Noi: un horror d’assedio in cui non tutto è come sembra

 

di Francesco Grano

 

Noi

 

Adelaide (Lupita Nyong’o) con la famiglia formata dal marito Gabe (Winston Duke) e i due figli Jason (Evan Alex) e Zora (Shahadi Wright Joseph) torna in California per trascorrere le vacanze estive nella sua casa natale. Durante una giornata passata in spiaggia, la donna inizia a provare stati paranoici scaturiti da alcuni flashback relativi a un suo trauma d’infanzia. Rientrati a casa, nel cuore della notte la famiglia si ritrova quattro estranei in giardino. Nonostante gli sforzi per tenerli lontani, gli inaspettati ospiti riescono a entrare. Per Adelaide e i suoi cari è l’inizio di un incubo poiché gli intrusi sono identici a loro.

Dopo aver riscritto le coordinate del genere horror con l’opera prima Scappa – Get Out e, nel contempo, gettato le basi per il proprio stile registico dal piglio autoriale, il regista e sceneggiatore Jordan Peele, a distanza di due anni dall’exploit d’esordio, è tornato sul grande schermo con Noi (Us, 2019). Proseguendo il discorso satirico e di aspra critica iniziato e visto in Get Out, con Noi Peele ha aggiunto un altro, fondamentale, tassello filmico sì da formare un perfetto dittico se non, addirittura, il continuum di Get Out, seppure con molte più aggiunte contenutistico/tematiche. Rispetto al predecessore, Noi mantiene sempre l’impianto psicologico (anche qui i misteriosi e profondi meandri della mente e della psiche rivestono un ruolo primario) ma, diversamente dal primo, il secondo lungometraggio è un horror d’assedio in cui non tutto è come sembra; il regista, muovendosi agilmente tra passato e presente cinematografico, ha assimilato egregiamente le lectio registiche (e orrorifiche) dei grandi Maestri che hanno lasciato il segno in uno dei generi più amati. A partire da Tobe Hooper e passando per Wes Craven, per poi giungere all’immaginario zombesco di George A. Romero e al grandioso artigianato di John Carpenter, Noi trasuda una buona dose di citazionismo per nulla gratuito bensì altamente rispettoso e amorevole verso i suoi modelli di riferimento, nel contempo assurgendo al suo stesso riconoscimento identitario.

Horror d’assedio, come è già stato affermato, ed è proprio dall’assedio di carpenteriana memoria che Noi prende le mosse. Guardando a capolavori come Distretto 13 – Le brigate della morte, Halloween – La notte delle streghe e Il signore del male e seguendo il mood dei più recenti home invasion come The Strangers e la tetralogia di La notte del giudizio, Noi pone al centro delle vicende una famiglia medioborghese che vede violare la sicurezza delle mura domestiche, luogo sacro per antonomasia in cui, teoricamente, ogni singolo individuo dovrebbe essere al riparo dai pericoli e dalle insidie dell’esterno e, come nel caso di Noi, dall’impensabile che, qui, si trasmuta nel perfetto riflesso del sé: ci si riferisce al doppelgänger, a quel doppio o gemello malefico di letteraria origine poi entrato di pieno diritto in molte opere cinematografiche. Ed è con tale scelta di script che Peele dà il via alle danze, a quella lotta alla sopravvivenza contro le proprie e malevole repliche fatte di carne e ossa. Estranei non estranei (utilizzando una sorta di ossimoro) che spingono la quieta famiglia a infrangere quella parvenza di perfezione domestica nonché a superare i limiti fisici, mentali ed etici pur di sopravvivere e, così, ribaltare i ruoli di vittime e carnefici. Grazie all’ausilio di questa mise en scène di doppi speculari, Noi altro non è che la dimostrazione, in immagini, di cosa è capace ogni singolo individuo se messo alle strette: alla pari di Cane di paglia di Sam Peckinpah, la famiglia protagonista del film di Peele, dopo l’iniziale sbigottimento, minuto dopo minuto fa emergere quegli istinti ancestrali legati alla più bieca e furente violenza.

Se nelle battute iniziali Noi rimane (apparentemente) nei confini della satira rivolta, in primis, all’oramai stereotipato e ben rodato american way of life, d’altro canto è con il sopraggiungere dell’esplosione della violenza splatter e grandguignolesca che l’opera di Peele lascia emergere, uno per uno, tutti i temi celati e poi svelati con il proseguire della storia. Senza far ricorso ad alcun tipo di spoiler si può ben affermare che Noi guarda all’America di oggi, a quel melting pot di mondi e culture ancora assoggettato a razzismo, omofobia, a una politica non tollerante e chi più ne ha più ne metta. Disseminando nelle scene diversi indizi e procedendo per addizione, Peele ha trasformato il suo Noi in una inquietante, acuta e precisa analisi psicoantropologica che, tra orrore, black humour, vissuto esistenziale del passato e traumi, mette alla berlina paure e paranoie di donne e uomini figli del XXI secolo e, allo stesso tempo, (ri)apre l’eterno dibattito del bene contro il male e di come quest’ultima forza, a volte senza saperlo, si nasconde a cavallo tra la mente e lo spirito di ognuno di noi, camuffandosi dietro un sorriso e una facciata di normale quotidianità. Folgorante seconda prova di regia che, insieme a Get Out, è riuscita a dare nuova verve al genere horror, Noi possiede tutti i crismi per diventare, nel corso del tempo, un punto di riferimento all’interno del panorama cinematografico.

 

 

Gamy Moore
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