano misurato mediante rabbocco del serbatoio: il risparmio risultava evidente. Perciò erano sicuri del fatto loro e pensavano di cavarsela con una prova analoga fatta e firmata da Quattroruote.
Il Mastro li fermò subito: i dati raccolti con quel metodo non erano attendibili, perché erano “inquinati” da almeno due variabili: il traffico e quello che a Quattroruote chiamavamo “fattore umano”, cioè il pilota. Anche il metodo del rabbocco del serbatoio non permetteva di misurare con precisione la benzina consumata. Bastava una bolla d’aria o una differenza di temperatura della benzina per falsarlo.

Con molta pazienza, Mastrostefano spiegò che il solo modo di misurare i consumi e metterli a confronto era quello di rilevarli a velocità costante lungo una base misurata e pianeggiante, come faceva Quattroruote e come facevano le stesse case automobilistiche. In secondo luogo, la misurazione della benzina non doveva essere fatta per rabbocco del serbatoio, bensì con uno speciale apparecchio in grado di rilevare variazioni minime. Combinazione, nella nostra officina di Rozzano ne avevamo uno, che l’Isam (Istituto Sperimentale Auto e Motori di Anagni, Roma) aveva dismesso per sostituirlo con un altro più piccolo e più facile da trasportare, ma ugualmente preciso. Tutte le spese sarebbero state a carico del finanziatore di Dagrada, signor M.

La Fiat mise a disposizione di Quattroruote una 131 1600 con pochi chilometri all’attivo. Misurammo il consumo alle varie velocità e tracciammo su carta millimetrata una curva che risultò uguale a quella della prova su strada dello stesso modello, effettuata poco tempo prima.

A questo punto, i collaudatori di Quattroruote, Giulio Pusinanti e Gianni Gatti, montarono sulla vettura il kit Dagrada e ripeterono la prova.
Caspita, la riduzione del consumo a pari velocità c’era ed era evidente, anche se ben lontana da quel 25 per cento dichiarato da Dagrada. Comunque un risultato straordinario, considerato che si otteneva con un dispositivo da pochi soldi.

Però… Però i collaudatori notarono fin dall’inizio che il motore della 131 non dava il massimo. Una certa riduzione della velocità si poteva anche accettare a fronte di una importante riduzione del consumo, ma il calo di prestazioni e i “buchi” di carburazione in accelerazione e ripresa si avvertivano in modo netto. In altre parole, la guida era infastidita da vuoti di potenza imbarazzanti.

A questo punto Mastrostefano sospettò che la flangia messa a punto da Dagrada, cioè il dispositivo che doveva favorire la miscelazione aria/benzina, non servisse a nulla. Fece ripetere i test mantenendo il getto di diametro inferiore, ma senza la flangia Dagrada. Risultato: stessi buchi di carburazione, stesse prestazioni ridotte, stessi consumi. Era la prova che, purtroppo, anche quell’economizzatore, benché “firmato”, non serviva a nulla: il risparmio di benzina era dovuto unicamente al getto di diametro inferiore a quello di serie.

Venne il giorno in cui i risultati delle nostre prove furono mostrati ad Angelo Dagrada e al suo sponsor. Il Mastro era imbarazzato, perché aveva capito la buona fede di Dagrada e non avrebbe mai voluto comunicargli una bocciatura così netta.
I due osservarono grafici e tabelle, si scambiarono i fogli, ascoltarono le spiegazioni di Mastrostefano, restarono in silenzio. Finché il signor M. sussurrò: “Se le cose stanno così, lasciamo perdere”.

L’economizzatore di Dagrada non entrò in produzione; la prova non fu mai pubblicata; il signor M. dirottò i suoi investimenti nel campo dell’elettronica ed ebbe successo.
Qualche settimana più tardi, salii le scale al numero 24 di via Monte di Pietà e incontrai Adriano Ceci. Gli chiesi di Dagrada. Disse che si erano sentiti per delle fotografie di Giancarlo Baghetti e Dagrada gli aveva raccontato che stava ancora lavorando al suo economizzatore, che doveva perfezionarlo, che lo aveva montato per prova sulle automobili di certi suoi clienti, che il risparmio era evidente… Non si era arreso.

 

Gamy Moore
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