Dal diario di un’olandese volante (n.20 – Federer forever!)

di Endriu

Via IrnerioFinita l’esperienza del rifugio, tornai a Bologna, nel nuovo appartamento in via Irnerio. Avevo cambiato casa all’inizio dell’estate. Non era tanto per la suoneria del telefonino di Gigia, che nel frattempo si era trasferita nell’unica stanza singola della casa, cioè l’ex-sgabuzzino (Dal diario di un’olandese volante n. 3). Venne sostituita da Lara, una ragazza veneta, e si sentiva proprio. Sembrava che avesse sempre da lamentarsi, solo a giudicare dalla cadenza veneta. Poi stava al telefono col ragazzo in continuazione – sì, pure lei! – dove si lamentava davvero, di quant’era stanca, di quant’era difficile, di quanto le mancava. Poi dicono che sono seria io?!

Comunque Lara era abbastanza simpatica, mi ha pure ospitato un week end a Grado, lì sopra Venezia, dove il suo ragazzo lavorava in uno di quei campi di…ehm, come si chiamano…ah no, ecco, villaggi turistici. Che tristezza! Non so se è peggio per chi ci lavora o per chi ci va in vacanza. Ma mi sono abbastanza divertita: ho giocato a tennis, o almeno ci ho provato, e poi ho scoperto UNO. Ecco dove l’ho conosciuto! Ancora prima dei tempi del forte di Verona (Dal diario di un’olandese volante n. 9) dunque. Lara era onesta e un po’ ingenua, senza apparenti pregiudizi, una rarità tra gli italiani, e l’ho apprezzata per quello. Devo ammettere che l’ho anche odiata un pochettino, essendo diventata subito amicissima delle tre sorelle sceme. Io non ce l’ho fatta, nonostante fossi stata in casa più tempo di lei, e questo ovviamente mi ha fatto ingelosire. Ma le devo molto, perché mi ha fatto conoscere i Giardini di Mirò, i mitici Giardini di Mirò. Quando ascolto Everything is static, mi viene in mente lei con i suoi capelli neri e lisci, Grado, la spiaggia dove abbiamo giocato a UNO… 

bambina in palestraParlando di tennis, mi viene in mente un altro episodio semi-amaro e anche imbarazzante. La palestra. Ora io non sono una a cui piace esibirsi nello sport. Anzi. Il trauma più grande della mia infanzia è stato la ginnastica: alle medie, ogni tanto ci facevano fare delle cose orribili, tipo salire sulla trave, sul cavallo con maniglie, le parallele asimmetriche… Mi vengono i brividi solo a descrivere questi oggetti, tortura pura! Avevo paura di cadere, di fare brutta figura. In quei tempi ero un po’ cicciotella, diciamo, e dunque oggetto di bullismo da parte di menti inferiori nella mia scuola. Se mi mettevo pure uno di quei schifosi completi da ginnastica (il mio poi era rosa, tanto per non far mancare nulla ai bulli), mi sentivo proprio una vacca! Mi vergognavo anche perché non ero capace. Tipo se dovevamo appoggiarci sullo staggio e voltare intorno col corpo, a mo’ di fare un giro, io arrivavo solo a piegarmi a metà e poi finiva lì, cioè rimanevo sospesa, come un sacco di patate buttato sopra una sbarra. Un Fantozzi inseguito da un branco di cani che cerca di cavalcare un recinto di ferro, ma rimane col culo in su e i cani che… Ahia

Peggio ancora quando dovevamo partire dallo staggio superiore per fare un giro all’indietro, usando lo staggio inferiore come una specie di pedana. Ma la gravità non è la mia miglior amica, e rimanevo sospesa come una scimmia appesa ad un ramo di albero. Un altro esercizio consisteva nell’appoggiarsi sulle mani, per terra, buttando le gambe in su contro un muro, e rimanere ‘in piedi’ così. Io sono arrivata a buttare le gambe in su ma poi la comunicazione tra corpo e cervello si è interrotta e mi sono accartocciata su me stessa. Crollata, praticamente. Le mie braccia semplicemente non capivano! E io tuttora non capisco. Ma perché bisogna imparare a camminare sulle mani, scusate? Manco dovessimo essere preparati a fare dei provini per il circo!

Con gli sport di squadra non andavo molto meglio. Non che non mi piacessero, ma quando dovevamo comporre delle squadre, prima della partita, e i ragazzi duri potevano scegliere chi prendere dentro la propria squadra, beh, avrete capito. Io ero una di quelle che veniva scelta per ultima, o quasi. E con questo siamo al posto n. 2 della mia lista di Trauma Sport Adolescenza. Mi sembra di ricordare che facevo sempre la gara mentale con alcuni altri sfigati, perché quando capitava che non eri l’ultima ti salvavi la giornata. Ma come ho detto, non è che non mi piacevano, e non facevo cagare del tutto. A basket, per dire, andavo abbastanza bene, e anche il baseball mi piaceva. Peccato solo che non riuscivo mai a tirare la palla col bastone, essendo orba. Poi quando giocavamo nel campo recintato di fianco alla scuola, era un vero incubo per me, non essendo in grado di cavalcare il recinto di ferro: quando una volta è andata fuori la palla, e toccava a me prenderla perché ero più vicina, rimasi a guardare la palla da dietro il recinto, dentro il campo cioè. Tipo il cagnolino che ha paura di entrare nel mare e rimane sulla spiaggia a guardarlo, come un imbecille. I ragazzi più grandi mi hanno insultato per la pelle! Ma che sadismo poi, far giocare i ragazzi più grandi con quelli più piccoli. 

Roger FedererA pallavolo non andavo molto meglio: quel tipo di palla è troppo dura per me, e non riuscivo a lanciarla con le dita, come si deve fare. Quindi usavo sostanzialmente il pugno, ed essendo appunto orba, il più delle volte mandavo le palle in cielo. Era sempre un po’ una suspense: dove andrà stavolta? Dove la manderò? Con gli altri che si coprivano la testa quando stavo per colpire, a mo’ di prevenzione. E non parliamo del nuoto: non ho mai imparato a scendere nel fondo della vasca a prendere gli stupidi cerchietti. Ma che, dovevamo imparare a fare i bagnini?! Io tornavo semplicemente su a galleggiare, come un gommone. Il calcio, invece, non era un grosso problema, intanto è solo correre e dare dei calci ad un pallone. Mai capito quel gioco lì. Tennis non si faceva a scuola, solo l’inutile badminton, una specie di fratello sfigato. Mi ero appassionata al tennis quando andavo all’università, in Olanda. Insieme a Ioana, la mia amica brasiliana. Siamo pure andate a vedere Roger Federer a Rotterdam, all’ABN AMRO World Tennis Tournament, e a chiedergli un autografo. L’abbiamo beccato dopo l’allenamento, insieme a una ventina di ragazzini: immaginatevi una piccola marea di bambini, poi noi due che spuntavamo come due fari, che imbarazzo! Siamo tuttavia riuscite a vederlo anche giocare, illegalmente. Avevamo dei ticket validi solo per il pomeriggio, poi bisognava uscire ed entravano quelli che avevano il ticket per la serata. Noi, invece, ci siamo nascoste dietro una porta, in qualche corridoio, poi quando abbiamo visto la gente entrare e diffondersi per il palazzo, ci siamo buttate in mezzo, e nessuno se n’è accorto! Haha, che vittoria. Non abbiamo visto l’intera partita di Federer, visto che dovevamo tornare a casa e si faceva tardi, però ha vinto. Federer forever! 

spinningCon Ioana poi ci siamo iscritte alla palestra universitaria, che si trovava nell’orripilante campus dell’Università di Utrecht, fuori città. Era un complesso di edifici in cemento, in stile moderno ma non per questo bello (o anche solo guardabile), dove mandavano i secchioni fisici, astrofisici, neurobiologi, etc. Per anni fu anche il luogo preferito di uno stupratore che non sono mai riusciti a prendere, il che ha reso ancora più attraente il campus. Ma noi andavamo solo a giocare a squash. Io facevo pena, come previsto, ma ci siamo divertite da matti. Non facevamo altro che fare le cretine. Ogni tanto mi arrabbiavo, perché Ioana ci vedeva più di me ed aveva pure una bella forza, costringendomi a correre come una pazza per fare qualche punto. Ma è lo stesso. Arrivata a Bologna, qualche anno dopo, volevo riprovarci. Aò, c’ho la testa dura. Non per forza lo squash, ma almeno qualcosa che mi portasse fuori dalla casa mortuaria, ogni tanto. Magari avrei conosciuto anche qualcuno di nuovo! Così mi iscrissi prima a spinning, poi a fitboxe e, infine, al tennis. Lo spinning, per chi non lo sa, è un’attività aerobica di gruppo, su bicicletta fissa. In fondo ero olandese e non potevo certo resistere a non andare in bicicletta?! Poi ci mettevano la musica, ed era carino. Fare conoscenze nuove però era difficile. Intanto la metà delle persone che partecipavano ci andavano in coppia, e di conseguenza erano chiuse ad amicizie nuove. Gli altri erano dei casi sociali, tipo il ciccione che – alla fine, nel tempo di rilassamento – cominciava a cantare Cause I’m your lady, and you are my maaaaan, con tanto di voce da donna… 

tennisAllora passai al fitboxe. Forse perché li vedevo quando venivo a fare spinning, e mi sembrava divertente sfogarmi a picchiare il sacco, a tempo di musica. Anche lì ci ho provato ad agganciare qualcuno per un’amicizia, ma niente. E quindi presi LA decisione. Il tennis. Lo adoravo. Potevo guardarlo 24 ore su 24. Il mio sogno era di fare la fidanzata di un Federer, o anche il numero due o tre della ranking, poco importa, basta poter girare il mondo e non fare altro che guardare partite. Ma volevo pure essere in grado di giocare: mi immaginavo fare dei gran punti, battere Serena Williams con dei rovesci da paura, oppure un dritto micidiale, lì lì lungo la riga, appena dentro! Oueeee, il pubblico urla entusiasta, ho un matchpoint, sto per vincere Wimbledon, mi butto sulle ginocchia in lacrime, grazie grazie!!!!! 

Eh no, la mia vita reale non era un granché, in quel periodo. E quindi ci speravo molto, nel tennis, anche solo per imparare il gioco di base e potermi sfogare sul campo, facendo finta di essere Kim Clijsters. E invece fu il disastro totale, il terzo trauma nella mia top 3: non vedevo la palla, battevo l’aria, ero oltre Fantozzi! Poi il mio braccio ha un cervello per conto suo, non faceva mai quello che gli dicevo. Il tutto fu peggiorato dal fatto che ero semi-innamorata dell’insegnante, un ragazzo giovane con degli occhi bellissimi. E volevo tanto fare bella figura. In realtà l’ho fatto disperare. Una volta addirittura ha chiamato il suo capo per spiegarmi come fare un movimento: lui non ce la faceva più! Diceva sempre che ero troppo tesa, che il braccio si bloccava. E come facevo a sbloccarlo?! Inoltre c’era una tipa nel gruppo che lo stava seducendo in diretta, quindi ciao. Gliel’ho data su dopo un anno. La tensione prima della lezione era diventata troppa, poi avevo capito che lo sport non fa per me. Meglio guardarlo su uno schermo. 

Tutto sommato, il fatto di trasferirmi in via Irnerio non era dunque tanto per la compagnia di stanza. In via Irnerio ne avrei trovata una molto peggio della Gigia. Con Lara, invece, andavo abbastanza d’accordo, anche se più per un suo naturale e indifferente andar d’accordo con chiunque che per una sincera simpatia nei miei confronti. Ma era già qualcosa. E’ che la prospettiva di passare un altro anno con le tre sorelle scemelle, attaccate allo schermo della televisione, era diventata troppo.

 (editing by Beatrice Nefertiti)

 

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