A un amico che non c’è più


di Enzo Buscemi

Inaspettata voglia di tenerezza nei giorni che precedono il Natale al quale, per la verità, come sai, non credo.

Ma non era così, quando significava riunioni con i cari che non ci sono più, e con i pochissimi amici ai quali sono ancora legato.

Serate spesso noiose, costellate di lunghe sedute al tavolo da gioco, e per me limitato a un ancora incomprensibile mercante in fiera, o a interminabili quanto sfinenti tombole.

Ma il bello c’era sempre. Ai grandi convivi, echeggianti di risate semplici e con il miraggio del dopocena. 

Quando si usciva per riunirsi agli amici, a commentare, inventare e esagerare piccole storie di amori impossibili.

E quella dovizia di colori, oggi scomparsi, profumati. Non dalle tavole imbandite, senza la ricerca di ostriche e salmone affumicato, ma dagli aromi raccolti nello scorrazzare tra i banchi dei mercati.

Ricordo quelli di Messina e di Palermo. Montagne di pesce che si argentavano sotto enormi lampade ad ampolla. Oggi scomparse, che ondeggiavano da un filo assicurato a un umile supporto precario.

E arance con i colori del sole, e verdure di ogni tipo. L’umile ‘minestra spigata’ con le sue infiorescenze quasi a emulare mazzetti di fiori sempre verdi.

E la lattuga. Una volta quasi unica insalata del sud, nei suoi cappucci orgogliosi.

E il trionfo del prezzemolo, accanto allo stoccafisso appena ammollato, e ai cocomeri invernali, anch’essi rarità e non certo prodotti in umide serre, artificiosamente riscaldate.

E le banane (unici reperti esotici) non ancora svilite dalla possibilità di trovarle in ogni tempo, come oggi accade.

E l’uva ‘tardiva’. La rossa corniola o l’ormai introvabile zibibbo originale, tenuto in vita chissà come, ed esitato a prezzi che, a ripensarci, non erano nemmeno proibitivi.

E, a tavola, le agri insalate di arance, screziate di pepe nero, ad alleggerire il grasso di succulente salsicce.

E i dolci, quasi sempre fatti in casa, opulenti di ricotta fragrante di vaniglia. E il riso nero, nato dalla faticosa lavorazione delle mandorle tostate, nei grossi mortali di bronzo. Autori di rintocchi ripetitivi che, rumorosamente, annunciavano ghiotte promesse, già settimane prima nelle linde stradine di Castroreale. A rinnovare una tradizione orgogliosa di creazione esclusiva, con il profumo pungente della crema di mandorle, arricchita dall’aristocratica cioccolata, mista a coloratissima frutta candita.

I ricordi del Natale. Con la messa di mezzanotte, che sembrava creata ad uso del narcisismo femminile, per sfoggiare il cappotto nuovo, quando di pellicce se ne vedevano davvero poche. E dall’altra parte della barricata, ghiotta occasione per sbirciare, tra un’incensata e l’altra, le ragazze, oltremodo vezzose per la certezza di essere tanto osservate.

E i fuochi accesi per le strade, per iniziativa di chissacchì, a scaldare l’aria per l’arrivo del misterioso ‘bambinello’, oggetto scontato, anno per anno, delle solite battute, allusive a ingenui doppi sensi.

Natale antico, con gli spaghetti rotti nel brodo di carne, e il pesce a ghiotta.

Natale vero, dove il pretesto religioso era accettabile.

Natale sincero, quando molti, del turbine degli auguri urlati, ad ogni passo, erano forse sinceri.

Natale povero, senza panettoni farciti, e allegro di spumanti. Esageratamente dolci, che nessuno, mai, sognava di disprezzare paragonandoli agli sconosciuti ‘brut’.

Natale d’amicizia, allora. Oggi di rimpianti.

Natale trasfigurato, da interessi e voglie sempre meno appagabili.

Natale inutile. Dove anche il presepe, frutto di tanta, e ansiosa inventiva, è ormai scalzato dal nordico abete o, peggio ancora, messo all’indice, perché sconveniente per i nuovi barbari.

Natale mesto, per i pastori di terracotta relegati nel buio di un ripostiglio.

Natale senza l’afrore del pecoraio, zampognaro per l’occasione e che, alla decima suonata, era sbronzo per le troppe bevute, omaggio per le sue note, da presepe in presepe.

Natale, ancora occasione però, per dirti – e senza tema di smentita – che ti voglio bene, e che sarei felice di passarlo con te. Anche se il dubbio rimane. 

Natale? O, no? 

 

 

Gamy Moore
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