Con quest’articolo analizzeremo le ultime figure di pensiero, per arrivare (finalmente) a mettere in opera tutto ciò che abbiamo imparato fino a ora. Nei prossimi incontri simuleremo il parlare in pubblico, ma non pensate solo da un palco e a un pubblico che vi ascolta, parlare in pubblico ha anche sfaccettature più quotidiane e mi riferisco a tutte quelle situazioni che hanno a che fare con il lavoro, gli affari, le relazioni interpersonali, i sentimentali, le amicizie e tutti quei contesti in cui ci troviamo a prendere posizione, a esprimere una nostra idea o a far presente un nostro diritto. Tutto può dipendere da una frase ben detta, da un concetto espresso efficacemente. La parola chiave è proprio questa: efficacia, ricordate che molto spesso non conta cosa dite ma come lo dite.
Nell’ultimo articolo ci siamo lasciati con un episodio raccontato in modo diverso a seconda della figura di pensiero scelta. Ricordiamolo qui di seguito perché ci servirà ancora:
Era cattivo tempo. Per la fretta sono uscito senza ombrello. Si è messo a piovere. Diluviava. Ho chiesto in un negozio se avessero ombrelli, ma li avevano venduti tutti. Sono uscito inzuppandomi completamente.
Le ultime figure di pensiero che analizzeremo e che plasmeranno il nostro bell’episodio, sono:
- la preterizione;
- la prosopopea;
- la reticenza;
- la sermocinatio;
- la simulazione / dissimulazione;
Preterizione
Viene dal greco e vuol dire “tralasciare”, ma non bisogna pensare alla reticenza ovvero al “non dire”, qui il significato è diverso. In questa figura retorica si finge di non voler dire una cosa, ma di fatto la si dice. Nel primo articolo di questo corso di retorica, è riportato gran parte del discorso di Marco Antonio a favore del suo amico Cesare ucciso da Bruto e altri. Shakespeare fa molto uso della preterizione e rende il ragionamento di Marco Antonio molto efficace, tanto è vero che alla fine il popolo si rivolta contro Bruto. Vediamo invece come il nostro episodio potrebbe essere riscritto in chiave di preterizione.
Non ti parlerò di quanto stava piovendo né del fatto che fossi uscito senza ombrello, voglio tacere su quando ho provato inutilmente ad acquistare un ombrello e non voglio neanche dirti di come alla fine mi sono trovato bagnato fradicio.
Come noterete, di fatto è stato raccontato tutto, ma la sensazione è che chi parla si è fatto il problema di non voler dire tutto. Un altro esempio pungente: non voglio dire che tu sia poco intelligente, ma comprendere questa cosa è un fatto davvero elementare.
Prosopopea
Ogni qual volta che in un vostro discorso o in uno scritto fate parlare o agire un oggetto o una cosa inanimata (anche un defunto), allora state usando la figura della prosopopea. Una prosopopea storica la si riscontra nel Critone di Platone quando le Leggi di Atene parlano a Socrate pretendendo obbedienza e lealtà anche se dovessero essere sfavorevoli. Ricorderete che Socrate rifiutò l’aiuto degli amici che volevano farlo evadere e, pur essendo innocente, accettò la condanna prendendo la cicuta.
In virtù della prosopopea il nostro episodio potrebbe trasformarsi in qualcosa di simile a questo: La pioggia ha aspettato che uscissi e mi allontanassi di casa quel poco da non poter tornare indietro, poi si è accanita contro di me, ha perfino fatto in modo che non trovassi un ombrello da nessuna parte, quindi mi ha ridotto come uno straccio fradicio!
Notate che la pioggia è diventata un’entità attiva, ha atteso, si è accanita, ha fatto in modo che si riducesse come uno straccio.
Un altro esempio potrebbe essere questo: la fetta di torta era lì, nel frigo, era come se mi chiamasse, come se volesse che la tirassi fuori e mettessi fine alla sua esistenza. Così ha fatto in modo che aprissi il frigo e la prendessi, poi mi ha guardato e mi ha detto: mangiami!
Reticenza
Questa volta il greco non c’entra, ma tiriamo in ballo il latino ovvero reticere quindi tacere. Sinonimi di reticenza, nel campo della retorica, sono aposiopesi e sospensione. Si ha infatti una reticenza quando il discorso viene interrotto improvvisamente come per sottacerne una parte importante. La sospensione o la soppressione hanno connotazioni emotive importanti.
Vediamo il nostro solito episodio come si trasforma nella reticenza: Ieri sono uscito, andavo di fretta… poi è piovuto, quindi ho cercato di comprare un ombrello.
Non abbiamo detto di aver dimenticato un ombrello, che poi il negoziante non ne aveva e che siamo finiti per infradiciarci tutto. In altre parole abbiamo sottaciuto elementi importanti, chi ha ascoltato può solo avere la sensazione che manchi qualcosa, ma non accusarci di menzogna. Il reticente non mente, sottace; è una differenza fondamentale.
Sermocinatio
Ne abbiamo anche parlato nell’articolo n.10, si ha una sermocinatio quando si finge di lasciare spazio, nel proprio discorso, al discorso diretto di un terzo interlocutore. Molto spesso lo scopo è mettere in bocca a questa persona ciò che noi vogliamo dire, oppure riportare il discorso del nostro avversario distorcendolo leggermente in modo da renderlo ridicolo, stravolgendo il senso del suo discorso e screditandone l’autorevolezza.
Ripensando al nostro discorso, immaginate che le cose siano andate in questo modo: siete usciti di casa, avete dimenticato l’ombrello quindi è venuto a piovere a dirotto, per cercare invano un ombrello, avete fatto tardi a un appuntamento di lavoro. Qui vi aspettano Tizio e altre persone, raccontate la faccenda cercando di giustificarvi, ma Tizio vuole screditarvi e allora inizia il suo discorso: Ci stai dicendo che ti sei messo a perdere tempo con sprovveduti commercianti? Come se ognuno di noi avesse voglia la mattina di mettersi a che fare con inetti con tutto quello che abbiamo da fare! Tutto per cosa? Per un misero ombrello? Se ti fossi sbrigato a venire qui, non saresti rimasto un’ora sotto la pioggia e forse, sempre se l’inetto non sei tu, avresti potuto pure arrivare in tempo!
Accidenti, non oso mettermi nei vostri panni! Comunque notate alcuni passaggi: nel vostro racconto (l’episodio originale) voi avete cercato di acquistare un ombrello da uno sprovveduto commerciante, Tizio invece vi mette in bocca altre parole, stravolge il senso e vi accusa di aver perso tempo dietro commercianti inetti; sminuisce l’importanza dell’ombrello e vi accusa di perdere tempo in cose futili. Bella figura che vi fa fatto fare!
Simulazione e dissimulazione
Nella simulazione si afferma qualcosa che in realtà non è accaduto, mentre nella dissimulazione si cerca di nascondere ciò che è davvero accaduto. In pratica, si simula ciò che non è accaduto e si dissimula quello che è accaduto. Siamo nel campo della menzogna e della finzione, ai limiti (ma anche oltre) della morale.
Se qualcuno vi accusa di essere uscito di casa senza ombrello, una risposta del tipo Figuratevi se io esco senza ombrello quando piove, considerato che la verità è proprio che siete usciti senza ombrello, configura una dissimulazione.
In un discorso si usa la simulazione quando si finge di appoggiare le tesi dell’avversario, ma in realtà si vogliono introdurre elementi assurdi e inverosimili per confutarla.
Simulare qui ha significato di “rendere simile” ma non uguale, perché il passaggio successivo è “fare finta” ovvero “fingere”. Un po’ quando si simula un mal di pancia per non andare a scuola.
Dissimulare ha il significato proprio di “rendere dissimile” quindi irriconoscibile, ma anche nascondere, celare o occultare.
Luigi Romanini scrive per la Treccani: il fatto che spesso per nascondere i propri sentimenti o il proprio pensiero, e cioè per dissimulare, si finga il contrario contribuisce ad avvicinare semanticamente i nostri due verbi, tant’è che in alcuni contesti e, specialmente con uso assoluto, dissimulare assume proprio il significato di “fingere, simulare” (sai dissimulare con molta abilità; smettila di dissimulare!).
La dissimulazione è apertamente lodata da Dante nel terzo trattato del Convivio quando scrive: questa cotale figura in rettorica è molto laudabile, e anco necessaria, cioè quando le parole sono a una persona e la ‘ntenzione è a un’altra […] questa figura è bellissima e utilissima e puotesi chiamare dissimulazione.
Bene, abbiamo terminato questo lungo excursus sulle figure di parola e di pensiero. Esse sono i vostri attrezzi di lavoro nella stesura di discorsi e testi che debbano esprimere opinioni, concetti, idee e che lo vogliano fare in modo incisivo e con risultati convincenti.
Con il prossimo articolo, si aprirà la terza e ultima parte de “L’arte di comunicare” in cui metteremo all’opera quanto imparato. Impareremo ad analizzare il contesto e la situazione e a scegliere il momento opportuno per farci avanti e cosa fare nelle situazioni di criticità. Analizzeremo la scena, il pubblico, lo sguardo, la voce e molto altro ancora.
Alla prossima settimana!
Si ringrazia per l’editing Maryann Mazzella
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