Le cinque dita della mano sinistra

 

di Giuseppe Vera

 

 da spararsi

L’eredità è un patrimonio che non sempre si riesce a mantenere, magari per mancanza di idee, per carenza di fondi, per intralci burocratici. E allora si fa la voce grossa, nel tentativo di intimorire i possibili usurpatori o, sommessamente, giustificare una eventuale débâcle con gli amici. Avere in eredità un castello senza disporre di una somma sufficiente per il semplice mantenimento equivale a un pensiero in più e a un danno imprevisto; si dirà che da un maniero medioevale si potrebbe comunque trarre un beneficio, vendendolo a un magnate o a una società titolare di un ingente capitale, ma non si potrà sperare di ottenere il giusto valore, perché “quelli” sanno che se non si accoglie la loro proposta si finirà dritti allo strozzinaggio e all’impiccagione. Meglio non sperare di avere in eredità un castello?

La sinistra italiana è rappresentata oggi da cinque raggruppamenti (mi rifiuto di chiamarli partiti), tra i quali il solo PD dispone di un apparato storico, fatto di sezioni, associazioni e giornali; gli altri sono relegati al ruolo di satelliti subalterni e per questo si mostrano recalcitranti, dato che il sistema elettorale ha estorto loro l’opzione del confronto e del dissenso, giustificata dalla governabilità a tutti i costi. Questi gruppi sono i derivati politici dei cambiamenti storici avvenuti negli ultimi trent’anni, che hanno in qualche misura intaccato l’apparato ideologico tradizionale. I massimalisti più indottrinati hanno preferito tirarsi fuori dal PD e sono stati sostituiti da una parte dei cattolici, che si è rifugiata in quella casa per non essere stritolata dalla tenaglia iper-liberista; i vendoliani, con ilnuova sinistra italiana fiuto da segugio, hanno preferito restare nell’area meta-comunista, rivelando una particolare attenzione alle prospettive sociali, senza, però, illudersi di poter rinverdire gli ideali ottocenteschi; i demolitori della prima repubblica si sono collocati nell’area di sinistra e hanno identificato la giustizia con la legalità. E i socialisti? Tramortiti dai magli dei tribunali, con la fine della prima repubblica sono stati colpevolizzati per aver incentivato corruzione e concussione e sono in parte trasmigrati in altri partiti, felici di raccogliere i loro voti; ma la maggior parte ha abbandonato la politica, rivelando una sensibilità e una coerenza insospettabili: non può essere un tribunale o una legge a impedire l’occupazione di un ruolo in caso di indegnità civile, ma la coscienza individuale; se poi l’indegnità dev’essere il criterio di valutazione da estendere a tutte le forze politiche presenti nel parlamento italiano dal 1994 a oggi, il problema non è più dei socialisti, ma di tutti coloro che ancora oggi sventolano la bandiera della legalità e della verginità, di cui finalmente si riconosce il fraudolento risultato.

Socialismo e comunismo, vecchio e irritante confronto fra ideologie di sinistra, hanno costituito materia di dibattito politico per anni e anni; Craxi aveva abbracciato Proudhon, Berlinguer voleva rappresentare la versione italiana del pensiero di Marx; hanno occupato posizioni di rilievo nel panorama politico italiano, europeo e internazionale, hanno lasciato una traccia importante nei dibattiti intorno all’Unione Europea, ai paesi emergenti del terzo mondo, alle relazioni internazionali tra gli stati, che, disponendo di una certa ricchezza, hanno costretto nella loro orbita i paesi a economia debole. La globalizzazione, infilatasi agevolmente tra le maglie della politica, allentate con la caduta del Muro, ha subdolamente distrutto ogni ideologia, usurpando, subdolamente, il potere di guida della società. A guardare con distacco il rapporto tra i poteri si resta interdetti per la confusione, il disorientamento e l’approssimazione che ognuno di essi manifesta nell’affrontare i problemi di rispettiva competenza: il Parlamento è costituito da gruppi che non hanno ricostituito un apparato ideologico, che permettesse loro una coerenza nelle scelte e nelle responsabilità; il Governo si limita a rispondere alle richieste delle lobby, tessere fondamentali nell’economia globale; il potere giudiziario, identificando la Giustizia con la legge, mette a nudo i limiti di tutto il sistema, che ha dimenticato, colpevolmente, la figura principale: l’uomo. Bisogna tornare alla politica, riconsegnandole il ruolo di guida unica dello Stato (nel periodo pre-totalitario Hegel metteva in guardia i cittadini, sostenendo che mai il potere economico dovesse prevalere su quello politico, che ha il compito di disegnare la strada che la società deve intraprendere). È una trappola e un inganno far credere che lo Stato vada gestito come un’azienda, perché l’anima di un popolo, il volere e il sentire dell’uomo non possono essere inseriti nel bilancio dell’azienda: la politica è ibrida, è creazione e tentazione, è forza e passione; l’economia è calcolo, è l’organizzazione di cifre che mortificano l’uomo. Bisogna ripartire dalla politica e la politica dall’analisi della realtà.

Le risorse della Terra sono ipoteticamente infinite, ma concretamente finite. Il primo problema da affrontare riguarda proprio la fruizione dei beni, che non può avvenire secondo una spartizione derivante dalla conflittualità, come è avvenuto per secoli, ma secondo criteri che solo la politica può stabilire. Premesso che l’uomo è l’unico valore da conservare e rispettare, è possibile dichiarare che socialismo umanisticoil socialismo umanistico e individualistico risponde pienamente al progetto della giusta distribuzione dei beni. Non è necessario riesumare il comunismo o il fascismo per imporre autoritariamente quelle formule che alla fine schiacciano l’uomo; non serve far ricorso al pensiero cristiano o di qualche altra religione per garantire al prossimo il diritto di fruire dei beni della Terra; il pensiero liberale è arrivato perfino a distorcere il concetto di diritto alla sopravvivenza, condizionandola al confronto, alla lotta. Il socialismo è l’unica via percorribile, ma bisogna dargli una forma moderna, costruendo una ideologia rispettosa dell’uomo e della natura.

Socialisti dormienti del 1994, bisogna forse ripartire proprio dalla consapevolezza della vostra indegnità a governare per far piazza pulita degli amministratori dalla coscienza marcia, che impunemente continuano a ritenersi nel diritto a governare perché giunti lì con l’inganno. Forse rappresentate voi il nocciolo nuovo su cui far leva per ripartire, per ridare senso al concetto di giustizia, per separare adeguatamente politica ed economia, diritto individuale e diritto universale. Con lo scoppio dell’ultima crisi ci si aspettava che i politici di vecchio corso si assumessero le loro responsabilità e facessero come voi: sparire o almeno defilarsi. Niente, sono ancora là, con il rischio serio della emersione del populismo, desideroso di dare una svolta senza progetto, con un unico chiodo in testa: mandare a casa tutti. Cari socialisti, l’alternativa a un vostro ritorno in campo può essere solo la rivolta popolare.

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