Anche nel Palazzo dei Veleni è arrivato il ferragosto. Il mostro di antica pietra e sbarre è sprangato, gli enormi scuri sigillati, gli allarmi innescati, e il custode si è asserragliato nel suo alloggio con due troione ucraine e una provvista di vodka sufficiente a risanare il debito pubblico dell’ex Unione Sovietica. Nei tetri chilometri di corridoi non si vede anima viva, o meglio, non si dovrebbe vedere, invece sul lucido pavimento tirato a cera dell’atrio principale si riflette un’ombra, una figura macilenta e scheletrica. Un fantasma. Non proprio viva, come anima, ma pur sempre anima… in pena.
Mi presento, mi chiamo Desdemolo e sono l’ultimo fantasma rimasto nel Palazzo dei Veleni. Non sono di nobile lignaggio, ero soltanto un servo, uno dei tanti figli di un mugnaio venduti per la povertà al signore del luogo, che mi mise a morte perché avevo rubato un po’ di cibo dalle cucine. Mi fece rinchiudere in una segreta ad agonizzare, sono morto di fame rosicchiandomi le dita dei piedi. Però la mia triste dipartita non mi ha tolto il buonumore, anzi, ai bei tempi ero sempre l’anima della comitiva. Eh sì, una volta eravamo in tanti, un esercito di gente è morta tra queste mura, prigionieri, torturati a morte, fanciulle renitenti ai voleri del Signore, e più recentemente impiegati che erano andati in archivio a cercare una pratica e non avevano più trovato l’uscita. Ai bei tempi eravamo proprio un’allegra compagnia, avreste dovuto esserci per le feste di Ognissanti, che adesso questi stupidi viventi chiamano Halloween come se lo avessero inventato gli americani. Balli, luminarie, scherzi, travestimenti… Ah sì, allora ci si divertiva. Poi i miei amici hanno cominciato ad andarsene, uno dopo l’altro, a causa della puzza. Noi fantasmi siamo molto delicati, il nostro olfatto è acutissimo, e non sopportiamo il lezzo che emanano i vivi. Non parlo di piedi non lavati o di ascelle sudate, gli odori che sentiamo noi sono quelli dell’anima, e non ce la facciamo a vivere in mezzo al fetore dell’inganno, della menzogna, della delazione, del servilismo e del carrierismo. Insomma, da quando questo palazzo è stato adibito a uffici, è cominciata la migrazione.
La maggior parte dei miei amici si è sistemata nei supermercati, e si trova bene. Se sapeste quanti fantasmi ci sono al Lidl… Di giorno si fanno piccini piccini e dormono tra gli scaffali, e la sera, quando anche l’ultimo schiavo viene lasciato libero, dopo aver pulito i pavimenti con la lingua, aprono una scatola di dolcetti tedeschi, qualche birra, e aspettano l’alba raccontandosi le storie del passato, va beh son sempre quelle, ma come volete che passino il tempo i fantasmi? Invece io sono rimasto qui. Sono allergico al glutine, alla mia età i cambiamenti non mi piacciono, e poi c’è il mio amico Merlino. Il mio migliore amico. All’anagrafe è solo un gatto, ma nella vita è ben di più, è un Saggio Samurai, un Guerriero Errante, un Cavaliere Senza Macchia e Senza Paura, e tra gli scherzi da organizzare e le donzelle da salvare il tempo vola. Ah, eccolo che arriva, lo sento. Solo noi fantasmi possiamo udire il passo del felino… Ma se il felino strilla in questo modo, lo sente anche il custode al decimo stadio della sbronza, che avrà mai da urlare quello stupido gatto?
“Des, Des, vieni avanti vecchio mucchio d’ossa, c’è un problema”. Odio quel diminutivo da ragazzino scemo, glielo avrò detto un milione di volte, e gli rendo pan per focaccia. “Cosa c’è, Merly? Perché urli in siffatta guisa?”. “Vecchio cartoccio, datti una svegliata. Il direttore ha rinchiuso un co.co.co. nel suo ufficio”. Naturalmente non sopporto quel viscido lumacone del dottor La Serpe, tra tutti gli umani puzzolenti è quello che emana il fetore più disgustoso, perfino un mucchio di topi morti profuma più di lui, ma non capisco per quale motivo abbia rinchiuso una gallina nel suo ufficio, e proprio a ferragosto. Pazientemente Merlino mi spiega, un co.co.co. è uno dei nuovi tipi di contratto di lavoro flessibile con cui possono obbligare una persona a chinarsi a novanta gradi ed essere a totale disposizione dell’azienda 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, per qualunque tipo di servizio, in cambio di un pugno di spiccioli. “Ho capito, come i servi della gleba! Ma non erano spariti?”. “Beh, stanno tornando” mi risponde il mio amico. “Il direttore ne ha chiuso uno nel suo ufficio. Lo dobbiamo salvare, Des, è ferragosto”.
“Va bene, va bene tutto, basta che la smetti di chiamarmi Des” e saliamo l’imponente scalone di marmo che porta agli splendidi uffici del dottor La Serpe. Diamine, Merlino ha ragione, e quando mai non ce l’ha? In uno sgabuzzino troviamo un ragazzo pallido e spaventato, bianco come una mozzarella, e non può diventare più pallido di così quando vede entrare un gatto e un fantasma coperto di stracci. Non mi sono mai cambiato d’abito da quando sono stato rinchiuso nella segreta in cui sono morto, e non ne vedo la necessità, se poi i vivi hanno qualcosa da ridire se ne parlerà tra un centinaio di anni, vedremo se avranno ancora voglia di seguire la moda. Il ragazzo, come dicevo, non fa una piega, e si presenta. Ha due lauree e un master, conosce perfettamente cinque lingue tra cui il russo, ma il direttore lo ha preso in odio perché l’ufficio personale stavolta si è sbagliato, gli ha mandato un maschietto quando è risaputo che lui vuole solo femminucce dalla quarta misura in su, così cerca in tutte le maniere di rompere il suo pur miserabile contratto e mandarlo via. La vigilia di Ferragosto gli ha ordinato di rimettere a posto il suo immenso archivio con le schedature di tutti i dipendenti che sono transitati nel Palazzo dei Veleni, in ordine alfabetico, per data, per classifica di protocollo, per codice Dewey, per… per… per… entro il 16 agosto, e il ragazzo molla un calcio alla pila di cartacce più vicina e scoppia in orrende bestemmie. “La mia ragazza mi aspetta al mare e io sono chiuso qui dentro, quel porco mi ha anche sequestrato il cellulare e minaccia di non pagarmi nemmeno i mesi che ho già fatto, per inadempienza contrattuale”.
“Su coraggio amico mio” cerco di consolarlo, e così dicendo lo abbraccio, o almeno ci provo, ma il mio braccio gli passa attraverso. Come sono difficili i rapporti con i vivi… “Come ti chiami?” gli chiedo. “Maicol. Maicol scritto così come si pronuncia. I miei genitori mi volevano chiamare come George Michael ma né loro né l’ufficiale d’anagrafe sapevano l’inglese, così è venuto fuori Maicol”. “Coraggio” gli abbiamo detto io e Merlino “Il falegname della piazza si chiama Geiar. Non sappiamo che film hanno visto i suoi genitori, ma di sicuro c’era qualcosa di sbagliato nel pop corn”.
“Segale cornuta!” si ode una voce tonante. “La segale cornuta è famosa per i suoi effetti allucinogeni! Di certo in mezzo ai chicchi di mais c’era della segale cornuta!”. Era arrivato il professor Scipione, un altro dei gatti della colonia di Piazza delle Erbe, forse il più suonato. “Scipione calmati e stai tranquillo, c’è un problema da risolvere”. “Il mio mestiere è risolvere problemi, chiamatemi Mister Wolf” replica Scipione, che da quando ha visto Pulp Fiction a casa degli umani di Beatrice non è più lo stesso. Merlino, il nostro Saggio Samurai, impone la calma. “Ho un piano”. E chi poteva dubitarne? “Adesso tu, Maicol, chiami il direttore e gli dici di venire qui subito, che non ce la fai a finire il lavoro, che ti rassegni e te ne vai, ma lasci il posto a tua cugina Svetlana, appena arrivata dalla Bielorussia”. “E con cosa lo chiamo, che mi ha sequestrato il cellulare?”. “Con questo” e gli porgo un telefonino rubato al custode. Va bene, sono un fantasma, sono antico, ma anch’io ho bisogno di tenermi in contatto con gli amici, ho pure il profilo su Facebook.
“E il numero?”. “Eccolo” e Merlino gli porge un’agenda trafugata da poco alla segretaria. Maicol è un ragazzo sveglio, sa recitare veramente bene al telefono. “Sì dottore, me ne vado, mi rendo conto di non essere adeguato al compito, di non essere… insomma… all’altezza delle sue aspettative… ma ci terrei tanto, lei mi capisce, a presentarle mia cugina Svetlana, sì ha solo diciassette anni ma adora i maschi latini, impazzisce per loro, ma come, non glielo avevo detto, mia madre è bielorussa, ho dodici cugine a Minsk, sì una più bella dell’altra, dai quindici ai ventiquattro anni, certo che sarebbero felicissime di ospitarla, quando vuole dottore, sì adesso le passo Svetlana” e mi allunga il telefonino. Ora, se c’è una cosa che so fare bene è il puttanone russo, il custode ne porta a casa a carrettate e ho imparato perfettamente a imitarne la voce per combinargli gustosissimi scherzi. Al telefono ho dato il meglio di me. “Sì amore, DA, ti aspetto, io pazza per maschio latino, DA, amore, tu porta champagne e io fare a te cose come orso”.
Il dottor La Serpe è al mare con la moglie e i figlioli, ma non fa in tempo a spegnere il telefonino che è già in autostrada. “Quanto ci vuole dalla riviera a qui?”. “A tavoletta, mezzora. Più il tempo per comprare il Viagra”. “Non gli serve, ha i cassetti pieni” e mostro ai miei amici la scorta di pillole blu che l’esimio direttore conserva in uno scomparto chiuso a chiave, ma cosa sono le chiavi di voi viventi per noi fantasmi? “Avanti ragazzi, abbiamo solo mezzora, venite con me”. Ricordo benissimo la segreta in cui mi hanno rinchiuso a morire di fame, la uso ancora come sala di lettura per i cuccioli della colonia felina di Piazza delle Erbe. Prima di tutte quelle sciocchezze sui vampiri, e Bella e Edward e blablabla, ai ragazzi piaceva la vera letteratura, ricordo che diventavano pazzi per i racconti di Edgar Allan Poe, e quando leggevo Il Pozzo e il Pendolo trattenevano il respiro, puntavano le vibrisse e drizzavano il pelo sulla schiena come tanti piccoli Velociraptor. Grande racconto, Il Pozzo e il Pendolo. Ora la mia segreta è inaccessibile ai vivi, l’hanno murata durante la costruzione dei caveau, ma i fantasmi e i gatti non hanno problemi a trovarla, e neppure a sistemarla alla bisogna. Se c’è una cosa che riesce bene a noi fantasmi è il trasloco, lo spostamento con la levitazione è divertentissimo, così abbiamo attrezzato la segreta col tavolaccio fratino che usa Maicol come scrivania. La grande lama tagliente a forma di pendolo è stata facile da trovare, basta una delle affilatissime sciabole custodite nelle teche dell’atrio, e in quanto al meccanismo, Maicol è anche ingegnere e lo prepara in pochi minuti. Per evitare che quel viscido mollusco di La Serpe riesca a tagliare le corde con lo stesso stratagemma del protagonista del racconto, mi accordo con Rasputin, il re dei topi di fogna che infestano i canali del sottosuolo. Merlino non lo sopporta, ma io gli sono affezionato, l’ho visto crescere e gli ho insegnato tante cose, dopo che era rimasto solo perché aveva divorato i fratellini e anche la mamma.
Appena finita l’accurata preparazione della scenografia, sentiamo il rombo della potente macchina sportiva del dottor La Serpe che prende posto nell’ampio parcheggio a lui riservato, e ci apprestiamo all’accoglienza. “A te l’onore” sussurro a Maicol mentre gli porgo la mazza ferrata presa in prestito da un’armatura, e devo dire che il ragazzo ha un bel tiro, lo vedrei bene come battitore. Quando l’esimio direttore, imbavagliato, riprende conoscenza, è legato al tavolaccio, nudo e completamente cosparso del ragù di lepre che Merlino ha rubato al custode, i topi di Rasputin stanno stappando il sangiovese per accompagnare il gradito pranzo di ferragosto e io sto chiamando gli amici fantasmi del Lidl per una gara di scommesse. Quando sarà segato a metà dal pendolo, sarà ancora vivo oppure i topi gli avranno già divorato gli organi vitali? E da dove cominceranno? Dagli occhi? Da quel mollusco che lui si ostina a considerare un membro virile? Dalle palle rinsecchite? E lasceranno il fegato ai cuccioli, come mi sono sempre raccomandato, perché contiene ferro e fa bene alla crescita?
Tuttavia Merlino, il nostro avveduto e saggio Samurai, interrompe le mie fantasie. “Maicol, hai la patente?”. “Ovvio che ce l’ho”. “Non è così ovvio, noi siamo gatti e lui è un fantasma, noi non abbiamo la patente. Bisogna portare via da qui la sua macchina, altrimenti lo cercheranno”. Come sempre, il nostro Merlino pensa a tutto. “Bisogna riportarla al mare, la lasciamo nel parcheggio di un locale di Lap Dance, ne conosco uno veramente carino a Pinarella, si chiama Ho tanta voglia di… puntini puntini…”.
Inutile chiedersi perché i vivi abbiano tanta voglia di puntini puntini, ormai non capisco più i tempi moderni. Sto per comporre il numero della Lidl per invitare i miei amici alla gara di scommesse quando Merlino mi chiede: “Des, sei mai stato in Riviera?”. La domanda mi sconvolge. “Merly, amico mio, ti ricordo che io sono vissuto ai tempi del Sanguinoso Mucchio. Non ho mai visto nemmeno il mare”. I miei amici si scambiano uno sguardo tra la pietà e la presa per il culo. Maicol sfila le chiavi dai pantaloni del dottor La Serpe, che salutiamo con un simpatico “Ti spiezzo in due”, richiudiamo accuratamente ogni fessura delle mura larghe un metro e tutti insieme partiamo per la Riviera. Io e Maicol davanti, Merlino e Scipione dietro, la bottiglia di champagne passa di mano in mano e finisce fin troppo in fretta.
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