Lato A (info from Wikigamy)
Uno speciale film di fantascienza (drammatico), precursore di pellicole entrate nell’immaginario collettivo (quali Blade Runner, Brazil, Guerre Stellari e Matrix), è senz’altro Metropolis (1927) dell’austriaco Fritz Lang, che delinea uno scenario del 2026 in maniera forse un po’ semplicistica quanto ai contenuti, ma con effetti speciali – per l’epoca – che non si può non ammirare.
Soggetto e sceneggiatura recano la firma di Thea von Harbou, moglie del regista, il quale a versione ormai finita ebbe a rinnegarne l’operato, facendo una severa autocritica relativamente agli esiti.
Il film costò moltissimo e non riscosse grande successo in patria, mentre fu accolto con entusiasmo a New York.
La pellicola (muta, in b/n, durata 153’) è stata inserita nel registro Memory of the world dell’Unesco nel 2001 per il valore culturale e tecnico.
Una versione ridotta e ricolorata del 1984 fu musicata in versione rock da Giorgio Moroder, e vide il contributo dei Queen di Freddie Mercury.
Lato B (il rovescio della medaglia)
Una manciata di anni separa due capolavori come Metropolis e L’Atalante (1934) di Jean Vigo, ma la distanza temporale si trasforma in un abisso dal punto di vista immaginativo e nella realizzazione tecnica di questi film.
Al gran dispiego di mezzi e di tecnologia del primo, e alla ricchezza di temi, si contrappone la sobrietà organizzativa e lo schema secco e ‘asciutto’ del secondo (se non si pensa alla fumosa e umida Senna…).
Due diversi modi di pensare e organizzare la visione, tuttavia capaci entrambi di centrare l’obiettivo.
I temi dell’alienazione da lavoro, dei sentimenti e del rapporto col prossimo e fra i sessi costituiscono in entrambi il nucleo narrativo, ma l’eccellenza sta, in entrambi, nella potenza evocativa delle immagini, che si sottraggono agli attacchi del tempo, e hanno generato una scia di emulazioni anche in anni recentissimi, quasi ad accentuarne la forza e potenzialità intrinseche. Basti solo pensare alla famosa scena dell’allagamento (Metropolis), in cui l’acqua fuoriesce e allaga i basamenti, che troverà una variante colorata – sangue che sgorga dalle sacre icone – altamente impressionante nel Dracula di Coppola; o la sagoma del tristo mietitore, che appare in altri esempi noti della cinematografia mondiale.
Certo nel primo può apparire più datata l’estrema caratterizzazione fisica dei personaggi, con le loro smorfie dolenti o corrucciate e il make-up accentuato, caro alle pellicole del muto.
Può farci sorridere e perfino vomitare la contrapposizione mente-cuore, l’opposizione semplicistica fra bene e male, l’uso mirato o ingenuo o didascalico dei nomi (vedasi Maria), gli innumerevoli stereotipi e il sapere che non a caso l’opera piacque molto al Führer (e non è infatti un caso che Thea von Harbou aderisse in seguito al Partito…).
Ma tutto ciò non basta a fartelo dimenticare, poiché mirando ai sensi, ogni sequenza concorre a inebriare.
Una cosa è però certa e li accomuna: questi film fecero ‘crepare’ i loro autori, l’uno per gli strascichi in famiglia già sul set e fuori, l’altro per le condizioni già precarie di salute che impedirono a Vigo di vedere la sua opera finita.
Entrambe le pellicole furono rivisitate e rimaneggiate a più riprese, ma non ottennero nell’immediato il successo che avrebbero comunque meritato.
https://www.youtube.com/watch?v=m16sJPNXQLc
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