di Flavia Chiarolanza
L’aggettivo che più comunemente si accompagna al termine oggetto è quello di “inanimato”.
Un oggetto esiste, secondo l’immaginario collettivo, solo in funzione di chi ne faccia un uso qualunque.
Poche volte ci si ferma a riflettere sul destino delle cose quando vengono abbandonate dalla mano umana, e rese dunque inservibili.
Possono essere cestinate o distrutte. Ma il peggio è quando vengono abbandonate, lasciate a marcire nei meandri di una soffitta o nello squallore di una discarica. Con esse, muore anche il ricordo delle esistenze a cui erano legate.
Maurizio Merolla ci ha da tempo abituati ad un teatro sperimentale. Non nel senso ormai abusato del termine, ma in quello autenticamente innovativo. E così non manca di sorprenderci, sostituendo al tradizionale palcoscenico un negozio artigianale in cui sono custoditi oggetti altrimenti destinati all’oblio che si riserva alle cose “vecchie”.
Laddove sono messi in mostra ricordi di stili di vita che si credevano dimenticati, Maurizio crea uno spazio scenico di rara suggestione. Perché ogni oggetto che rechi su di esso i segni del tempo, tramanda una memoria in attesa solo di essere perpetuata.
Ogni manufatto tace il suo urlo che rimane inesploso. Chi mai potrà accoglierlo e gridarlo a sua volta se non il più taciturno tra gli artisti, il Mimo? Operoso tessitore di una tela di ricordi, sospiri, intrecci. Forte di quel mutismo che scandisce con discrezione un percorso di sola luce, passi, odori. Profumo di carta, di fogli di giornali narranti eventi vissuti in prima persona ma da noi conosciuti solo grazie ai libri di storia. Profumo di legno, segnato dalla fatica di quanti lo hanno lavorato con solerzia. Bambole che evocano mani infantili. Giochi di un’infanzia così diversa da quella dei nostri figli.
Dieci minuti all’interno di un negozio di artigianato. Quadri figurati che si animano alla fioca luce delle candele. Un percorso semplice, lineare e struggente, con al seguito sparuti gruppi di cinque o al massimo dieci spettatori. Ognuno potrà calarsi nelle vite di coloro che hanno maneggiato arnesi di antichissima fattura e provenienza. Di immortale memoria. Come immortale, e parimenti silenziosa, è l’arte del mimo. Due canali così preziosi di comunicazione si ritrovano in un luogo ideale.
Gli avventori rimasti all’esterno, in attesa del loro turno di esplorazione – dai buchi di una gigantesca serratura che va a sostituire la linea divisoria tra spettatore ed artista – potranno spiare i movimenti fluttuanti dei mimi quasi fossero fantasmi sgorgati dall’anima degli oggetti.
Teatro e bottega. Unico il grido d’allarme, comune la loro agonia. Per mano del cinismo e dell’indifferenza di un mondo sempre più individualista.
Ma lo stile di Merolla sa distinguersi anche per la sua versatilità. E così, attingendo alla fonte della malinconia, il Nostro riesce a ricavarne lo spunto per un lieto epilogo.
La maschera di ogni Mimo è plasmabile, fatta apposta per trasformare il riso amaro in sorriso e divertire il pubblico con la sua gioiosa espressività dopo averlo sollecitato a riflettere. È un cammino da percorrere su un doppio binario, in cui gaiezza e dolce malinconia si incrociano ed uniscono in un binomio perfetto.
Un esperimento unico nel suo genere. Credo di poter affermare che nessuna piazza o vicolo d’Italia siano mai divenuti foyer così come nessuna bottega sia mai stata trasformata in un palco dalla scenografia naturale.
Maurizio mi accoglie con un gran sorriso nel suo piccolo regno, uno spazio minuscolo in cui si respira aria di innovazione ed arte. Alle pareti le locandine dei suoi spettacoli e le foto dei bellissimi figli, Veronica, Aurora e Giovanni. La domanda è d’obbligo:
Seguiranno le tue orme?
So di certo che anche dentro di loro brucia il sacro fuoco dell’arte.
Questione di DNA, immagino!
Tutti e tre hanno già esordito nell’ambiente e con buoni risultati.
E tu che ruolo ricopri?
Li seguo ed affianco, cercando di indirizzarli nel miglior modo possibile. Ma la regola ferrea è, per me, di non condizionarli in alcun modo; e per loro, di ultimare gli studi. Qualsiasi cammino intendano intraprendere, deve obbligatoriamente cominciare da un buon diploma che permetta loro di operare scelte differenti.
Mi accomodo ed assaporo, come di consueto quando vengo a trovarlo, una sensazione di pacato benessere. Sul tavolino davanti a me, fogli sparsi di progetti attuali e futuri.
Maurizio osserva il mondo a partire dalle piccole cose, come le botteghe nascoste nei vicoli. E per questo è sempre in fermento, quale esploratore del teatro e delle sue mille anime.
Dove hai tratto l’ispirazione per l’idea del tuo nuovo spettacolo, così stravagante ed unico?
Sono un attore, e in quanto tale ricerco l’antico. L’odore che respiro in teatro, dietro le quinte, durante la rappresentazione ha la stessa fragranza che permea le pareti di una bottega. Un odore di polvere e stoffe, legno e carta.
Un odore familiare, dunque?
Esatto. Dove credi che acquistiamo, noi attori e registi, gli oggetti e gli abiti che ci serviranno in scena se non nei negozi di antiquariato? Io sono cliente, e prima ancora amico, di tutti gli antiquari presenti a Napoli.
Quindi per te varcare la soglia di quelle botteghe assume un significato preciso?
È come entrare in un set.
Non esiste canone, e tantomeno pregiudizio, che influenzi la creatività di Maurizio. Esiste solo una pulsante vena artistica, e miriadi di sollecitazioni.
Riesci ad immaginare un ulteriore luogo in cui vorresti provare ad esprimerti, al di fuori della strada, del teatro e – grazie alla tua ultima brillante intuizione – di una bottega d’artigianato?
È l’attore che crea il teatro, inteso non come edificio ma come libero spazio. Io posso collocarmi ovunque la mia creatività veda uno sbocco, anche su di un balcone pericolante.
Hai lavorato con nomi prestigiosi dello spettacolo nostrano. Ma gli attori che ti affiancano provengono spesso da contesti ed esperienze diverse. Dalla vita reale attingi non solo le idee per i tuoi lavori, ma anche le risorse umane. Giusto?
Mi piace stimolare quelli che sono alle prime armi. Oggi non esiste più la vecchia scuola di formazione come un tempo, quando si entrava in una compagnia e i giovani venivano iniziati alla nobile arte dagli anziani del gruppo. Mi piace poter dire di aver cresciuto diverse generazioni di artisti, attingendo ad autentici vivai di grezzi talenti.
Mentre chiacchieriamo da buoni amici un gruppetto di ragazzini si ferma davanti alla porta d’ingresso del “Teatro degli Eventi”, nel cuore della vecchia Napoli, in quella via Pessina che nasconde piccoli tesori ad ogni traversa, come l’Accademia di Belle Arti e lo storico Teatro Bellini: un invitante crogiuolo di atmosfere cui ispirarsi.
Il gruppo si ferma in rispettosa attesa. Sono i giovani allievi del laboratorio teatrale di Maurizio. L’età oscilla tra i 14 e 15 anni, non di più. Hanno sguardi timidi ma vibranti di sincera attrazione per una forma d’arte così lontana dalle tipologie di svago care alle attuali generazioni.
Quali sono le modalità di approccio nei loro confronti, e di iniziazione ad un’arte tanto difficile e antica quale quella del teatro e della prosa?
Lo chiedo dopo aver sbirciato un paio di copioni, che i piccoli allievi cominciano a sfogliare ansiosamente. Ed è subito un festoso coro di intonazioni, di confronto tra giovani voci.
I ragazzi amano l’esibizione. Siamo pur sempre nella generazione “Look at me”, come dicono gli esperti. Chi sceglie il teatro quale modalità di espressione, lo fa non solo per apparire ma anche per comunicare attraverso il corpo, la voce e la più trascurata delle virtù: l’ascolto. Il mio approccio consiste nel farli leggere e spronarli ad ascoltarsi, nell’insegnare loro che l’applauso paga e ripaga di ogni sacrificio.
La fatidica data si avvicina. Lo spettacolo debutterà infatti mercoledì 7 dicembre, in una fascia oraria compresa tre le 16.30 e le 20. Ed una sola replica, prevista per sabato 10.
Esatto. Lo spazio è “’O quatt’e maggio”, di proprietà di Guido Mojo, in via Bellini 9.
Come vivi questi giorni di attesa, e che genere di reazioni ti aspetti dal pubblico?
Una reazione di forte emotività, davanti a quella che non esito a definire una vera provocazione. L’attesa è piacevole, perché ho solo voglia di eccitare la curiosità e non mi importa di compiacere o meno i gusti degli altri.
Un viaggio simile non ha prezzo. Maurizio e i suoi artisti si mettono umilmente a disposizione di quanti vorranno intraprenderlo. Nessun biglietto da staccare. Solo la voglia di un salto nel tempo. E state certi che ne uscirete con un’espressione di beato compiacimento.
Prima di salutarci Maurizio ci tiene a dirmi un’ultima cosa. E cioè che l’evento vuole essere un omaggio a tutti gli antiquari e a tutti gli artisti, paladini della memoria. Ricercatori del tempo perduto, di cui spostano le lancette fino a ricostruire mosaici di vite passate.
Bene. Mi allontano soddisfatta dopo aver braccato Maurizio per giorni interi! Sono sempre lieta di tendere agguati allo scopo di riempire le pagine di questa rubrica con selvaggina fresca, ed aggiornarvi in merito alle carriere dei nostri attori, al di là del sipario e delle sue inesorabili chiusure.
Se vi trovate nei pressi di Napoli, magari richiamati dall’atmosfera natalizia che aleggia nei vicoli di San Gregorio Armeno e tra i pastori nuovi di zecca dalle più varie sembianze, non esitate a venire a spiare gli artisti di Maurizio dal buco della serratura.
Mai Grande Fratello sarà più gradito!
Ciao, e auguri a tutti di simpatici esercizi di voyeurismo!
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